Attilio Bolzoni E Salvo Palazzolo, la Repubblica 22/5/2014, 22 maggio 2014
NEL COMPUTER DELLA FAMIGLIA CACCIA AL DIARIO DI FALCONE
CALTANISSETTA
I familiari di Giovanni Falcone, ventidue anni dopo Capaci, stanno per consegnare un computer alla magistratura. Vogliono sapere se, lì dentro, si possono ritrovare alcuni degli scritti più segreti del giudice.
Esiste ancora qualche traccia del diario di Falcone? L’hanno cancellato del tutto o una parte dei suoi appunti sono recuperabili? I familiari del giudice, ventidue anni dopo Capaci, stanno per consegnare un computer alla magistratura. Vogliono sapere se, lì dentro, si possono ritrovare alcuni dei suoi scritti più segreti.
Nonostante il tempo passato e nonostante la «pulizia» dei supporti informatici operata dalle solite manine subito dopo la strage, la sorella Maria ha incaricato ieri i suoi avvocati di depositare un Toshiba alla procura di Caltanissetta, quella che indaga sui massacri palermitani del 1992. È un piccolo portatile, violato qualche giorno dopo l’attentato con un programma usato per riportare in salvo o per eliminare definitivamente i file. Una prima perizia di tanti anni fa aveva accertato «manomissioni», le prove di un sabotaggio. Ma ora i familiari del magistrato, confortati da nuovi sistemi di ripescaggio dei dati attraverso tecnologie avanzate, sperano che gli esperti possano riesumare annotazioni perse anche nelle memorie più remote. Dice Maria Falcone alla vigilia delle celebrazioni in memoria del fratello: «Spero che troveranno qualcosa, sarà un altro passo verso la verità».
Il Toshiba, in un primo momento scomparso e poi riapparso misteriosamente nella sua abitazione palermitana di via Notarbartolo, nel 1993 è stato restituito alla famiglia e custodito nello studio legale di Francesco Crescimanno. Lì c’è rimasto per oltre due decenni. Ora, sta per finire a sorpresa nella cassaforte del procuratore capo della repubblica di Caltanissetta Sergio Lari. È un estremo tentativo per raggiungere la documentazione più riservata del giudice, una quantità enorme di informazioni e di nomi che qualcuno aveva provveduto a rimuovere subito dopo la bomba di Capaci.
Ma cosa, realisticamente, potrebbe contenere ancora il Toshiba? Quali notizie top secret o confidenziali il giudice avrebbe registrato in quel pc? Sarà una nuova perizia a scoprirlo se, dopo tutti questi anni, si riuscirà a scovare ancora qualcosa. Dell’archivio di Falcone si è ritrovato ben poco e fra quel poco ci sono stralci del suo diario, due fogli che il giudice ha affidato qualche mese prima di morire a una sua amica («Non si sa mai, ci sono fatti che preferisco registrare a futura memoria»), la giornalista Liana Milella, nel 1992 inviata del Sole 2-4 Ore e poi a Repubblica. È l’unica testimonianza personale che Falcone ci ha lasciato per iscritto. Due fogli dove il giudice ricostruiva il clima avvelenato della procura di Palermo di quegli anni, gli scontri con il procuratore Piero Giammanco, le umiliazioni che era costretto a subire in quell’ufficio tanto da chiedere — per poter continuare la sua attività — il trasferimento alla direzione generale degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia.
Dove sono finite tutte le altre parti del diario? Si ricomincia dalla perizia sul Toshiba, un’altra indagine sull’indagine che arriva più di un ventennio dopo per chiarire misteri mai risolti. E quello intorno al Toshiba è solo uno dei tanti. Tutti i computer di Falcone sono stati «forzati» nelle ore e nei giorni successivi a Capaci: anche il computer fisso Olivetti e un portatile Compaq, che erano al ministero. È stata trovata vuota persino la memoria di un databank Casio, anche questo scomparso e poi misteriosamente riapparso. Una distruzione a tutto campo per non lasciare nulla di Falcone dopo la sua morte.
L’inchiesta iniziale è stata segnata da tanti «errori» e «dimenticanze ». Un’indagine approssimativa, i procuratori di Caltanissetta del 1992 non hanno ascoltato testi importanti, decisivi. Come Giovanni Paparcuri, il più stretto collaboratore del giudice. Oggi dice: «Ogni giorno vedevo Falcone annotare i suoi pensieri su quel Casio e di tanto in tanto trasferivo il materiale del databank ai pc. Una volta, mi chiese di andare ad acquistare un’estensione di memoria per il Casio». Neanche questa ram card si è mai più trovata. E sono scomparsi pure una ventina dei cento floppy disk su cui Paparcuri aveva trasferito l’archivio di Falcone, prima della sua partenza per Roma. Sono accadute cose strane al ministero della Giustizia, in via Arenula, a Roma. La sera del 23 maggio, poche ore dopo la strage, la stanza di Falcone viene «sigillata» per ordine dei procuratori di Caltanissetta. Ma nessuno, incredibilmente, si preoccupa di sequestrare i computer e i supporti informatici che ci sono in quell’ufficio. Sette giorni dopo, il 30 maggio, si procede alla «ricognizione» dei reperti nella stanza del giudice ma — ancora un’inspiegabile gaffe della procura di Caltanissetta — non si effettua alcun sequestro dei computer. Un mese dopo, il 23 giugno, i computer vengono finalmente sequestrati. Ma nel frattempo, esattamente il 6, il 10 e il 19 giugno — come accerteranno le perizie successive — qualcuno si inserisce nel computer di Giovanni Falcone (la stanza è formalmente chiusa con provvedimento giudiziario) e lascia traccia del suo passaggio. Alle 15.08 del 19 giugno i periti scoprono che quel qualcuno entra nel programma Perseo — sviluppato per il ministero della Giustizia — e apre il file contenente gli elenchi di Gladio e alcuni appunti di Falcone. Qualcuno che conosce la password per entrare negli archivi di Falcone: «Joe».
Per quasi vent’anni tutte queste vicende sono rimaste sospese e le indagini abbandonate. Dopo tanto tempo riusciranno i magistrati di Caltanissetta a trovare frammenti di verità in questo computer o altrove? Rispondeva qualche mese fa il procuratore Sergio Lari: «Stiamo setacciando tutto quello che è in nostro possesso, questa è l’ultima spiaggia. O scopriamo ora qualcosa sui misteri del 1992 o non la scopriremo mai più».
Attilio Bolzoni E Salvo Palazzolo, la Repubblica 22/5/2014