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 2014  maggio 23 Venerdì calendario

“COSA NOSTRA? È COME ENTRARE IN SEMINARIO”

[Colloquio con Giovanni Falcone] –

Ero a cena con Giovanni Falcone e con Francesca Morvillo, una sera del 1987, in casa di un amico, Lucio Galluzzo, a Palermo: a mezzanotte andarono a sposarsi.
“Come due ladri”, dissero poi, solo quattro testimoni, così vuole la legge. Uscivano da tristi vicende sentimentali, e si erano ritrovati, con la voglia di andare avanti insieme, fino in fondo, fino alla strada che dall’aeroporto conduce in città.
“Perché non fate un bambino?” chiesero una volta a Giovanni. “Non si fanno orfani” rispose “si fanno figli”. Qualche tempo prima lo avevo intervistato per la tv, il nostro colloquio iniziò così: “Dottor Falcone mi fa un suo ritratto del mafioso. Chi è un mafioso?”
Mafioso è chi presta giuramento e diventa quindi un affiliato di Cosa Nostra.
Che cos’è la mafia?
La risposta non è semplice e rischia di essere fuorviante se dicessi semplicemente che la mafia è solo un’organizzazione criminale. Non bisogna confondere l’attività dell’organizzazione criminale con la mentalità mafiosa. L’organizzazione è ben individuata nelle sue complesse articolazioni, nel tempo non è mutata e ha sempre mantenuto i suoi obiettivi criminosi, con una grande capacità di mimetizzarsi nella società. Nel discorso inaugurale dell’anno giudiziario, fatto nel 1954, il primo nel dopoguerra, si disse che la mafia, più di un’organizzazione tenebrosa, costituisce un diffuso potere occulto. Da allora sono trascorsi oltre trent’anni e nulla è cambiato. Quando parliamo di mafia ci riferiamo a un’organizzazione criminale che ha per scopo il raggiungimento di fini illeciti attraverso un’attività di intimidazione, questo, comunemente, viene confuso con la mentalità mafiosa.
Dottor Falcone ci faccia capire che cosa intende per mentalità mafiosa.
Dividiamo la mafia in due parti: la prima, come ho detto, è data dall’attività criminosa, la seconda dal comune sentire, dal consenso popolare verso queste attività criminali.
Si può distinguere un mafioso?
Non esiste un cliché del mafioso. A prima vista il mafioso non è distinguibile. Chi dice il contrario commette un errore, oppure, l’affermazione è una semplificazione giornalistica. Per definire una persona mafiosa bisogna confrontarsi con fatti concreti e ogni caso singolo è un caso a sé. Perciò non è facile stabilire dall’esterno se uno è mafioso, lo si può intuire, lo si può sospettare. Non è da un dialogo che si può avere la certezza assoluta sull’appartenenza o meno alla mafia di una determinata persona.
La mafia è un’organizzazione che ha delle regole, e le fa rispettare. Entrare nel giro è come entrare in seminario: e si resta preti e mafiosi per sempre. Non si diventa ‘uomo d’onore’ se uno ha un padre carabiniere o uno zio giudice. È un modo di vivere.
La subcultura del fenomeno mafioso non è altro che la sublimazione e contemporaneamente la distorsione di valori che in sé potrebbero non essere censurabili, e che sono propri di vari strati della popolazione del mezzogiorno d’Italia e soprattutto della Sicilia. Per questo la mafia non è estranea al tessuto sociale che la esprime, ma ne fa parte.
Si riesce a stabilire un contatto umano con un mafioso?
Certamente, i mafiosi sono uomini come tutti gli altri, anche loro possono essere più o meno simpatici e possono avere un animo più o meno nobile.
Giovanni Falcone è il primo magistrato col quale Buscetta si abbandona: si incontrano a Brasilia, e il giudice istruttore ha subito l’impressione di trovarsi di fronte a una persona molto seria e dignitosa: ‘Tutti e due siamo palermitani’ dice Falcone. ‘Bastava un giro di frasi, un’occhiata, il riferimento a un luogo e a una vicenda, che ci capivamo. Giocavamo a scacchi’. Lo avverte: ‘Scriverò tutto quello che mi dice, e farò il possibile per farla cadere in contraddizione’. E Buscetta replica: ‘Intendo premettere che non sono uno spione, e quello che dico non è dettato dal fatto che spero di propiziarmi i favori della giustizia; le mie rivelazioni non nascono da un calcolo di interesse. Sono stato un mafioso e ho commesso degli errori, per i quali sono pronto a pagare interamente i miei debiti, senza pretendere sconti. Voglio raccontare quanto è a mia conoscenza su quel cancro che è la mafia, affinché le nuove generazioni possano vivere in modo più degno e umano’. Falcone elenca le scoperte che il discorso di Buscetta consente. Cosa Nostra ha una sua ideologia, anche se censurabile. Sfrutta certi valori del popolo siciliano: l’amicizia, l’onore, il rispetto della famiglia, la lealtà.
Dottor Falcone cosa rappresenta il pentimento di Buscetta?
Grazie a lui abbiamo compreso il fenomeno mafioso. Ci ha fatto conoscere la struttura, ha svelato come avviene il reclutamento, ci ha svelato il metodo, senza il quale non si può capire la mafia. Ci ha dato una chiave per entrare nel codice mafioso.
La collaborazione tra i magistrati americani e italiani ha portato all’arresto dei cinque padrini di Cosa Nostra americana, in pratica la cosiddetta “Commissione”: Salerno, Corallo, Langella, Rastelli e il boss dei boss Paul Castellano della famiglia Gambino. Come giudica l’operazione condotta a New York?
