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 2014  maggio 23 Venerdì calendario

QUAL È IL VALORE REALE DELLO SPREAD ITALIANO?


Mentre il Governo del premier Matteo Renzi approva il Decreto sul Credito per i lavoratori dipendenti con redditi compresi tra gli 8.000 e i 26.000 euro per un ammontare complessivo compreso tra 160 e 640 euro per il 2014, il differenziale di rendimento tra i BTP decennali italiani e il Bund decennale tedesco (spread) segna valori prossimi a 160 (3,12% contro 1,51%), con un trend inequivocabilmente decrescente. Lo spread, ovvero il differenziale di rendimento tra i Titoli di Stato, comunica quella che i mercati finanziari ritengono sia la rischiosità relativa di un investimento in titoli del debito sovrano italiano rispetto a un equivalente investimento in debito sovrano tedesco, il Paese ritenuto più affidabile nell’intera eurozona.
La valutazione dello spread è sostanzialmente simile a quella che si ricava dall’analisi del costo di un Credit Default Swaps o CDS, ovvero quella sorta di polizza assicurativa che gli investitori possono stipulare sui mercati finanziari non regolamentati (Over The Counter, OTC), in genere con una banca di quelle troppo grandi per fallire, per coprirsi contro il rischio di fallimento di uno Stato. Un CDS sul debito sovrano italiano a cinque anni viene sottoscritto a un prezzo attorno a 116 punti base, mentre il corrispondente contratto sul debito sovrano tedesco è attorno a 22. Quello per gli USA è a 17, quello francese a 48, quello giapponese a 46, quello spagnolo a 94, a ben 138 quello cinese, e infine a oltre 452 quello greco (quello dell’Argentina è invece a 1.724).
A ciò si aggiunge l’indicazione immediata sulla rischiosità relativa: investire nel debito sovrano italiano è considerato dai mercati appena più rischioso che investire in Spagna, ma meno che in Cina, ed è possibile valutare anche a quanto ammonta la probabilità annuale di default (PrDef) del Paese. Assumendo una perdita del 60% (40%) di quanto investito in caso di default, se il valore dei titoli acquistati è di 10.000 euro e il CDS costa 116 punti base, allora con una semplice formula: 10.000 x 0,6 x PrDef=117 (valore facciale titoli x perdita x PrDef= Costo CDS), si ricava che la probabilità annuale di default è uguale a 1,9, ovvero una PrDef=2,9 con una perdita del 40% del valore facciale dell’investimento.
Pur essendo indicatori che appartengono a due mondi non comunicanti, lo spread è il frutto delle contrattazioni sui mercati finanziari regolamentati, mentre il costo del CDS è frutto di negoziazioni sui mercati OTC, per definizione poco trasparenti quando non opachi. Allo stato attuale, questi due prezzi comunicano in modo coerente che gli investimenti nel debito sovrano dei Paesi dell’eurozona sono ritenuti molto poco rischiosi – almeno da qui a cinque anni – e che anche gravi crisi di brevissimo periodo sono al momento non probabili, vista l’assenza d’inversione nella curva del costo dei CDS.
Per l’Italia, questo favorevole scenario si traduce nella possibilità di ridurre ulteriormente il costo delle emissioni dei Titoli di Stato, pur in presenza di un rendimento reale positivo rispetto al tasso d’inflazione atteso. L’Italia si candida quindi, almeno nel breve periodo, a rappresentare un competitor efficace verso quei Paesi, come la Germania in area euro o la Svizzera, che presentano ormai rendimenti reali negativi. L’Italia può allora raccogliere quell’ingente massa di liquidità creata dalle politiche monetarie espansive di USA e Giappone, nonché dagli smobilizzi nei BRICS, non ancora sostituiti dai cosiddetti MINT nei portafogli dei grandi investitori, e finanziare a basso costo un allungamento della durata del proprio debito pubblico, attualmente poco superiore ai sei anni.
A questo proposito, poiché i tassi d’interesse reali mondiali si muovono da tempo su terreni negativi e nulla sembra far presagire un’inversione di tendenza (almeno secondo le stime di aprile 2014 del World Economic Outlook, Fondo Monetario Internazionale) e poiché alla caduta della profittabilità degli investimenti reali – in particolare nell’eurozona, Giappone e Regno Unito – si va sovrapponendo l’eventualità di una sempre più probabile deflazione, sarebbe opportuno che la strategia dell’allieva di Bruno De Finetti, la dottoressa Maria Cannata, responsabile del Tesoro e custode del debito pubblico italiano, virasse con più decisione verso scadenze più lunghe (a quando titoli oltre i dieci anni?) e rendimenti più bassi.