Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 22 Giovedì calendario

«MAI ANDATO A SCUOLA, VI SEMBRO PIÙ STUPIDO?»

[Intervista a André Stern] –

È il sogno di ogni bambino: non andare a scuola. Svegliarsi al mattino e decidere sul momento che cosa fare: dipingere, suonare uno strumento, fare una passeggiata, leggere un libro, costruire un oggetto. Ma soprattutto giocare e imparare giocando. Per André Stern, classe 1971, questo sogno è diventato realtà. Grazie a papà Arno, pedagogista di origine tedesca vissuto in Francia, e mamma Michèle, maestra d’asilo. Un esperimento che Arno Stern ha voluto condurre su suo figlio e che ora André racconta in un libro: Non sono mai andato a scuola. Storia di un’infanzia felice (Nutrimenti, 191 pagine, 15 euro) divenuto un caso editoriale in Germania e in Francia, dove è giunto già alla sesta edizione, e in corso di traduzione in altri 10 paesi. Proprio scrivere e raccontare la sua storia è diventato il lavoro di André.
Il suo libro è un invito alla disubbidienza? Marinare la scuola per essere felici? Assolutamente no. Sulla scorta della mia esperienza il libro è un invito a guardare all’educazione da un’altra prospettiva, mettendo al centro il bambino. Ciò che conta è rispettare le disposizioni spontanee del fanciullo e il suo ritmo naturale di crescita. Abolirebbe la scuola?
No, non è affatto questo il messaggio del libro. Quello che mio padre ha sperimentato con successo su di me non può neppure essere considerato un metodo valido per tutti. Dipende sempre dal bambino che si ha di fronte. Bisogna cercare di comprendere qual è il suo carattere e quali sono le sue attitudini per proporgli un percorso adatto. Mio padre con me ha fatto la scelta giusta, non facendomi andare a scuola. Non si tratta quindi di abolire la scuola ma di rinnovare il «paesaggio educativo».
Oggi lei ha un figlio, Antonà. Andrà a scuola?
No, non lo manderò a scuola. Desidero che quella che per me è stata una straordinaria avventura di crescita e di formazione possa esserlo anche per mio figlio. Gli offrirò un percorso alternativo fatto di scoperte, di esperimenti, di apprendimento manuale e intellettuale, senza gli steccati a cui siamo abituati. Cosa pensano di questa scelta le autorità scolastiche francesi?
In Francia è possibile perché la scuola non è obbligatoria, pertanto si può offrire al bambino un itinerario di apprendimento totalmente autonomo. Ma in concreto lei cosa faceva tutto il giorno, invece di studiare?
Imparavo: molto di più e molto meglio che se fossi stato tutto il tempo sui banchi di scuola. Imparavo a lavorare il rame e così acquisivo le nozioni di chimica e di geometria; dipingevo o mi costruivo da solo i treni e così scoprivo a poco a poco la meccanica; suonavo la chitarra e andavo dal liutaio per imparare a fabbricarla. Altri giorni invece leggevo, leggevo per ore senza mai stancarmi: non libri per bambini, ma spesso opere intere di alcuni autori, cominciando dalla contessa di Ségur, passando per Proust per approdare a Camus, solo per fare alcuni esempi. Poi le lingue straniere, la matematica. Facevo tutto con grande spontaneità, senza essere costretto a passare da una materia all’altra come accade nella scuola. E la scrittura?
Mi è sempre piaciuta la scrittura e ho sempre sognato di fare il giornalista. Da piccolo scrivevo e fotocopiavo per i parenti e gli amici un mio giornalino Information familiale (Informazione familiare, ndr) redatto con l’aiuto di mia mamma e di mia sorella Eleonore, cui aggiunsi il supplemento motori: la Gazette d’échappement (cioè Gazzetta di scappamento, ndr). Così ho imparato a scrivere bene e senza errori, perché ci tenevo moltissimo a quella pubblicazione.
Non rischiava di trovarsi solo e senza amici, non andando mai a scuola? Al contrario ho sempre avuto l’opportunità di fare tante amicizie diverse, che coprivano l’ampio ventaglio dei miei interessi. Ma la cosa principale è che non si trattava solo di amicizie di coetanei, come accade nella scuola, bensì di amici di tutte le età, spesso anche più grandi, che mi insegnavano tante cose nelle diverse attività che svolgevo.
Qual è il segreto di questo approccio? Che cosa vuol dire escludere la scuola dalla formazione?
Il segreto è suscitare entusiasmo. Il neurologo tedesco Gerald Hüther, con i suoi studi, ha dimostrato quanto sia importante l’entusiasmo per l’apprendimento. Un bambino piccolo, infatti, prova una sensazione di entusiasmo da 20 a 50 volte al giorno. Questo fenomeno induce i neuroni a entrare in azione creando nuovi contatti e rafforzando quelli già esistenti. L’entusiasmo è il concime del cervello. Gli adulti invece provano una sensazione di entusiasmo due o tre volte l’anno. Questo spiega la lentezza e la difficoltà di apprendimento da parte loro a confronto con i bambini. Dobbiamo creare le condizioni per poter sfruttare l’entusiasmo dei bambini senza costringerli dietro un banco di scuola. È una forma di «ecologia dell’infanzia e dell’educazione». Qual è il limite della scuola?
Il limite principale sta nella pretesa di offrire un percorso che vada bene per tutti, incapace di tenere in considerazione e valorizzare le differenze. Non si tratta di rifiutare la scuola, ma di trovare percorsi di crescita capaci di cogliere e sviluppare le peculiarità di ciascuno. Dobbiamo avere fiducia nei nostri figli, nelle loro potenzialità.
A sentire lei sembra facile...
Nelle conferenze e negli incontri che faccio ormai in giro per il mondo non mi stanco mai di ricordare che per un bambino imparare la lingua materna è molto più difficile che imparare a guidare un jet. Eppure questo avviene nei primi anni di vita con grande naturalezza. Basta vedere anche la facilità che hanno i bambini nell’apprendere l’informatica e l’uso degli strumenti digitali senza bisogno di maestri o di lezioni particolari.
Ma senza essere andati a scuola è più difficile trovare un lavoro? Bisogna fare molta attenzione alla differenza tra qualificazione e competenza. La scuola, al pari dell’università, punta a garantire una qualificazione attraverso i titoli e i diplomi che rilascia. Ma non garantisce l’effettiva competenza in quelle materie. L’esperienza sul campo crea invece la competenza. Perciò un’azienda che offre lavoro, tra una persona qualificata e una effettivamente competente, sceglie senza dubbio la seconda.