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 2014  maggio 23 Venerdì calendario

NON SIAMO UN DITTATURA E SIAMO ORGOGLIOSI DI ESSERE CHAVISTI


[Elias Jaua]

[note alla fine]

Quarantatre morti, seicento feriti e duemilacinquecento detenuti*. Questo è il saldo dopo mesi di proteste in Venezuela. La situazione nel Paese è ormai insostenibile, nonostante lo scorso 11 aprile il governo e i rappresentanti dell’opposizione si siano riuniti per la prima volta nella cosiddetta Mesa di Diálogo, una tavola rotonda promossa dal presidente Nicolas Maduro e supportata dall’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane) per trovare una soluzione comune alla crisi sociale ed economica.
Entrambi gli schieramenti non sembravano poi molto convinti, ma dopo diversi incontri l’atteggiamento è cambiato e importanti passi avanti sono stati compiuti. Così almeno spiega il ministro degli Esteri venezuelano, Elias Jaua, che abbiamo incontrato durante il suo soggiorno a Roma (in occasione della santificazione dei due Papi) per farci spiegare la delicata situazione da un punto di vista autorevole.
Quali risultati ha avuto finora la Mesa de Diálogo?
Durante i primi incontri con l’opposizione, abbiamo elaborato un’agenda di priorità. Al primo punto c’è il riconoscimento da parte di tutti i settori politici della Costituzione della Repubblica Bolivariana come base della nostra società. In secondo luogo, pretendiamo che l’opposizione rifiuti pubblicamente la violenza come mezzo di pressione politica. Infine, abbiamo discusso delle politiche pubbliche da adottare in materia di sicurezza e sviluppo economico. L’opposizione ha sollecitato invece il riesame dei casi di cittadini processati o sentenziati a causa della loro partecipazione nei tentativi di colpo di Stato che hanno avuto luogo in Venezuela negli ultimi quindici anni.
Esiste quindi la possibilità di liberare i detenuti politici?
Intanto, in Venezuela non c’è questa classe di detenuti. Nessuno di loro è stato incarcerato per “reati di opinione”. I detenuti sono quelli che hanno commesso crimini, violato diritti umani e alcuni persino commesso omicidi. Dunque, sono stati giudicati a causa di delitti stabiliti dal nostro Codice penale.
Qual è stato il delitto di Leopoldo López**?
Promuovere le azioni-violente. Le ricordo che López era già stato condannato per la sua partecipazione nel 2002 al colpo di Stato contro l’allora presidente Hugo Chávez. In quell’occasione, López stesso aveva approvato la detenzione di ministri e altri politici chavisti. Nel 2007, invece, il governo di Chávez varò un’amnistia grazie alla quale López e altri cospiratori furono perdonati. Ora è in carcere per quegli stessi delitti.
In questo dialogo, una delle parti dovrà scendere a compromessi. Quali sono i punti che siete disposti a rivedere?
Siamo disposti ad avanzare delle misure per risolvere i problemi che interessano i venezuelani, ma prima l’opposizione deve dimostrare di voler tornare a lavorare entro i margini della Costituzione. Dobbiamo metterci d’accordo per far fronte alla delinquenza, il vero problema che interessa ai cittadini, mentre la liberazione o meno di una persona che ha violato i diritti umani non è nell’interesse dei venezuelani. Le società devono saper perdonare, come abbiamo fatto noi con l’amnistia. Ma la giustizia non è negoziabile.
Di cosa invece il governo potrebbe chiedere “perdono”?
Più che di perdono parlerei di riconoscimento. Umilmente, posso dire che non c’è nulla da perdonarci. Mentre l’opposizione non può non riconoscere la volontà espressa dal popolo venezuelano. Se non la riconoscerà, noi potremo anche perdonarli in futuro, ma sarebbe un circolo vizioso: dopo ogni perdono, ci sarà una nuova cospirazione. Si pensi agli anni Sessanta, quando molti oppositori sparivano. La vera repressione è avvenuta allora, ben prima del nostro arrivo al governo. Oggi nessun oppositore è stato fatto sparire.
