Paolo Baroni, La Stampa 22/5/2014, 22 maggio 2014
ALL’ITALIA UN SOLO PRIMATO MONDIALE: IL COSTO PIÙ BASSO DEI LICENZIAMENTI
Abbiamo il primato mondiale dei costi connessi ai licenziamenti, i più bassi in assoluto (cosa che farà piacere alle imprese, un po’ meno ai lavoratori). Ma purtroppo abbiamo anche la pressione fiscale reale più alta di tutti e siamo al 59esimo posto su 60 in fatto di crescita. Ovviamente bassa. È così che l’Italia perde ancora posizioni nel mondo. Secondo il rapporto elaborato dal World Competitiveness Center dell’Imd, la famosa business school di Losanna che ogni anno stila la classifica mondiale della competitività, il nostro Paese nel 2014 scende dal 44° al 46° posto. Nel 2012 eravamo al 40°. Solo la Grecia fa peggio di noi, precipitando al 57esimo (-3), mentre la Germania è sesta, la Francia 27esima e la Spagna 39esima. Ai vertici della classifica globale Usa e Svizzera si confermano rispettivamente nella prima e nella seconda piazza, mentre terza è Singapore che nel 2013 era quinta.
Di quattro macro-indicatori solo uno segna un miglioramento, l’efficienza economica, dove passiamo dal 46° al 45° posto. Uno è stabile, l’efficienza delle politiche di governo (che ci vede però 55esimi), mentre i restanti due segnano un peggioramento: perdiamo tre posizioni sia come performance economica (dalla 50 alla 53), sia per la dotazione di infrastrutture, dove scendiamo al 33° posto.
Tra i punti di forza dell’Italia l’Imd indica soprattutto l’export (siamo secondi in quanto a focalizzazione delle produzioni), bassa inflazione (19), numero di giorni per avviare una start-up (15) e fattori di produzione (11). Sull’altro piatto della bilancia ci sono tutti i mali storici del Belpaese. Oltre alla scarsa crescita ed al fisco vorace soffriamo per i prezzi dei carburanti (siamo al 55° posto), la disoccupazione giovanile (54), debito pubblico ed evasione fiscale (58), credito, servizi finanziari e presenza di grandi gruppi (56), investimenti in infrastrutture (59). «La capacità competitiva dell’Italia sta fortemente diminuendo – commenta Salvatore Cantale docente dell’Imd -. Le cause sono molteplici, ma le variabili che hanno inciso di più sono riconducibili agli investimenti esteri e al basso livello di crescita dell’occupazione».
Ancor peggio della competitività però va la nostra immagine all’estero: in base ad un sondaggio che ha coinvolto 4300 manager dei 60 Paesi l’Imd ci colloca infatti al 49° posto su 60 dietro alla Russia e – magra consolazione - davanti alla Francia. Al primo posto c’è Singapore, a seguire Germania e Irlanda. Ovviamente l’Italia paga il prezzo di una certa instabilità politica. Che, secondo il direttore del Wcc, Arturo Bris, «è vista dalle imprese come un importante fattore di rischio che deteriora la competitività. In tutto il mondo la mancanza di stabilità del processo politico influisce in maniera significativa: danneggia il “brand” e quindi l’attrattività degli investitori stranieri, riduce lo spirito imprenditoriale degli attori locali ed ha un impatto su finanze pubbliche, evasione fiscale e i tassi di interesse». Detto questo Cantale è ottimista: «Non è troppo tardi per invertire il trend. La nostra storia insegna che in passato ci siamo riusciti e possiamo riuscirci ancora».
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Paolo Baroni, La Stampa 22/5/2014