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 2014  maggio 23 Venerdì calendario

TIZZAZIONI FINCANTIERI CAMBIA ROTTA


Giuseppe Bono comanda in Fincantieri da dodici anni. Adesso è lui il capoazienda più longevo di tutta l’industria di Stato. Usciti di scena Paolo Scaroni e Fulvio Conti, per quasi un decennio a capo di Eni ed Enel, con Mauro Moretti fuori da Trenitalia e Massimo Sarmi dimissionato dalle Poste, nessun manager pubblico può vantare un’anzianità di servizio pari a quella dell’amministratore delegato di Fincantieri. Cambi di governo, crisi aziendali, recessione. E poi bufere giudiziarie su manager ed ex amministratori del gruppo cantieristico. Niente, l’inossidabile Bono, classe 1944, è sempre rimasto al suo posto e adesso si prepara a tagliare il traguardo più importante di una lunga carriera: la quotazione in Borsa.
Non è il primo tentativo. Fincantieri provò lo sbarco sul listino già nel 2007. L’economia tirava e mezzo mondo chiedeva navi nuove, dai colossi da crociera ai mezzi militari. Poi la crisi ha gelato tutto, comprese le ambizioni dell’azienda pubblica, che adesso ci riprova. Il clima sembra favorevole. Dopo anni di sofferenza gli ultimi bilanci sono tornati all’utile e la domanda, specie per i colossi da crociera, ha ripreso a crescere. Anche la politica rema a favore. Il governo di Matteo Renzi non vede l’ora di dare il calcio d’inizio alla partita delle privatizzazioni, annunciata e sempre rimandata dagli esecutivi precedenti, quello di Enrico Letta e, prima ancora, di Mario Monti. Infine, sui mercati finanziari, c’è una massa enorme di liquidità in cerca di impieghi.
Bisogna fare in fretta, però, perché il vento potrebbe girare in fretta. La tabella di marcia più aggiornata fissa a fine giugno l’approdo al listino. Manca ancora il via libera definitivo della Consob al prospetto informativo, ma è già stato annunciato che l’azionista pubblico, tramite Cassa Depositi e Prestiti, manterrà la quota di controllo: il 51 o forse il 60 per cento, con il resto del capitale destinato alla platea degli investitori. Il denaro raccolto in Borsa andrà in parte alla stessa Fincantieri, che metterà sul mercato azioni nuove per un massimo di 600 milioni.
Il gruppo che si offre al giudizio del mercato è profondamente diverso da quello che, sette anni fa, aveva già fatto rotta verso il listino. E il cambiamento non riguarda solo il conto economico, che nel 2013 si è chiuso con un risultato industriale di quasi 300 milioni (più del doppio rispetto al 2012) e un utile netto di 85 milioni, contro i 15 milioni dell’esercizio precedente. I profitti ritrovati sono la luce in fondo a un tunnel di guai. Tra il 2009 e il 2012 la crisi ha spazzato via intere aziende, cantieri colossali e migliaia di posti di lavoro in tutto il mondo. L’azienda guidata da Bono, che nel 2011 aveva presentato un piano lacrime e sangue con 2.500 tagli su 8.200 dipendenti, ha preso al volo il salvagente (e i relativi soldi pubblici) della cassa integrazione per oltre 2 mila lavoratori. I tagli sono arrivati lo stesso, ma con gradualità: tra il 2012 e il 2013 sono usciti un migliaio di operai e di impiegati (e altrettanti sono in cassa), ma gli otto cantieri italiani del gruppo sono ancora tutti attivi, compresi quelli di Castellammare di Stabia e di Sestri Ponente, di cui tre anni fa era stata annunciata la chiusura.
Nel caso di Fincantieri, alle perdite del settore navale si sono poi aggiunti i danni d’immagine legati alle vicende personali di amministratori e altri uomi d’affari entrati in contatto col gruppo. La carriera del leghista Francesco Belsito, passato in pochi anni da autista a vicepresidente del colosso della cantieristica, è diventata uno dei simboli della peggiore lottizzazione politica. Belsito è stato infine arrestato nel 2013 per la scriteriata gestione dei fondi della Lega Nord, ma per mesi il marchio Fincantieri è rimbalzato da un’intercettazione telefonica all’altra, in qualche caso associato a improbabili affari e mediatori internazionali non proprio al di sopra di ogni sospetto.
