Roberta Carlini, L’Espresso 23/5/2014, 23 maggio 2014
PIÙ UGUALI SI STA MEGLIO
[Colloquio Con Alan Krueger] –
Alzare i salari più bassi, abbassare i redditi al top. Scuole e quartieri sani, per tutti i bambini. E un’economia che torna a crescere. Ecco come combatterebbe la diseguaglianza Alan Krueger, capo degli economisti del presidente americano Barack fino al 2013, negli anni più turbolenti della recessione. Anni duri, dopo i quali è arrivata una crescita modesta, e una forte discussione pubblica sulla diseguaglianza. La forbice tra ricchi e poveri che si allarga, il ceto medio che sparisce, la terra delle opportunità che diventa un pantano dell’immobilità sociale: tutti temi che dalle dispute teoriche sono saltati nell’agone politico - al top dell’agenda di Obama - e nella discussione quotidiana. Krueger, che insegna all’Università di Princeton, sarà a Trento tra i relatori del Festival dell’Economia, che si aprirà il 30 maggio e che il primo giugno ospiterà una nuova giornata dei Dialoghi de “l’Espresso”.
Professor Krueger, come mai oggi l’America scopre la diseguaglianza?
«Negli scorsi anni l’attenzione è stata distratta dalla crisi finanziaria e dalla recessione. Adesso che l’economia è in ripresa ci si può concentrare sui problemi causati da una diseguaglianza crescente, che ha continuato ad aumentare durante la crisi ed è ormai giunta a livelli così alti da costituire una minaccia per il Paese».
Negli Stati Uniti è un caso editoriale il successo del libro di Thomas Piketty sul “Capitale nel XXI secolo”. Vi si sostiene che la Francia è tornata al mondo di papà Goriot, dove la ricchezza di famiglia o un buon matrimonio contano più di ogni altra cosa. Seicento pagine di teorie e numeri: non certo una lettura leggera. Come spiega la Piketty-mania?
«Se potessi spiegarla l’avrei scritto io stesso! Ma certo colpisce il successo di questo libro, poco conosciuto finché era in francese, popolarissimo dopo la traduzione inglese. È arrivato al momento giusto, proprio quando l’attenzione si stava spostando dai problemi della recessione a quelli della diseguaglianza. E Piketty aveva fatto, insieme a Emmanuel Saez, un lungo e pionieristico lavoro per documentare, Paese per Paese, gli andamenti dei redditi più alti. La teoria che propone nel libro - secondo cui la diseguaglianza aumenta perché il rendimento del capitale supera il tasso di crescita - è sufficientemente complicata da non parere ovvia, ma è comprensibile ai più».
Forse conta anche il modo in cui si narra l’economia. Qualche anno fa, lei ha fatto ricorso a una formula efficace sulla diseguaglianza, “la curva del Grande Gastby”. Persino gli economisti possono diventare simpatici comunicatori?
«Ho usato quel termine per descrivere la relazione tra la diseguaglianza dei redditi in una generazione e la mobilità nella generazione successiva. Il punto fondamentale è che nei Paesi con maggiore diseguaglianza si produce un gap crescente tra i successi ottenuti dai figli dei ricchi e quelli raggiunti dai figli dei poveri. In poche parole: la diseguaglianza genera diseguaglianza crescente, e la società si polarizza sempre più. È quel che è successo negli Stati Uniti: le fortune dei genitori contano oggi molto di più accadesse in passato».
È possibile una risposta politica?
«La diseguaglianza nasce nel settore privato ma la politica ha un ruolo nel ridurre i suoi effetti dannosi, mantenendo però i benefici che vengono da un sistema che premi chi crea, chi ha il coraggio di assumersi rischi, chi lavora sodo. Ma se il governo deve fare la sua parte, è necessario anche un impegno del settore privato, che dovrebbe sostenere i lavoratori con redditi più bassi, e riformare quei sistemi di governance delle imprese che portano a paghe eccessive per i manager. Bisognerebbe poi dare linfa a ogni iniziativa possibile per garantire ai ragazzi nati in condizioni di svantaggio maggiori opportunità e un ambiente sicuro in cui crescere. Infine, un’economia più forte aiuterebbe».
L’amministrazione americana sembra oggi più sensibile a questo tema, rispetto ai governi europei. Pare un paradosso, visto che l’eguaglianza è uno degli ideali alla base del modello europeo di welfare. Come lo spiega?
«Conta il fatto che gli Usa sono usciti prima dalla crisi. Hanno risposto in modo più incisivo e immediato, con provvedimenti che hanno prodotto effetti concreti e una moderata ripresa. L’Europa è rimasta in recessione più a lungo poiché le politiche di austerità imposte ai paesi del Sud hanno peggiorato la caduta della domanda. Queste politiche possono esacerbare le diseguaglianze, dato che i programmi di spesa pubblica vanno spesso a supporto dei redditi più bassi; e la recessione peggiora le cose, poiché colpisce i più deboli».