Eccellente, ma ho ancora pochi elementi per poterla valutare.
Che differenza c’è tra un membro di Cosa Nostra americana e un mafioso siciliano?
Cosa Nostra è nata in Sicilia e non a caso quella americana si chiama così perché è a immagine e assomiglianza di Cosa Nostra siciliana, anche se poi a causa delle diversità derivanti dalla nazione in cui l’organizzazione criminale opera e in cui vivono i mafiosi, hanno acquisito delle connotazioni particolari. Tutto è sempre riconducibile alla mafia siciliana.
Lei pensa che noi potremmo trarne qualche vantaggio da questi arresti?
È ancora troppo presto per poterlo scoprire. Una cosa è certa: Cosa Nostra americana ha avuto il massimo ‘splendore’ negli anni Venti e Trenta, poi è cominciata a diminuire, mentre la mafia italiana dagli anni Settanta ha cominciato a crescere e a diffondersi.
Quale è l’attività prevalente della mafia?
Oltre all’estorsione, l’attività più lucrosa è quella del traffico degli stupefacenti. L’Italia sul mercato della droga è presente a diversi livelli: come produttore soprattutto nel passato, quando l’eroina, spedita dal Medio Oriente, transitava attraverso il nostro paese, la mafia la lavorava e la spediva in America; oggi l’Italia è un paese dove il consumo è in forte aumento, ci sono dai cento ai duecentomila eroinomani. Sempre in questi ultimi anni le attività criminose della mafia sono aumentate, questo le ha permesso di creare una serie di collegamenti con altre organizzazioni a livello internazionale, ad esempio: ha creato un canale diretto con il sistema bancario che le permette di riciclare il denaro sporco. Questo ci preoccupa molto perché non ci sono leggi adeguate per svolgere controlli all’interno delle stesse banche.
Per trovare la mafia bisogna andare dove c’è il profitto?
Non necessariamente, anzi bisogna stare attenti perché il rischio è quello di fare di ogni erba un fascio, questo sarebbe un grande regalo alla mafia. Perché tutto è mafia e niente è mafia.
Cosa Nostra negli anni si è evoluta?
Questo è il problema di chi lotta contro la mafia: riuscire a recepire la naturale evoluzione del fenomeno mafioso, perché riuscendolo a cogliere in tempo ci consentirebbe di poter intervenire rapidamente. Il problema, ancora una volta, è di struttura e di professionalità della polizia e della magistratura. Dobbiamo tener presente che dovremo confrontarci con questo problema ancora a lungo nei prossimi anni.
C’è una differenza tra la mafia di ieri, di oggi e quella di domani?
Io non farei una distinzione così netta tra mafia soprattutto tra quella di oggi e quella di domani.
Cosa chiede per poter andare avanti con maggiore efficienza?
Abbiamo bisogno di passare da una fase artigianale a una fase maggiormente professionale sia dal punto di vista organizzativo che nell’attività istruttoria.
Oggi la mafia è più forte perché ha trovato complicità economiche e complicità politiche?
La mafia gode di una rete protettiva. Ci sono collegamenti, collusioni, convivenze di cui la mafia si nutre. È evidente che lo sforzo che deve essere fatto, adesso e nel futuro, è quello di saper isolare il fenomeno criminale da quella rete di protezione che finora lo ha avvolto.
Il rapporto tra mafia e politica.
Un problema reale, molto grave, soprattutto sottovalutato. La società è portata a dare una lettura inadeguata del rapporto tra mafia e politica. La gravità è che la mafia, in virtù del rapporto con la politica, in autonomia, pone le regole del gioco.
Dottor Falcone, io credo che sia importante parlare di mafia non solo quando accadono fatti di cronaca. Lei cosa ne pensa?
Non è importante parlarne, ma importantissimo , però bisogna farlo correttamente. Parlarne serve a far sì che vi sia maggior sensibilità sociale verso questo grave problema. Purtroppo, caro Biagi, spesso manca la correttezza dell’informazione, non parlo di malafede ma di superficialità sì.
La mafia sembra invincibile. Si riuscirà mai a sconfiggerla?
La mafia non è affatto invincibile, ha avuto un inizio e avrà una fine come tutto ciò che nasce dall’uomo. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave. Per sconfiggere la mafia non occorrono eroismi, ma nella battaglia devono essere usate le forze migliori. Le forze dell’ordine e la magistratura devono essere dotate di strumenti adeguati.
Lei ha paura?
L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, ma è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Questo è il coraggio altrimenti non è più coraggio ma incoscienza.
È mai stato tentato di abbandonare la lotta? Lei è costretto a rinunciare alla sua privacy.
No, mai.
L’aria della Sicilia non sa di zagare, di mare o di gelsomini, odora di domande. La prima, la più angosciosa: chi uccideranno adesso, a chi toccherà? e perché proprio in questo momento? Il dottor Giovanni Falcone sapeva. Anche Dalla Chiesa cadde perché era solo, e senza poteri. E qualcuno che adesso piange, farebbe bene, per decenza, a tirarsi da parte. “Perché la mafia uccida – spiegava Falcone – ci vuole una agibilità politica”.
I mafiosi devono sentire che, in qualche modo, sei abbandonato a te stesso. Ti hanno segnato nel libro, e non dimenticano.

Enzo Biagi, Il Fatto Quotidiano 23/5/2014