«Storie vecchie», è il ritornello dei vertici aziendali ogni volta che sui giornali riaffiorano questi episodi. In effetti, dai tempi di Belsito (che comunque diede le dimissioni da vicepresidente ben prima del suo arresto) la governance del gruppo pubblico è stata rinnovata. Resiste al timone Bono, mentre l’anno scorso è stato nominato presidente Vincenzo Petrone, già ambasciatore in Giappone e in Brasile. Il board è completato da tre amministratori indicati da Cassa Depositi e Prestiti, ma prima della quotazione, come prescrivono le regole di Borsa, dovrà essere integrato da quattro consiglieri indipendenti.
Lo sbarco sul listino azionario è la prima scadenza urgente. In generale, però, la nuova squadra di vertice è chiamata a completare il rilancio dell’azienda su un mercato ancora zoppicante come quello della cantieristica. Il grosso delle commesse finisce ai costruttori dell’estremo Oriente, con Giappone, Cina e Corea che dominano il settore dei grandi mercantili, portacontainer e delle petroliere. Restano le navi più avanzate dal punto di vista tecnologico, quelle militari, i giganti da crociera, i super yacht. Sono questi i prodotti che, nei decenni passati, hanno fatto la fortuna dell’azienda italiana. Il crollo degli ordini negli anni della crisi più nera ha però spinto Fincantieri su mari fin qui inesplorati. Ed ecco che nelle prime settimane del 2013 è stata completata un’acquisizione che ha cambiato gli orizzonti strategici del gruppo. La preda si chiamava Stx Osv, poi ribattezzata Vard, un’azienda messa in vendita dai coreani di Stx che si è portata in dote quasi 10 mila dipendenti e circa 1,6 miliardi di giro d’affari in un settore importante come quello delle navi e degli impianti di supporto all’esplorazione e all’estrazione offshore di petrolio e gas naturale. Bilancio alla mano, Fincantieri ha quasi raddoppiato le proprie dimensioni, rilevando il controllo di una decina di importanti cantieri dislocati in mezzo mondo: dalla Norvegia, dove si trova il quartier generale di Vard, all’India, dalla Romania al Brasile e al Vietnam.
L’offshore apre nuove prospettive d’affari e garantisce una fonte di ricavi supplementare che serve come diversificazione rispetto ai tradizionali settori d’attività. I critici segnalano che la nuova Fincantieri è meno italiana, visto che ormai più della metà delle attività produttive e dei dipendenti si trova oltrefrontiera. È facile ribattere che è comunque meglio una Fincantieri «meno italiana» piuttosto che una Fincantieri con i bilanci impiombati dalle perdite. L’anno scorso, per dire, la commessa più importante, circa 1,1 miliardi di dollari (800 milioni di euro), è arrivata proprio grazie a Vard, che si è aggiudicata la costruzione di quattro navi posatubi e di supporto alle costruzioni offshore. Il portafoglio ordini del gruppo, pari a oltre 13 miliardi di euro, è per circa un terzo legato all’azienda comprata l’anno scorso con un investimento di 500 milioni.
Resta il tradizionale rapporto con l’apparato militare, che vale un altro 30 per cento delle commesse non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti, negli Emirati Arabi, in Turchia. I vertici sperano che venga presto messo nero su bianco, sotto forma di nuovi contratti, il piano di rinnovo della flotta navale italiana, così come previsto nella legge di stabilità 2014. Sarebbe un salto di qualità e una pioggia di denaro. L’impegno di spesa del governo sfiora i 6 miliardi di euro su base ventennale. E l’appalto sarebbe destinato per intero ai cantieri italiani, costretti da anni a lavorare a ritmo ridotto per mancanza d’ordini. Si vedrà. I tempi della politica sono quelli che sono, sempre che il piano non venga rivisto al ribasso in un futuro prossimo.
Più concrete sembrano le prospettive di crescita nel settore delle navi da crociera. Le grandi compagnie del settore (Carnival, Msc, Princess Cruises, Seven Seas Cruises, Viking) hanno ripreso a investire e Fincantieri è fin qui riuscita ad aggiudicarsi un maggior numero di ordini rispetto a rivali come i tedeschi di Meyer Werft e Stx France. Di recente, dai cantieri di Monfalcone, sono uscite navi da crociera tra le più grandi del mondo come la Royal Princess e la Regal Princess, quest’ultima consegnata domenica 11 maggio alla presenza di Renzi. La cerimonia è così servita da doppio spot. Uno, politico, per le elezioni Europee del 25 maggio. E l’altro in vista dello sbarco in Borsa di Fincantieri. Destini incrociati.