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 2014  maggio 23 Venerdì calendario

PERISCOPIO


LUNEDÌ – E se domenica Renzi perde, noi, lunedì mattina, che facciamo? Colazione. Jena. La Stampa.



Il nemico dei neoconservatori non è né lo statalismo, né il socialismo, ma il liberismo. Zeev Sternhell, storico. Le Point.



Berlusconi mi disse: «Smentisci la Ariosto e io ti faccio sindaco di Milano». È il 15 marzo 1996. Roma è incappucciata dalle nuvole. Pioviggina e spira un vento fresco. Silvio Berlusconi è seduto di fronte a me, nell’elegante salotto della sua dimora capitolina, in via dell’Anima. I suoi occhi sono fissi nei miei. Siamo soli, senza testimoni: è la resa dei conti. «Ti metto a disposizione i miei telegiornali, mi dice. Non ti chiedo molto, basta una tua semplice dichiarazione». Il colloquio durò circa mezz’ora e fu doloroso per entrambi. Il patto proposto da Berlusconi era allettante. Sapeva della mia aspirazione a diventare sindaco di Milano, la città dove vivo e lavoro da sempre. Ma accettarlo non era possibile. Vittorio Dottim L’avvocato del diavolo. Chiarelettere.



Accanto all’ingresso dei testimoni, a Palazzo di giustizia di Milano, un drappello di avvocati discute. Alcuni di loro parlano in tono concitato d’irregolarità e di un ufficio, quello della procura, che non funziona più. «Adesso bisogna anche stare attenti a un sorriso, a una stretta di mano, a un gesto di confidenza scambiato con un pm. Se parli con uno, poi gli altri ti guardano male». Salvatore Merlo. Il Foglio.



Ricordate Ncd, alias il Nuovo Centro Destra (nato a novembre dalla scissione dei ministri Pdl che non volevano mollare le poltrone del governo Letta e infatti le conservarono nel governo Renzi)? Alfano li battezzò con l’immortale definizione di «diversamente berlusconiani», superata però, in umorismo, da quella scalfariana di «nuova destra europea e repubblicana». Bene, in meno di sei mesi di vita, si sono affermati come la bad company di Forza Italia: infatti la sola caratteristica che li fa diversamente berlusconiani è che hanno collezionato qualche inquisito e detenuto più dei berlusconiani. Pareva una missione impossibile, invece ce l’han fatta. Chapeau. Marco Travaglio. Il Fatto.



Il leader Cinque stelle affronterà oggi la chiusura della campagna elettorale a Roma, in piazza San Giovanni. Sarà un successo. Sento ovunque arrivare nuovi consensi: la cugina che votava Almirante e poi Berlusconi è diventata una grillina felice. Idem la cugina stra-sinistra, convinta che soltanto dopo una scossa ci potremo ritrovare un Pd più di lotta e meno di chiacchiere. Roma grillina sarà la novità delle votazioni di domenica prossima. Barbara Palombelli. Il Foglio.



Il luogo per me più straordinario d’Italia è Santa Caterina d’Alessandria, che è una chiesa di Galatina, in Puglia. C’è una delle articolazioni pittoriche del ’300 e ’400 più ricche d’Europa. Perché un luogo così non è una meta leggendaria per i turisti? È a questo interrogativo che si dovrebbe rispondere (e pensare). Philippe Daverio, critico d’arte. Sette.



Se la Turchia entrasse nell’Europa sarebbe una sciagura, oltre che per l’Europa, anche per la Turchia. Lo dico dopo aver visitato Istanbul dopo tanti anni. Allora comprai Il Giornale con una banconota da un milione di lire turche, oggi ho pranzato a base di ottimo boreck con 6 lire (2 euro). La Turchia è un paese vitale, un popolo fiero della sua identità, con un’economia reattiva, una popolazione giovane. Con un ordine, una manutenzione e un’efficienza che noi ce le sogniamo, un tram magnifico ogni pochi minuti nel cuore della città, un metrò per l’aeroporto, altro che Roma, Napoli, Milano. Hanno i loro guai, ci sono gli integralisti, le tensioni, la crisi non li risparmia. Ma la Turchia reagisce da grande nazione. Perchè dovrebbe ridursi a fanalino di coda dell’Europa, subire i diktat contabili degli eurocrati? Un impero antico e glorioso, anche feroce, figlio di Bisanzio, perché dovrebbe scadere al rango di Terrone Cattivo d’Europa? Come mi ha detto il vispo venditore di borek: «Noi stiamo bene qui, da voi invece succedono cose turche». Marcello Veneziani. Il Giornale.



Grazie al telecomando siamo dovunque nello stesso tempo, si passa da un luogo all’altro, si salta da una storia all’altra, si rompe un discorso per catturarne un altro, ci si sottrae brutalmente a una logica, a una coerenza, per, con altrettanta violenza, inserirsi in un’altra logica, in un’altra coerenza, che noi abbandoneremo, può essere, all’istante, magari perché non lo capiamo, per volare verso altre immagini, supposte più attraenti, che noi scegliamo di guardare o di rigettare sulla base di riflessi, di umori, di pulsioni. Vecchio sogno dell’uomo, la conquista dell’ubiquità riposa nel piccolo aggeggio che abbiamo nelle mani davanti alla tv. I bambini se ne servono senza limiti. A loro sembra del tutto normale essere degli ubiquisti. Bernard Pivot, Le métier de lire, il mestiere di leggere. Gallimard, 1990.



Pochade a Torino - Nel Po c’è un po’ di popò / ce la fece l’Enza San Po / Popò wagen scoreggiano nella città sabauda / resti di popò Food / gli allobrogi / godono la Pop-o Art /, bevendo la Popò Kola.../ ma chepo-pò di poesia / nella città di / Nespolo. Luigi Serravalli, critico d’arte e scrittore.



«Buon giorno», disse il giovanotto con la busta sotto il braccio al portiere dello stabile, «devo dare un paio di schiaffoni al signore del primo piano?». «Non c’è», avvertì il portiere dello stabile, «è uscito». «Fa niente», seguitò il giovanotto con la busta sotto il braccio, appioppando due ceffoni al portiere dello stabile. «Io li lascio a lei; se non le dispiace, glieli dia quando rientra?». A.G. Rossi, Porco qui, porco là. Bietti.



«A gh’è on omm, a gh’è on omm», gridava come se, nel suo intuito di isterica, vedesse un’ombra nemica oltre i muri: istintivamente tutti gli altri guardarono la porta. La maniglia si abbassò. Tutti trattennero il fiato. La mano, dall’altra parte, trovata chiusa la serratura, scosse la maniglia con più energia. «Chi è là?», gridò Archita staccando la doppietta dal muro. Ma non venne altra risposta che quella di un tuono più forte degli altri, mentre Berin raddoppiava il suo abbaiare. «Chi è a quest’ora?», gridò, bianca, l’Esterina. «Banditi», rispose una voce, «banditi delle poste e telegrafi». Luigi Santuci, Il velocifero. Mondadori, 1963.



Quando non avrò più niente da dire, dirò quello che gli altri mi diranno di dire. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 23/5/2014