Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 22 Giovedì calendario

PROCURA DI MILANO CON BRUTI LIBERATI SI SCHIERANO 62 PM


MILANO.
Una lettera spunta al quarto piano del palazzo di giustizia milanese. E può servire a delineare meglio i confini dello scontro che l’aggiunto Alfredo Robledo ha aperto, ormai lo scorso marzo, contro il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati: «Non possiamo non intervenire », dicono infatti magistrati milanesi della pubblica accusa. E sono in sessantadue, su settantacinque. Una maggioranza assoluta con firme di peso: come quelle di alcuni aggiunti invocati da Robledo nelle sue lettere continue al Csm (Ferdinando Pomarici, Alberto Nobili, Nunzia Gatto, Alberto Nobili), con quelle degli altri «vecchi» Pietro Forno e Maurizio Romanelli che firmano questo appello con Francesco Greco, e cioè con l’aggiunto inviso a Alfredo Robledo; come Fabio De Pasquale, che insieme a Robledo aveva avviato il caso Mills e poi l’ha finito da solo sino ad ottenere la condanna in cassazione; come i tanti titolari di indagini che spaziano dal terrorismo al crimine, dalla corruzione alle rapine. E tutto questo vasto mondo dell’accusa milanese, più che rivolgersi al Consiglio superiore della magistratura, intende spiegare a chi ha letto e ascoltato di una procura spaccata, di «faide» (termine usato per i mafiosi), di collasso della catena di comando, che non è così. Anzi la procura — proprio questa procura — ha lavorato secondo le regole di legge e «ne sono testimonianza — scrivono i pubblici ministeri — i riscontri che in sede di giudizio, di primo grado, di appello e di cassazione, hanno ottenuto le indagini condotte dalla procura di Milano nelle sue diverse articolazioni».
La lettera aperta (senza le firme dei «coinvolti» Ilda Boccassini, Bruti e Robledo) non fa nomi e cognomi, ma puntualizza fatti e stati d’animo: «Da oltre due mesi — scrivono i magistrati dell’accusa — è all’esame delle competenti commissione del Csm» il caso che riguarda i «criteri di organizzazione» degli uffici. E se — scrivono sempre i pm — «non intendiamo entrare nel merito di tali questioni », però «auspichiamo con forza che la pratica trovi rapidamente la sua conclusione».
È un appello che al Csm è già stato rivolto anche dal suo vicepresidente, Michele Vietti, ma che la componente di Magistratura indipendente, legata al sottosegretario quota centrodestra e magistrato Cosimo Ferri, non accetta. Anzi, per oggi il Csm ha convocato ancora Nobili, a proposito del fascicolo Ruby, che Robledo rivendicava come suo (nonostante, nel 2010, avesse chiesto a Silvio Berlusconi un risarcimento in sede civile per 500 mila euro).
I firmatari della petizione sanno della «non fretta» del Csm, ma non demordono: «Non possiamo non intervenire in ordine alla rappresentazione mediatica non corrispondente al vero che viene offerta alla pubblica opinione con l’immagine di una Procura della Repubblica dilaniata da contrapposizioni interne». E, nella loro certezza di addetti ai lavori, «Respingiamo — dicono — ogni tentativo di delegittimazione complessiva dell’operato della nostra procura che, diversamente dall’esercizio del diritto di critica, rischia di danneggiarne la credibilità e, dunque, di compromettere l’efficacia della sua azione».
A margine delle parole, pesanti, una circostanza: è stato il neo-procuratore capo di Torino, Armando Spataro — una carriera nell’antiterrorismo, nell’antimafia, e, da ultimo, nell’inchiesta sul sequestro del terrorista Abu Omar da parte della Cia — a scrivere materialmente la lettera e a raccogliere le firme dei colleghi.

Piero Colaprico, la Repubblica 22/5/2014