Morya Longo, Il Sole 24 Ore 22/5/2014, 22 maggio 2014
SE SI CHIUDE IL RUBINETTO DELLA LIQUIDITÀ PER PIAZZA AFFARI
Sorpresa: i mercati si accorgono ora che in Italia dilaga l’euroscetticismo, figlio di quel disagio sociale che in fondo i mercati hanno contribuito a creare. Così gli stessi investitori che fino a una settimana fa erano infatuati del Belpaese, ora sembrano impauriti: più monta la girandola di voci su sondaggi ufficiosi o fantasiosi (alcuni dei quali danno vincitore il Pd, altri il Movimento 5 Stelle), più gli investitori decidono di vendere azioni o titoli di Stato. Così, in una settimana di passione, tra alti e bassi la Borsa di Milano ha perso il 2,9%: cioè il 25% del rialzo che aveva accumulato da inizio anno. Le società del settore costruzioni hanno ceduto il 5,7%, le assicurazioni il 4,1% e le banche il 2,8%. Ma sono stati i titoli di Stato ad essere più penalizzati: il rendimento dei decennali è salito in una settimana dal 2,91% al 3,20% e lo spread è tornato a sfiorare i 200 punti base.
Nessuno può sapere se questa débacle sia duratura o temporanea. Se siamo di fronte a una «salutare correzione» o a una vera «inversione di tendenza». Gli analisti propendono in generale per la prima ipotesi: proprio martedì Barclays ha scritto che «l’attuale fase della crisi finanziaria dovrebbe essere finita per l’Italia». Ma non è questo il punto: quanto accade ora dimostra per l’ennesima volta quanto sia precario l’equilibrio dei mercati e dunque l’equilibrio economico, politico e sociale di interi Paesi. Dimostra quanto, dopo le immani iniezioni di liquidità degli ultimi anni, i mercati finanziari e i destini degli Stati siano in balia di giganteschi movimenti di capitali: a volte arrivano (creando euforia) e a volte scappano (generando paura).
LA FABBRICA DELLA LIQUIDITÀ
Per capire cosa stia accadendo a Piazza Affari e sui BTp, bisogna dunque partire da qui. Le banche centrali di tutto il mondo dal 2007 hanno stampato così tanto, che a livello globale – secondo i dati di Bloomberg – la quantità di moneta (M2) è praticamente raddoppiata: dai 34mila miliardi di dollari di fine 2007 ai 59mila miliardi attuali. E questa è una cifra destinata a salire. La grande liquidità, pompata sui mercati, si è mossa a seconda di trend ben definiti: per un certo periodo i capitali uscivano dall’Europa e si rifugiavano nei Paesi emergenti, poi sono usciti dai Paesi emergenti e sono tornati in Europa. Entrambi questi macro-movimenti hanno avuto pesanti ripercussioni economiche e sociali, influenzando scelte politiche e indici congiunturali. Il populismo di oggi, in fondo, nasce anche da qui.
La Borsa di Milano e i BTp sono al centro di questi grandi movimenti. Fino a una settimana fa, gli investitori di tutto il mondo (soprattutto quelli americani) stravedevano per il mercato italiano. E portavano fior di numeri per dimostrare che l’investimento a Piazza Affari era quello giusto. Il listino milanese, argomentavano per esempio, è sottovalutato rispetto alle altre Borse: il rapporto tra prezzo delle azioni e book value, secondo le elaborazioni di Stuart Mitchell del Mitchell Capital, è attualmente 1,1 volte. Cioè il 38% in meno rispetto alla media storica di 1,8 volte. E molto meno rispetto agli altri listini: il rapporto prezzo/book value è infatti 1,5 volte in Spagna e Francia, 1,6 in Portogallo, 1,8 in Irlanda, Olanda e Germania e 1,9 in Gran Bretagna. Questi numeri avevano un significato ben preciso: bisognava comprare Italia. E discorsi simili venivano fatti sui titoli di Stato, tanto che il 14 maggio l’Italia ha emesso un BTp di durata quindicennale raccogliendo 20 miliardi di euro di ordini d’acquisto.
LA FABBRICA DEI RUMORS
Poi, il 15 maggio, la musica è cambiata. Il deludente dato sul Pil (diramato proprio quel giorno) è senza dubbio arrivato sul mercato come una doccia fredda: tutti si attendevano un’espansione, seppur modesta, della nostra economia, mentre alla fine è arrivato un -0,1%. Subito dopo il mercato finanziario è entrato nel "tunnel" delle elezioni e nel vortice dei «rumors che arrivano da Londra». Gli investitori temono che l’esito elettorale possa avere ripercussioni sul Governo Renzi e sulla sua (auspicata ma da verificare) capacità riformatrice. Le vendite e gli acquisti vanno e vengono, dunque, a seconda delle voci sugli esiti di sondaggi ufficiosi: «Martedì – racconta un trader – da Londra è arrivata la voce che i 5 Stelle fossero in testa. Questo ha scatenato le vendite». «Altri sondaggi ufficiosi – racconta un altro trader – danno esiti totalmente diversi». Sullo sfondo, tutti si chiedono cosa farà la Bce il 5 giugno.
Quanto siano attendibili queste voci è difficile a dirsi. Come si comporteranno gli investitori dopo il voto è altrettanto complicato da prevedere. Ma il punto è un altro: tutto questo crea volatilità ed esaspera i movimenti di Borsa. Per ora a Piazza Affari non si vedono grandi volumi, ma i nervi sono tesi: se l’incertezza perdurasse, i grandi capitali potrebbero nuovamente fuggire. Ed è proprio questo che rende vulnerabile l’Italia. Se partisse infatti una nuova fuga di capitali, per esempio dai BTp, le banche tornerebbero a soffrire perché nei loro bilanci di BTp ce ne sono 419 miliardi (dato Bce). E se questo accadesse proprio ora, la situazione si complicherebbe ulteriormente: perché le banche italiane devono ancora realizzare 7,5 miliardi di aumenti di capitale. Già le difficoltà incontrate ieri dalla Fondazione Carige nel vendere un pacchetto di azioni della banca (si veda articolo a pagina 33) dimostrano quali potrebbero essere le conseguenze dell’instabilità. O della spada di Damocle perennemente sopra la nostra testa.
m.longo@ilsole24ore.com
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 22/5/2014