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 2014  maggio 22 Giovedì calendario

QUELLE ARMI SPUNTATE CONTRO LA CORRUZIONE


La storia italiana è in larga misura teatro, dove l’immaginario eclissa i fatti. L’atto politico par excellence consiste nell’iniettare immagini ai cervelli. Negli anni trenta li gestiva un ufficio (stampa e propaganda), poi ministero della Cultura popolare. Così l’Italia s’era convinta d’essere guerriera invincibile, non avendo armi evolute né una dottrina del come usarle, sebbene spendesse più degli Stati ricchi, mantenendo un esercito elefantiaco e gerarchie obese, sorde alle novità (la metamorfosi delle divisioni da tre a due reggimenti moltiplicava generali e colonnelli). Nell’anno del Signore 1347 il notaio Nicola, figlio dell’oste Rienzo, incanta Roma con arti da showman latinista: spettacolo effimero, d’appena sette mesi, perché l’uomo aveva nervi deboli; sei secoli dopo, era fragile anche Benito Mussolini, sotto maschera feroce, ma sta in sella 20 anni, 8 mesi, 26 giorni; e da vent’anni tiene banco con grancassa, piffero, lanterne magiche un ormai vecchio ma ancora micidiale imbonitore, refrattario alle verità empiriche (quando dica «piove» o «suona mezzogiorno », lo spettatore giudizioso subodora dei trucchi). L’attuale premier differisce dal modello sinora praticato in Palazzo Chigi: è più giovane del non ancora quarantenne Mussolini chiamato da Sua Maestà Vittorio Emanuele III; sinora niente lo lascia supporre demagogo pifferaio ma piace alla platea, così disinvolto, dinamico, rapido, pronto nella battuta; senza gli aspetti fraudolenti e volgari, in qualche misura ripresenta un déjà vuossia i registri facili in cui l’Olonese, dissimulando l’anima da caimano, parlava al pubblico ignaro dei precedenti delittuosi.
Vediamolo in una congiuntura attuale d’alto interesse clinico. L’Italia porta ai piedi la catena dell’enorme debito pubblico in fase ascendente: lavoro, produzione, consumi calano, mentre l’Europa cresce; né c’entrano le comete o un destino baro; il salasso ha cause strutturali. Corruttori e corrotti formano un avido fisco nero; talpe illegaliste dissanguano il tesoro moltiplicando la spesa: ad esempio, un km d’alta velocità costa 6 milioni, mentre in Francia ne basta uno. In tale sfondo esplode l’ultimo caso: gli appalti Expo valgono miliardi; secondo gl’indaganti, una «cupola» li gestisce mediando tra managers e imprese. Spiccano due tangentomani degli anni novanta, biancofiore uno (poi forzaitaliota), comunista l’altro, eroe taciturno ammirato dai compagni. Come allora, due chiese lavorano solidali, su piede paritario. I rispettivi politicanti rispondono a voce stridula, con un riflesso condizionato, chiamandosi fuori: privati faccendieri millantano rapporti inesistenti; le accuse scoppiano a orologeria, in clima elettorale; e quanto resisteranno? Il premier non insinua sospetti d’un complotto giudiziario né assolve le nomenclature: augura che lo Stato sia abbastanza forte da condurre a compimento le importantissime opere, punendo i delinquenti; discorso serio. In proposito installa una «task force ». Parliamone e salteranno fuori conclusioni interessanti.
La gestione corrotta del potere è carattere genetico. Benedetto Croce, spiritoso conversatore, vedeva nel fascismo un regime d’asini (onagrocratico), «temperato dalla corruzione»; era discreta rispetto al vampiresco fenomeno attuale. Qui le «task forces» lasciano il tempo che trovano, come i codici d’etica ipocritamente affissi. Benvenuti i passi preventivi, in quanto siano incorruttibili, ma vanno puniti i delitti che svuotano il tesoro seminando miseria (con quanto implica, dai costumi guasti allo squallore intellettuale). Ora, esisteva un sistema penale, riformabile in meglio (Alfredo Rocco, codificatore, aveva pregiudizi classisti). Vent’anni d’anticultura berlusconiana l’hanno disintegrato, cominciando dal falso in bilancio. Bel colpo strategico, studiato dai consulenti, futuri difensori (solo lui sa quanti scheletri nascondesse l’armadio): falsificando i bilanci, gli amministratori prelevano denaro spendibile in nero; e quando il falso sia scriminato o diventi reato bagatellare, perseguibile a querela, Dio sa dove finiscano i soldi. L’incriminato gioca al perditempo: la prescrizione, fatto estintivo dei reati, aveva termini congrui; Camere ubbidienti al padrone li tagliano quanto basta nel caso che lo concerne, acquiescenti gli oppositori; e garantismi viziosi allungano i tempi processuali, finché il termine sia scaduto (l’udienza preliminare nel caso Previti dura anni, perché l’imputato le diserta invocando impegni parlamentari). Così l’Olonese lucra comodi proscioglimenti, qualificandosi «assolto»: nossignore, falsario impenitente; è reo non punibile. Terza mossa strategica, imporre alle prove requisiti sui quali sia facile discutere, tirando il colpo a escluderle: vedi le intercettazioni, aborrite dai garantisti d’Arcore, nel cui lessico “privacy” significa impunità; quando poi sulla linea sotto controllo s’infilino dei parlamentari, dipende dai loro colleghi concedere o no, sovranamente, il permesso d’una lettura utile all’accusa (grazie a quest’immunità l’europarlamentare Massimo D’Alema evita qualche fastidio nell’affare Unipol, i cui scenari poco edificanti costano tanti voti al Pd). I processi diventano messinscena burlesca.
Ecco dove colpire. Matteo Renzi è lodevolmente intervenuto nel caso Genovese (15 maggio) ma appena tocchi i rosicanti in colletto bianco, scatteranno veti dai consorti Ncd, custodi d’interessi il cui santo patrono è Berlusco Magnus. In conclusione, ognuno vede che sciagura fossero le «larghe intese». A sinistra qualcuno spera che Re Lanterna domenica 25 non perda troppi voti, e l’ultimo ex premier augurava in pubblico che gli elettori non acquisibili lo preferissero alle Cinque Stelle. Esiste anche una cupola oligarchica.

Franco Cordero, la Repubblica 22/5/2014