Come valuta il primo anno di governo di Nicolas Maduro?
È stato un anno complesso ma pieno di vittorie. Abbiamo perso il nostro leader Hugo Chávez, subìto un sabotaggio economico ma, dopo due mesi di tentativi di rovesciamento del governo, abbiamo comunque fatto dei passi avanti nello sviluppo delle politiche sociali. La povertà estrema è diminuita dal 7 al 5% e la FAO ha riconosciuto che il nostro Paese ha eliminato la fame. Nonostante la strategia per creare scarsità di beni primari, il governo è riuscito a incrementare la capacità di distribuzione degli alimenti. Inoltre, abbiamo portato avanti il programma per le abitazioni e ne abbiamo costruite 600mila di nuove. Il Venezuela, dunque, continua ad andare avanti nella lotta per la protezione sociale.
Cosa ha causato la scarsità alimentare e l’inflazione?
Dal 2012 è in corso un attacco alla nostra moneta. È stato fissato un valore infimo del bolivar rispetto al dollaro, da piattaforme digitali con base negli Stati Uniti. Inoltre, è stato avviato un traffico illecito di prodotti alimentari dal Venezuela verso la Colombia e il 30% dell’industria venezuelana ha subito danni. Lo scopo era creare le condizioni sociali adatte per rovesciare questo governo. Ma abbiamo lottato e il nostro popolo non ha patito le conseguenze della scarsità di beni di prima necessità.
Non è una strategia rischiosa attribuire i mali del Venezuela agli Stati Uniti?
Il Venezuela non attribuisce i suoi “mali” agli Stati Uniti, parliamo piuttosto delle sfide che abbiamo di fronte. Ma gli Stati Uniti sono comunque responsabili di molte cose, ad esempio del colpo di Stato del 2002 e del finanziamento di gruppi violenti. Abbiamo le prove che Washington ha cercato di rovesciare il governo democratico venezuelano.
Invece, che rapporto avete con il resto dei Paesi dell’America Latina?
Abbiamo buone relazioni con tutti. Ad esempio, con la Colombia abbiamo un rapporto di grande rispetto e anche noi stiamo partecipando al processo di pace con le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) che viene portato avanti insieme a Cuba.
E con Cina e Russia?
Loro fanno parte di quella visione geopolitica del mondo che appartiene anche a noi. Un mondo indipendente e multicentrico. Abbiamo incrementato le vendite di petrolio verso la Cina e ora vendiamo 600mila barili al giorno. Anche la cooperazione agricola e commerciale è buona. Con la Russia abbiamo una grande cooperazione soprattutto in materia industriale, finanziaria, e nei settori della difesa e della sicurezza.
Abbiamo ottimi rapporti con tutti, l’unica cosa che chiediamo è il rispetto.
Qualcuno vi ha mancato di rispetto?
Ci hanno provato molte volte attraverso l’ingerenza nei nostri affari interni, finanziando e addestrando i gruppi di opposizione. Vogliono farci passare per un Paese in conflitto, ma non lo siamo. L’80% dei venezuelani partecipa alle elezioni, nessun Paese può vantare livelli simili di partecipazione. Però ci mancano di rispetto quando dicono che viviamo in una dittatura senza libertà di espressione e quando dicono che c’è la fame e che ci distruggiamo tra di noi. Da più di centocinquant’anni non abbiamo una guerra civile e non sarà questa l’occasione.
Alla luce di tutto questo, ha senso parlare ancora di chavismo e di rivoluzione bolivariana?
Adesso più che mai. La rivoluzione è un progetto storico di Chávez, che ci ha lasciato obiettivi concreti per i prossimi trent’anni. Siamo molti orgogliosi di essere chavisti.

* Secondo la BBC. Per il governo venezuelano invece, si tratta di 2.626 fermi e 180 detenuti.
** Leader del partito di opposizione Voluntad Popular, in carcere dal 18 febbraio 2014