Marco Ferrari, Focus 6/2014, 23 maggio 2014
PERCHÉ SCORDARE FA BENE
La moglie o la mamma cambiano numero di telefono, vi preparate per il prossimo esame universitario poco dopo averne passato uno, la banca vi manda il nuovo Pin della carta di credito. O, peggio, avete una nuova fidanzata con un nome troppo simile alla precedente (Mara o Sara, chi non sbaglierebbe?).
Ricordare tutto, e destreggiarsi tra numeri, nomi, date e nozioni del passato che si affollano nella memoria, è una vera impresa. Per fortuna, ci viene in aiuto una caratteristica molto particolare, e positiva, della nostra mente: la dimenticanza.
INCISI NEI NEURONI. Il cervello, dicono i neurobiologi, è un sistema con enorme capacità, tanto che la memoria a lungo termine è potenzialmente illimitata. Una volta si pensava che i ricordi consolidati, man mano che passa il tempo, si deteriorassero e decadessero, fino a scomparire dai nostri circuiti cerebrali, e che fosse quasi impossibile richiamarli. Freud riteneva che alcuni ricordi, quelli sgradevoli, fossero repressi da meccanismi profondi del cervello perché erano per la maggior parte di natura sessuale: la dimenticanza era dunque secondo lo psichiatra un fatto inconscio. E che il cervello perdesse il controllo dei ricordi era considerato un suo difetto. Non è così.
«Noi parliamo sempre della memoria come qualcosa di positivo e dell’oblio come negativo» dice Stefano Cappa, capo dell’unità neuroscienze cognitive dell’Ospedale San Raffaele di Milano. «In realtà sono due facce della stessa medaglia; i meccanismi di oblio sono altrettanto importanti per il funzionamento del tutto. Una buona memoria» conclude Cappa «è un bilanciamento tra fissazione dei ricordi e oblio». Tutto questo, ovviamente, se non sfocia nella patologia, nel dimenticare le persone care e i fatti più fondamentali della vita e del passato, come accade per la malattia di Alzheimer o le demenze.
FARE ORDINE. Il delicato equilibrio tra ricordare le cose e dimenticarle non è solo un fatto inconscio o di “degradazione” dei ricordi. Si è scoperto, al contrario, che scordare è un meccanismo attivo, che scarta e cancella i ricordi non voluti. «È come avere una scrivania disordinata e piena di documenti; dovete per forza eliminarne alcuni, altrimenti non troverete quello giusto» dice Michael Anderson, del Memory Control Lab all’Università di Cambridge, in Inghilterra, autore di numerosi lavori scientifici sulla “dimenticanza motivata”.
Come avviene questo processo, e soprattutto perché? «Quando abbiamo nuovi fatti o numeri da ricordare, come il Pin di una carta di credito, facciamo tutti gli sforzi per dimenticare il vecchio, che interferisce con il nuovo». Ci ripetiamo che il precedente è sbagliato e ribadiamo la sequenza di quello corretto.
I ricordi però non sono tutti uguali: alcuni, come il Pin di un bancomat, sono neutri e possiamo gestirli come se fossero scatole da buttare quando non servono. Altri, quelli che avevano colpito anche Freud, sono carichi di significato e di valori, di sentimenti e di emozioni. Su questi ricordi il nostro cervello lavora ancora più a fondo. Anderson dice che dimenticare è un’attività molto selettiva. Un esperimento spiega che cosa accade. «Se chiediamo a un gruppo di persone di riportare alla memoria tutti i fatti della loro vita, la gran maggioranza dei ricordi saranno positivi, e neutri: com’è possibile» si chiede Anderson «che nella vita delle persone quasi tutto sia stato bello? Significa che i ricordi negativi sono stati cancellati».
