Vittorio Zucconi, la Repubblica 22/5/2014, 22 maggio 2014
“LA MIA AGONIA DEVE ESSERE FILMATA” E IL GIUDICE SOSPENDE LA CONDANNA A MORTE
WASHINGTON
Mancava un’ora all’inizio della danza macabra attorno a Russell Bucklew quando il messaggio dalla Corte Suprema è arrivato da Washington al mattatoio del Missouri: «Fermate l’esecuzione». Samuel Alito, il giudice che fra i nove “Supreme” deve esaminare gli appelli dell’undicesima ora per i morti che camminano aveva accolto le obiezioni dei difensori e aveva rinviato di 24 ore, dal mezzogiorno di mercoledì al mezzogiorno di oggi, ora del Missouri, l’esecuzione per dare il tempo alla Corte di rivedere il caso. Uno “stay of execution”, uno stop temporaneo, dunque, non una grazia o una commutazione. Alle sette di questa sera ora italiana, Russell Bucklew potrebbe essere ucciso e la sua agonia filmata.
Ma ucciso come? Questo del metodo, e non della sostanza della pena capitale, è la domanda che ha fermato momentaneamente la danza del boia attorno alla barella di Bucklew. Sulla camera della morte dove il condannato era già entrato ieri sera pronto per essere imbragato nelle cinture di cuoio in attesa dell’ago in vena pesa infatti l’ombra greve e ripugnante dell’esecuzione di un uomo in Oklahoma tre settimane or sono. L’iniezione di phenobarbital, il potente anestetico pompato in dose letale e senza l’ausilio della ventilazione, della respirazione meccanica usata nei pazienti sotto i ferri, avrebbe dovuto causare la sua morte rapida, ma il condannato non morì. Dopo 43 minuti di spasmi, di agitazione, di dolore e di inutili spinte contro le cinghie di cuoio, Clayton Lockett finalmente morì per un misericordioso infarto massiccio.
Bucklew, in Missouri, non aveva paura di morire. E’ colpevole e non ci sono possibilità di errori giudiziari. Ha ammesso di essere colui che tredici anni or sono aveva violentato una donna e poi ucciso il fidanzato che cercava di difenderla, commettendo dunque quei due reati gravi — stupro e omicidio — che insieme spalancano le porte del patibolo. Aveva, e ha, molta paura di come potrebbe morire.
Soffre di tumori recidivi che si riformano nel collo e riducono il passaggio dell’aria nelle prime vie respiratorie e dunque minacciano di rendere ancora più atroce la sua agonia soffocandolo lentamente. I suoi avvocati hanno chiesto di poter filmare l’esecuzione per documentare l’efferatezza e lo strazio della fine. Ammesso che il barbiturico pompato funzioni.
Eppure non è la contemplazione della sofferenza quella che ha spinto il giudice Alito a ordinare il rinvio. E’ il mistero che circonda quei liquidi che nei trentadue Stati degli Usa, su cinquanta, dove ancora si pratica la pena di morte, vengono pompati. In Oklahoma per la tortura di Lockett e ieri, forse oggi, per l’uccisione di Bucklew, le farmacie, i grossisti, le case farmaceutiche rifiutano di fornire phenobarbital o midazolam — la potente benzodiazepina, parente del Valium, oggi spesso usata invece dei barbiturici — ai penitenziari per le esecuzioni.
I boia, che non sono né medici né infermieri che mai prendono parte attiva nelle esecuzioni, ma agenti di custodia sommariamente addestrati, utilizzano preparati di origine segreta, acquistati non si sa dove, spesso da ignoti fornitori stranieri trovati in Rete. Aprendo dunque possibilità di contraffazione, di minore purezza e dunque efficacia, di orrori come quello inflitto in Oklahoma e sempre più frequenti. Uno studio condotto dal Centro per le Informazioni sulla Pena Capitale e dall’Università di Amherst ha accertato che 283 condannati, sui 1.783 uccisi con le siringhe negli ultimi 30 anni, non sono affatto morti all’istante, né resi inconsci dagli anestetici, ma hanno impiegato molti minuti in perfetta conoscenza, per morire.
Questa, sembra voler dire lo stop intimato da Washington, è tortura. E’ quella pena «crudele, disumana, bizzarra » che la Costituzione esplicitamente vieta. Così come la legge vieterebbe di infliggere il supplizio finale a detenuti afflitti da gravi malattie o incapaci di intendere e di volere. Un divieto che non impedì, anche grazie all’intervento personale e decisivo dell’allora governatore Bill Clinton impegnato in campagna elettorale, di mandare a morte un condannato che chiese, di fronte all’ultimo pasto, di mettere da parte e in frigorifero il gelato di vaniglia e cioccolato, per gustarselo «dopo la cerimonia».
Non ci sarà probabilmente nessun filmato della probabile esecuzione di Bucklew, quando la Corte Suprema si sarà convinta che le formalità di legge, inclusa la chiarezza sulla provenienza dei preparati letali, sarà stata rispettata. Le Corti hanno sempre respinto le richieste di documentazioni video di quanto accade dietro le vetrate delle “death chamber”, le stanze della morte. Pur essendo pubbliche, le esecuzioni sono aperte soltanto a un gruppo di testimoni scelti fra avvocati, parenti, giornalisti. Il grande pubblico non deve vedere come si esercita davvero l’omicidio di Stato. Potrebbe, come sempre più Stati americani fanno, rendersi conto della barbarie commessa a suo nome e per conto.
Vittorio Zucconi, la Repubblica 22/5/2014