Dario Fabbri, pagina99 24/5/2014, 24 maggio 2014
ANCHE I LOBBISTI USA SONO TORNATI NELL’OMBRA
La mattina del 28 giugno 1935 fu per Denis Driscoll una delle più insolite della sua vita. Arrivato negli uffici della Camera, il deputato della Pennsylvania trovò sulla scrivania 816 telegrammi di protesta, tutti provenienti dal suo distretto elettorale. In quegli anni il mercato nazionale dell’elettricità era controllato da un cartello composto da 13 aziende e pochi giorni prima Driscoll aveva ribadito ai loro intermediari di voler votare una proposta di legge che ne avrebbe ridotto il potere.
Interessato a capire chi ce l’avesse tanto con lui, iniziò a controllare i nomi e gli indirizzi dei mittenti e, con sua grande sorpresa, si accorse che i cognomi degli indignati iniziavano tutti con le prime quattro lettere dell’alfabeto. Provò a rispondere alle missive per spiegare le sue ragioni, ma molti dei destinatari risultavano inesistenti oppure negavano d’averlo contattato.
I conti non tornavano. Riferì l’accaduto al collega Hugo Black, presidente della commissione d’inchiesta della Camera sulle attività lobbistiche, che impose alla Western Union, la compagnia che aveva consegnato i telegrammi, di rivelare i mittenti.
La scoperta fu sbalorditiva. Le tredici imprese elettriche avevano pagato la Western Union per inviare 250 mila messaggi a decine di parlamentari e i nomi dei contestatori erano stati scelti a caso, partendo dalla testa dell’elenco telefonico. Fu il primo caso accertato di falsa campagna grassroots, la tecnica illegale con cui i gruppi di pressione simulano un movimento di protesta per convincere i decisori a rispettarne la volontà.
Intenzionato a regolare il lobbying e a impedirne l’occultamento (attraverso un sistema di registrazione dei lobbisti), nei mesi successivi Black scrisse la prima legge in materia che, tra mille resistenze, fu approvata nel 1946 con il nome di Federal Regulation of Lobbying Act.
Quasi sessant’anni dopo i lobbisti americani si sono inabissati di nuovo. Abili nello sfruttare le falle della legislazione e la cronica inefficienza del sistema politico, riescono oggi a orientare con facilità le scelte del parlamento e dell’amministrazione Usa. E mentre l’opinione pubblica si concentra sulle «grandi lobby», l’attività illegale di influenza s’è trasformata da tempo nello strumento più efficace per occultare gli obiettivi dei grandi gruppi economici.
Stando al Center for Responsive Politics, un attendibile istituto di ricerca con sede a Washington, gli introiti delle società di lobbying e il numero totale degli addetti ai lavori sarebbero in netta picchiata. In particolare nel 2013 a spendere di più per curare i propri interessi sarebbero stati aziende ed enti molto noti – tra loro: Blue Cross/Blue Shields, Verizon, At&t, General Electric, Google, Boeing, Lockheed Martin, Exxon – ma questi avrebbero deciso di ridurre i costi. Così l’anno scorso la spesa totale sarebbe stata di 3,2 miliardi di dollari, in costante diminuzione dal 2008, e i lobbisti attivi sarebbero 12.281, il dato più basso dal 2002.
Tuttavia i numeri ufficiali non prendono in considerazione il cosiddetto outside lobbying, ovvero la pressione esercitata dai mediatori informali. Secondo quanto stabilisce il Lobbying Disclosure Act, la legge del 1995 che impone ai professionisti di registrarsi presso la Camera dei deputati e di rivelare clienti e parcelle, è da considerare lobbista soltanto chi guadagna più di 2.500 dollari nell’arco di tre mesi; ha più di un contatto politico; e dedica almeno un giorno a settimana ai suoi interlocutori. Analogamente è da ritenersi azienda di lobbying solo quella che assume professionisti registrati.
L’evidente astrusità della norma e le blande sanzioni in cui incorrono i trasgressori (poche migliaia di dollari) hanno indotto gli operatori ad agire sottotraccia, così da sfuggire ai controlli e alla pessima reputazione associata al mestiere. Risultato: come dimostrato da un’inchiesta del settimanale The Nation, l’esborso reale del settore sarebbe di circa 9 miliardi di dollari e Washington sarebbe invasa da almeno 100 mila tra lobbisti e società invisibili.
Il meccanismo è tanto semplice quanto perverso. Ex parlamentari, ministri, militari sono assunti come «esperti» da studi di consulenza politica ed elettorale, finanziati dalle principali industrie del paese, per avvicinare i congressisti e influenzarne le scelte. L’espediente rende di fatto impossibile cogliere influenza e movimenti effettivi delle lobby.
Nel 2004 fu l’ex senatore democratico Tom Daschle a dar vita al fenomeno, che da allora è in vertiginosa ascesa. Solo nell’ultima legislatura sono diventati lobbisti due terzi dei politici che hanno lasciato la vita pubblica. Alcuni regolari, molti abusivi. Come Tim Pawlenty, candidato nel 2012 alle primarie repubblicane, che dallo scorso anno lavora a stretto contatto con la Commissione Finanza della Camera, sebbene ufficialmente si occupi di consulenza bancaria per un gruppo privato. O come l’ex deputato del Tennessee Zach Wamp, adesso impiegato dell’agenzia di intelligence privata Palantir. Mentre tra gli alti ufficiali delle forze armate spicca lo studio di analisi geopolitica fondato nel 2011 dal generale Stanley McChrystal, che in più occasioni ha premuto sul Pentagono affinché rispettasse gli interessi dei suoi assistiti.
Inoltre anche oggi, come ai tempi del New Deal, le aziende costruiscono movimenti d’opinione artificiali con l’obiettivo di persuadere la classe politica. E il caso di molte imprese di grassroots advocacy che, sebbene non riconosciute come lobbistiche, gestiscono siti e forum che magnificano le istanze dei propri clienti e simulano un sostegno popolare più diffuso del reale. Come accaduto nel 2009 quando la società di pubbliche relazioni, Bonner & Associates, ingaggiata dalla lobby per il carbone (Accce), inviò ai parlamentari decine di lettere favorevoli ai combustibili fossili fingendo che fossero state spedite da un’associazione per la difesa dei diritti dei neri. «Dobbiamo impedire ai lobbisti di dominare il sistema», disse proprio in quei giorni il futuro presidente Obama. Prima sarà necessario farli uscire allo scoperto.