La Stampa 22/5/2014, 22 maggio 2014
SPATARO DOPO CASELLI
[Due articoli] –
La nomina. Il Csm ha scelto Armando Spataro per sostituire Giancarlo Caselli alla guida della procura. Il pm del processo Abu Omar ha ottenuto 16 voti contro gli 8 del procuratore di Novara Saluzzo.
SPATARO, IL MARATONETA DELLA GIUSTIZIA –
Dietro la sua ormai ex scrivania al palazzo di giustizia di Milano, dove ha trascorso più degli ultimi 30 anni della sua vita, c’è un quadro: impossibile non notarlo. E’ il poster incorniciato di «The problem we all live with», famosissima immagine della bambina di colore Ruby Bridges che, a 6 anni, nel 1964, dovette entrare a scuola scortata da agenti federali del Marshall Service. Si vede la piccola con un vestito immacolato che cammina impettita tra uomini in giacca e cravatta ma senza volto, chiamati a far rispettare una sentenza della Corte Suprema che pose fine all’apartheid in Louisiana, obbligando la scuola elementare di New Orleans ad accoglierla tra i suoi allievi.
In quell’immagine, firmata dal pittore Rockwell e che gli venne regalata proprio dall’ufficio dello sceriffo di New Orleans, c’è tutta la filosofia di Armando Spataro, 65 anni, nuovo procuratore capo di Torino.
LA LEGGE, INNANZITUTTO
Che è senza volto e si deve far rispettare anche contro l’opinione comune. Quindi il coraggio. Che spesso appartiene ai deboli, quando possono contare sul fatto che in una società sana i propri diritti, prima o poi, verranno fatti rispettare. Infine l’orgoglio. Di chi quella legge deve rappresentare.
Di orgoglio, per la verità, Armando Spataro, ne ha da vendere. E non solo per la legge. Per le origini tarantine ad esempio (altro quadro totem è infatti un’immagine del porto antico di Taranto) e per le gare di corsa che lo hanno portato nel ’96 alla Maratona di New York e nel 2000 quella («più veloce») di Chicago. Dunque, un magistrato che conosce la resistenza, sia quella di borrelliana memoria («Resistere, resistere, resistere»), sia quella faticosa e umile di chi, quando imbocca un’indagine, difficilmente molla l’osso.
AMMIRAZIONE DAGLI USA
Ne sanno qualcosa proprio gli americani, che pure quel quadro gliel’hanno regalato e che, nonostante le pene per l’inchiesta Abu Omar e le condanne degli agenti della Cia per le cosiddette «extraordinary rendition», hanno sempre dimostrato grande stima e ammirazione per l’uomo che negli anni ’70 e ’80, insieme a tanti altri magistrati, combatté il terrorismo. Sconfiggendolo, a costo di perdite umane e di affetti che ancora commuovono Spataro, come l’omicidio dell’amico Emilio Alessandrini.
La stagione dei ricordi di Spataro è ben racchiusa nel libro che, passati i 60 anni, ha deciso di scrivere scegliendo un titolo emblematico: «Ne valeva la pena». E se adesso, che ne ha 65, si appresta a ricoprire un incarico impegnativo come quello di procuratore in una città come Torino, è perché, in fondo, non ci sono punti di domanda in quell’affermazione, ma solo grande amore per la toga. E per un mestiere, quello di magistrato inquirente, che lo ha portato ad attraversare stagioni davvero difficili.
ACCUSATORE DEL CAPO BR
Ed è curioso che uno dei primi processi affrontati fu proprio quello contro il vecchio capo delle Brigate Rosse, Renato Curcio, indagine condotta insieme a un altra vecchia volpe della Procura, Ferdinando Pomarici, il collega con cui poi si occupò della vicenda Abu Omar. Una storia che, alla fine, lo ha amareggiato perché, come è noto, governi di sinistra e di destra non hanno mai dato seguito alle richieste di estradizione seguite alle condanne. La “realpolitik” non sempre si sposa con la cosiddetta “obbligatorietà dell’azione penale”. Sebbene Spataro, abbia conosciuto da vicino i meccanismi felpati degli ambienti romani, sedendo dal 1998 al 2002 tra gli scranni del Consiglio Superiore della Magistratura, eletto con i voti della corrente del Movimento per la Giustizia di cui è stato anche segretario.
Ma limitare l’attività di Spataro al terrorismo o alle inchieste sulla Cia, sarebbe riduttivo. Portano la sua firma, ad esempio, le indagini degli anni ’90 sulla criminalità organizzata, passate in secondo piano per la dirompenza mediatica di Mani Pulite, ma fondamentali per la comprensione attuale dei meccanismi della ‘ndrangheta in Lombardia. Ora tocca a Torino.
Paolo Colonnello, La Stampa 22/5/2014
ECCO I PROBLEMI SUL TAVOLO DEL PROCURATORE CAPO –
È la città che cambia. Quasi quarant’anni fa era il terrorismo politico a dominare la scena: Brigate Rosse, Prima Linea, gli uomini dello Stato uccisi o gambizzati. I «nemici» giustiziati: sindacalisti, dirigenti industriali, giornalisti. Da Carlo Casalegno, vicedirettore de la Stampa, a Carlo Ghiglieno. Torino, allora, era uno dei fulcri della violenza terroristica. E la magistratura era in prima fila con le grandi inchieste, gli arresti, le analisi. Oggi è tutto differente. Quei terroristi non ci sono più. C’è la criminalità straniera. Spesso misteriosa e sempre violenta. Nigeriana. Albanese, Romena. E quella ancora tutta da scoprire con gli occhi a mandorla. Dopo il terrorismo Torino voltò pagina. Divenne terreno di scontro tra clan: catanesi, calabresi, morti sulle strade. E la magistratura era ancora lì con le sue inchieste, la sua capacità di far reagire la società civile. Una guerra pagata con il sangue del procuratore capo Bruno Caccia. Oggi è, ancora tutto diverso. La criminalità si è trasformata. Vive un nuovo periodo, per certi versi meno violento (nel 2013 a Torino ci sono stati 16 omicidi, negli Anni ’80 erano quasi cinquanta l’anno), ma non meno pericoloso. E le sfide che la magistratura deve affrontare sono altrettanto impegnative: dalla Tav, alla ’ndrangheta che s’infila in politica per dirne due. Questa che segue è una panoramica dei fronti più caldi sui quali la magistratura inquirente gioca oggi la sua partita di legalità.
Massimiliano Peggio e Lodovico Poletto, La Stampa 22/5/2014