IL PESO DELLA MEMORIA. La dimostrazione che i ricordi negativi siano difficili da sopportare e possano portare a problemi mentali sono i cosiddetti ipertimesici: persone che possono dire con precisione dov’erano e cos’hanno fatto in un giorno assolutamente normale. «Nel mondo ci sono stati un paio di dozzine di ipertimesici» dice Anderson «e per loro ricordare qualsiasi cosa può essere un peso». Uno di loro, il russo Solomon Shereshevskii, era così oppresso dai ricordi che cercava tutti i trucchi per liberarsene, arrivava a scriverli su un foglietto per poi bruciarlo sperando così di incenerire anche la memoria di quei fatti. Anche nelle persone non affette da questa sindrome, alcuni eventi sono così presenti ed emotivamente rilevanti che sembra difficile liberarsene. Sono ad esempio i ricordi che assalgono coloro che sono colpiti da disturbo post traumatico da stress (Ptsd). Soldati che hanno combattuto tremende battaglie, persone che hanno vissuto avvenimenti terribili come l’abbattimento del World Trade Center, o chi ha subito lutti intollerabili. Si tratta di ricordi troppo forti per essere cancellati, “scavati” nel cervello dalle emozioni? Anderson pensa che tutto sia più complesso: «Attenzione a considerare il disturbo post traumatico da stress come una dimostrazione che le memorie sono incise nel cervello; la verità potrebbe essere che queste persone abbiano dei problemi nel meccanismo della dimenticanza e dell’attenzione».
LO SFORZO DEI RICORDI. Cosa accade se vogliamo dimenticare? Quando un ricordo sgradevole ci ritorna in mente, cerchiamo in tutti i modi di cambiare soggetto, di pensare ad altro e dirigere l’attenzione verso cose differenti. Tentare di escludere questi momenti negativi li rende, a lungo termine, effettivamente più difficili da ricordare.
Le memorie negative quindi vengono spostate dall’attenzione del nostro cervello, fino a che non ce le ricordiamo più. L’oblio sembra perciò una forma di adattamento della nostra mente, che abbiamo evoluto come contraltare della memoria. Ma perché? Le ragioni, spiega Anderson, sono due: riportare alla mente qualsiasi ricordo, positivo o negativo, comporta uno sforzo. Cercare di liberarsi di episodi che non hanno più grande rilevanza è quindi un modo come un altro di risparmiare energie.
C’è però anche un’altra ragione, molto più importante, che ha a che fare con il nostro equilibrio mentale. Nella nostra vita ci sono senz’altro esperienze sgradevoli, che ci mettono in ansia o a disagio quando le ricordiamo, come se le rivivessimo ogni volta con la stessa intensità. E non tutte sono legate al sesso, come diceva Freud, ma può trattarsi anche della perdita di persone care o di una cocente delusione d’amore. Liberarsene vuol dire anche non provare più le emozioni che ci fanno soffrire.
Si è scoperto che nel gestire l’oblio è coinvolta in particolare la corteccia prefrontale. Poiché è una delle aree con più neuroni sensibili alla dopamina (un postino chimico che trasmette le informazioni da una cellula all’altra), si pensa che proprio questa molecola sia implicata nella dimenticanza.
LA GOMMA NEL CERVELLO. Anderson ha scoperto due meccanismi che cancellano i ricordi: il primo, cosiddetto della “soppressione diretta”, agisce sull’ippocampo, un’antica parte del cervello che ha il compito di creare la memoria. Quando i nostri ricordi sgradevoli cercano di tornare a galla, aiutati appunto dall’ippocampo, li fa pian piano scomparire e infine li cancella. Se invece arrivano alla memoria conscia, il secondo meccanismo, quello della “sostituzione”, rimpiazza il ricordo negativo con un altro. I due sistemi dimostrano come l’evoluzione si sia data da fare.
Insomma, anche se non la pensate così quando non ricordate il Pin, o cercate di pensare a Mara invece che a Sara, dimenticare è un processo positivo. Che ci aiuta, eccome. Cancellando ricordi inutili e che ci turbano, per aggiornare la nostra memoria, e farci vivere meglio.
Marco Ferrari