Stefano Cingolani, Panorama 22/5/2014, 22 maggio 2014
L’ULTIMA CENA PRIMA DEL COMPLOTTO
Galeotta fu la cena, tragico il dopocena. Sono le 21.30 del 3 novembre 2011. Fuori, il palazzo del cinema di Cannes è spazzato da una bufera di vento e acqua: è il sottofondo ideale per lo psicodramma che si rappresenta al suo interno, racconta a Panorama uno dei presenti. Barack Obama arriva all’improvviso, ruba la presidenza a Nicolas Sarkozy e dice che Silvio Berlusconi ha ragione
di rifiutare l’offerta del Fondo monetario internazionale. Il presidente francese strapazza Christine Lagarde, la sua ex protegée che guida il Fmi, perché non è stata abbastanza convincente. Angela Merkel a tavola aveva cercato di far ingoiare la pillola prima al premier spagnolo Luis Zapatero, poi a quello italiano, e adesso rifiuta la mediazione americana: usare i diritti speciali di prelievo, la quasi moneta del Fmi, per aumentare le esigue risorse del fondo salva stati. «Non posso convincere la Bundesbank ad accettare, non ne ho il potere» singhiozza la cancelliera, e scoppia in lacrime. Sarko strappa di mano il microfono a Obama e insiste: «Niente nuove proposte, l’Italia deve accettare il salvataggio del Fmi, prendere o lasciare». Berlusconi lascia e 9 giorni dopo si dimette. Il G20 di Cannes è un clamoroso fallimento e mostra a tutti l’ignavia dei governi europei dilaniati da odi e pregiudizi. A stretto giro di posta viene liquidato anche George Papandreou (il 9 novembre) che aveva osato proporre un referendum sull’euro. C’è stata una congiura (come ha scritto Panorama il 19 febbraio), o un complotto che dir si voglia. Hanno contribuito a fare chiarezza alcune importanti ricostruzioni, come quella di Tim Geithner, l’ex segretario al Tesoro americano, con il suo libro Stress Test e i tre articoli di Peter Spiegel pubblicati dal Financial Times. Prima ancora le interviste raccolte da Alan Friedman (soprattutto quella a Mario Monti) e i ricordi di Zapatero hanno fornito testimonianze dirette. Renato Brunetta ha pubblicato un instant book mercoledì 21 maggio, per il Giornale, nel quale mette insieme i pezzi del mosaico. Anche chi ancora non crede alla trama politica riconosce che la coppia Merkel-Sarkozy è stata presa dal panico e ha fatto cadere ogni freno inibitorio: le complici risatine del 24 ottobre 2011, in risposta a una domanda sugli impegni presi da Berlusconi, hanno squadernato del resto lo stato d’animo dei due. Secondo il politologo americano Edward Luttwak «era ormai inevitabile agire» e aggiunge: «Non so quanto in linea con la Costituzione».
Nel ripercorrere il crescendo di rivelazioni sull’anno in cui l’euro stava per crollare, si scopre che il primo vero scoop l’ha fatto il Wall Street Journal del 30 dicembre 2011. Un articolo firmato da Marcus Walker da Berlino, Charles Forelle da Bruxelles e Stacy Meichtry da Roma, contiene la rivelazione più clamorosa: il 20 ottobre la Kanzlerin aveva chiamato Giorgio Napolitano. Scrive il quotidiano americano: «L’Europa vuole vedere riforme più aggressive per spingere la crescita, aveva detto la Merkel. E lei era preoccupata che Berlusconi non fosse forte abbastanza per realizzarle. Napolitano disse che non era rassicurante il fatto che Berlusconi fosse sopravvissuto a un precedente voto di fiducia per un solo voto (in realtà 15 voti, ndr). La Merkel ringraziò in anticipo il presidente affinché facesse tutto quel che era all’interno dei suoi poteri per promuovere le riforme. Napolitano colse al volo il messaggio».
Il Quirinale non smentì la telefonata, né le frasi del Wall Street Journal, ma esclusivamente di aver subito pressioni: «Angela Merkel non avanzò alcuna richiesta di cambiare il premier». La nota presidenziale è stata presa per buona da tutti e confermata da Berlino, però molti sono rimasti sorpresi che i grandi quotidiani italiani non abbiano mai approfondito come fossero andate le cose. Forse perché ormai Berlusconi era caduto, Monti guidava un governo tecnico e sembrava che la linea tedesca avesse vinto.
