Roberto Procaccini, Libero 23/5/2014, 23 maggio 2014
ALL’ULTIMO STADIO
«Gli ultras sono dipinti come il male del calcio italiano. E’ una banalizzazione. Il tifo organizzato è un fenomeno complesso, non virtuoso, appiattito nel dibattito quando sale l’allarme sociale».
Luca Bifulco è ricercatore in Sociologia della Federico II di Napoli. Ed è autore, insieme al collega Francesco Pirone, di A tutto campo (Guida editore, 240 pp, 10 euro), analisi scientifica del calcio italiano e internazionale. Si va dall’organizzazione politica all’impianto economico dello sport più amato nel Belpaese. Per Bifulco, specializzato in sociologia dello sport e del conflitto, il primo capitolo non poteva che essere sul tifo. «Il calcio è insieme una rappresentazione della caccia e della guerra» spiega «innesca in tutti noi meccanismi di partecipazione e identità profondissimi». Un teatro che risveglia sentimenti ancestrali, detto in altri termini. «E’ una passione che si radica grazie alla sua ritualità» aggiunge «vedere le partite nello stesso settore, con le stesse persone, rispettando liturgie ben definite”. Nel calcio contano le tradizioni, dunque, così come le rivalità, anche feroci: «Ogni comunità forgia il noi continua anche grazie alla contrapposizione a un nemico comune». Qui, dunque, il richiamo è doveroso alla cronaca di questi giorni che fotografa Ballottelli, punta di diamante della Nazionale in allenamento, che viene fischiato dai tifosi fiorentini appena messo piede nel campetto di Coverciano.
E qui, sempre inevitabilemente, entrano in ballo gli ultras, l’autoproclamata élite del tifo che domina le curve e, da lì, gli stadi. «Quella degli ultras è una subcultura antagonista, dove l’odio ha un valore centrale», spiega Bifulco. I nemici sono numerosi: i tifosi delle altre squadre, le forze dell’ordine, lo Stato, il «calcio moderno» (inteso come sistema dove le esigenze economiche prevalgono sui valori sportivi). Prima puntualizzazione: manca è una chiara differenza tra tifosi e ultras: «C’è invece un continuum» precisa il sociologo napoletano «si procede per gradazioni, si va dal frequentatore del settore, a chi orbita nell’area dei gruppi, a chi vi milita».
Dai fatti di Roma -(la finale di Coppa Italia macchiata dal sangue di una sparatoria sono passati venti giorni. Sul tema violenza negli stadi si sono espressi in molti, dal ministro dell’Interno Angelino Alfano all’opinion leader Roberto Saviano. Ma Bifulco, che era all’Olimpico ammonisce: «Prima di porre in essere qualsiasi iniziativa politica, bisogna conoscere di cosa si parla». I punti da precisare sono allora molti. «Va rimarcata la differenza tra aggressività simbolica e violenza praticata » argomenta il sociologo «il calcio italiano è molto meno pericoloso di quanto si creda». E poi c’è un problema di definizione: «In uno stadio si possono avere vari comportamenti devianti: entrare senza biglietto, scagliare oggetti in campo, tirare una banana a un giocatore di colore, far esplodere petardi, battersi in un corpo a corpo con altri tifosi o con poliziotti». L’errore, secondo il sociologo, è ricondurre tutto sotto il cappello della violenza ultras: «Sono azioni che generano da situazioni diverse, e che non possono essere spiegate e quindi affrontate riportandole alla stessa matrice causa-effetto».
Il fenomeno ultras, asserisce Bifulco, si presta a ulteriori equivoci: «Leggo spesso di collusioni con la mala, ad esempio». Non è vero? «Certo che lo è, ma bisogna ricordare che i gruppi ultras sono territoriali. Le relazioni con la criminalità non nascono in curva e non sono una caratteristica del fenomeno. Semplicemente, certi ultras se le portano dietro dalle proprie frequentazioni di quartiere». Le redini sono in mano alla politica, come sempre, d’altronde.
«Gli stadi italiani mancano di tutto: comfort, visibilità sicurezza» dice il sociologo «le soluzioni possibili sono diverse». La più famosa è quella
inglese: stadi di proprietà e biglietti più cari. «Una selezione di classe difficile da replicare in Italia» spiega Bifulco «Gli hooligans venivano dalle classi disagiate, da noi invece il fenomeno ultras è socialmente eterogeneo. Oltretutto, se provi a escludere una parte del pubblico, devi poi gestire la sua reazione». C’è altro che a Bifulco piace del modello inglese: «La demilitarizzazione simbolica degli stadi. Le barriere, la polizia in assetto antisommossa, la minaccia del Daspo: sono elementi che aumentano l’aggressività». Altri esempi vengono dal centro e nord Europa, dove è forte il dialogo tra società sportive e gruppi: «Dopo Genny ‘a carogna» commenta Bifulco «da noi l’idea risulta intollerabile. Eppure i tifosi sono uno dei protagonisti dello spettacolo, è giusto consutarli su alcuni temi». L’Italia, intanto, è ferma in mezzo al guado: «i vedono soluzioni di compromesso, a volte puerili, come i divieti sugli striscioni». Ma le società sono sempre e solo vittime? Per il sociologo Alessandro Dal Lago ha scrittoil celebre saggio Descrizione di una battaglia: i rituali del tifo la risposta è no. «Gli ultrà hanno la complicità dei club, che data la situazione non chiara di dissesti finanziari avrebbero interesse a ricevere aiuti dal governo, e le violenze potrebbero mascherare questi aiuti o renderli accettabili», fa sapere. Violenze sempre più spesso decise a tavolino. È il capo della polizia Antonio Manganelli, settembre del 2008, a certificare la presenza della camorra dietro gli ultrà napoletani giunti a Roma con un treno “preso” con le maniere forti». La situazione non è migliorata oggi, anzi.