Le cose non stavano esattamente così. La crisi dell’euro non era affatto passata, tanto che l’Unione europea, la Bce e il Fmi studiavano il «piano Z» per far uscire la Grecia dall’euro, mentre Geithner chiedeva alla Banca centrale europea di pompare liquidità nelle tubature disseccate del sistema finanziario. I prestiti straordinari di 1.000 miliardi di euro alle banche, predisposti tra dicembre 2011 e febbraio 2012, hanno dato un sollievo momentaneo, poi lo spread con i titoli decennali tedeschi è volato ancora oltre quota 500. Gli errori dei governi hanno eccitato i mercati, solo il fermo annuncio di Mario Draghi il 26 luglio 2012 («Faremo tutto quel che è necessario per salvare l’euro») e l’introduzione delle Outright monetary transaction, cioè acquisti straordinari di titoli pubblici contro il parere della Bundesbank, sono riusciti a calmarli.
Ma torniamo al fatidico autunno 2011 e leggiamo che cosa ne ricorda Geithner. Il segretario al Tesoro non fornisce date; verosimilmente siamo tra settembre e ottobre, quindi prima del G20 di Cannes. «Alcuni funzionari europei con i quali interagivamo in quei meeting» scrive «si avvicinarono con un piano per far cadere il primo ministro italiano Berlusconi. Volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti del Fmi fin quando se ne fosse andato». Geithner usa il termine «officials», volutamente generico, però chi ha frequentato la diplomazia sa che nessun «funzionario» va da un ministro per proporgli di far cadere il governo di un altro paese.
Dunque deve essere stato un suo pari: il tedesco Wolfgang Schaüble o il francese François Baroin (privo però di peso politico); se non addirittura Manuel Barroso, il presidente della commissione prono ai voleri tedeschi, ma di rango non abbastanza alto per rivolgersi direttamente a Obama. Barroso sembra più probabile: è lui che ai primi del settembre 2011 a Cernobbio, durante l’annuale seminario dello studio Ambrosetti, dava già Monti a Palazzo Chigi. Geithner riferisce a Obama ed esclama: «Non possiamo avere il suo sangue (di Berlusconi, ndr) sulle nostre mani».
Se il governo italiano a Cannes si fosse piegato, sarebbe sopravvissuto? È la domanda che Panorama ha posto ad alcuni testimoni di quel momento. La risposta, anche di chi nega ogni «golpe europeo», è no. Il motivo economico è semplice: il prestito era davvero esiguo, appena 80 miliardi di dollari, cioè 60 miliardi di euro, mentre un programma triennale di salvataggio sarebbe costato 10 volte tanto secondo i calcoli del Tesoro italiano. L’intervento del Fmi era un’idea lanciata dal presidente francese che voleva trasformare Cannes in un successo personale. Sarkozy s’arrabbiò con Lagarde, incapace di trovare risorse maggiori, ma nessuno disponeva di tanto denaro.
Oltre alla beffa, l’Italia avrebbe subito un danno politico e d’immagine. Lorenzo Bini Smaghi, allora membro del consiglio della Bce, sostiene (lo ha scritto nel suo libro 33 false verità sull’Europa) che si trattava di un primo prestito da usare solo se le aste dei titoli pubblici avessero incontrato difficoltà. Ma con la febbre politica ormai fuori controllo, e con una maggioranza allo sbando, Berlusconi sarebbe stato massacrato in Parlamento.
Gli ispettori del Fmi giungono a Roma il 9 novembre per un controllo, senza imporre vincoli stringenti, e lo spread arriva a quota 575. Due giorni dopo tocca al premier conservatore David Cameron rilanciare il nuovo mantra che rimbalza nelle capitali europee: l’Italia è come l’Argentina, «rappresenta un pericolo chiaro e immediato per la zona euro». La pressione è insopportabile, si muovono banchieri internazionali a Londra, viene chiesto di fare pressione su Claudio Scajola, Calogero Mannino e Beppe Pisanu perché tolgano il sostegno a Berlusconi.
Nemmeno Sarko si fa sfuggire l’occasione di chiamare il Colle: il 13 prende il telefono e offre il proprio aiuto per formare un nuovo governo. Monsieur le Président ignora che la soluzione è già pronta (Monti è stato contattato da Napolitano fin dall’estate), soprattutto dopo la lettera inviata dalla Bce il 5 agosto all’Italia e alla Spagna.
A chi è venuta l’idea della missiva? A Jean-Claude Trichet: su questo sono
d’accordo Bini Smaghi e Giulio Tremonti. E perché raccomandare a Roma di raggiungere il pareggio di bilancio un anno prima, cioè nel 2013? Draghi nelle sue ultime considerazioni all’assemblea della Banca d’Italia, il 31 maggio, aveva raccomandato «il pareggio senza indugi», la Bce ha raccolto la proposta.
Un errore clamoroso, tanto che oggi, nell’estate 2014, Matteo Renzi deve chiedere un altro rinvio. Ma una cosa è certa: è stato quello il primo dei 12 rintocchi.