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 2014  maggio 21 Mercoledì calendario

AI MANAGER PUBBLICI GARANTITO IN DIECI ANNI UN JACKPOT DA 360 MILIONI


MILANO.
Prima lo scontro con i fondi esteri per i requisiti di onorabilità nelle aziende quotate partecipate dal Tesoro. Ora le polemiche (senza troppe soluzioni a breve) sulle buonuscite d’oro per i manager di Stato. I buoni propositi del governo Renzi si sono già arenati due volte nelle dure leggi del mercato e di Piazza Affari.
Il no dei grandi investitori istituzionali ha bloccato le regole etiche messe a punto dal Tesoro per Eni e Finmeccanica (e lo stesso potrebbe succedere in Enel). Mentre il tetto di 240mila euro agli stipendi della pubblica amministrazione previsto dalla cosiddetta norma-Olivetti è stato in parte offuscato dai 23 milioni che le aziende pubbliche quotate a Milano dovranno pagare ai manager usciti di scena nell’ultima tornata di nomine.
Queste cifre — ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio — «sono uno schiaffo alla sobrietà».
Nessuno però può intervenire ex-post su contratti e accordi ratificati negli anni scorsi, che fissavano al centesimo i criteri delle eventuali liquidazioni dei manager di Stato. Negli ultimi dieci anni, del resto, dalle casse di Eni, Finmeccanica, Enel, Snam, Terna e Saipem sono usciti 65 milioni per i “paracaduti dorati” garantiti ai dirigenti uscenti.
SUPERSTIPENDI
Paolo Scaroni, Fulvio Conti e Pierfrancesco Guarguaglini ex ad di Eni, Enel e Finmeccanica hanno preso di soli compensi 130 milioni in dieci anni.
L’INCHIESTA
Il bancomat delle aziende di Stato tricolori continua imperterrito a snobbare la crisi. Le buonuscite d’oro con cui saranno liquidati in questi mesi Paolo Scaroni (che incasserà oltre 8 milioni dall’Eni), Fulvio Conti (oltre 6 dall’Enel), Alessandro Pansa («risarcito» con 5,4 milioni da Finmeccanica) e Flavio Cattaneo (uscito da Terna con un assegno da 2,4 milioni) sono solo la punta dell’iceberg. Negli ultimi dieci anni le sei società pubbliche quotate in Borsa – ci sono pure Saipem e Snam – hanno garantito ai loro manager un jackpot da brividi: i consiglieri di queste aziende, in tutto un’ottantina di persone, si sono spartiti dal 2004 ad oggi un montepremi da 360 milioni di stipendi. Tre di loro – Scaroni, Conti e Pierfrancesco Guarguaglini, ex numero uno dell’azienda della difesa – hanno messo assieme da soli compensi per quasi 130 milioni. Un fiume di denaro culminato di solito, come ciliegina sulla torta, con i fuochi d’artificio di divorzi dorati, visto che in due lustri i sei gioielli del Tesoro hanno speso 65 milioni in buonuscite per chiudere il rapporto di lavoro con i loro ex-dirigenti.
L’Oscar della generosità tra i big statali spetta di diritto all’E-MILANO.
Il Cane a sei zampe macina petro-profitti. Negli ultimi dieci anni ha distribuito a via XX settembre (e in seguito a Cdp) 12 miliardi di dividendi, ha versato nelle casse dello Stato tasse per 15 miliardi di euro. Una macchina da soldi che non poteva certo lasciare a becco asciutto i suoi vertici: dal 2004 ad oggi il gruppo di San Donato ha pagato al cda e ai due-tre dirigenti strategici 111 milioni di stipendio. Vittorio Mincato, che all’azienda ha dedicato 25 anni della sua vita, detiene ancora oggi il record nazionale di liquidazioni “statali” grazie agli 11,2 milioni che si è messo in tasca nel 2005. Poco da lamentarsi ha pure il top management di Finmeccanica. Ben remunerato nel periodo di servizio e sepolto d’oro quando ha deciso di farsi da parte: Piazza Montegrappa ha messo nelle buste paga dei suoi consiglieri 81 milioni in dieci anni. E prima dei 5,4 milioni di risarcimento riconosciuti a Pansa, aveva dato l’addio a Piefrancesco Guarguaglini (uscito di scena non proprio tra gli applausi) e a Giorgio Zappa salutandoli con un assegno ricordo da 9,5 milioni a testa.
Soldi meritati? «Sono cifre di mercato», è il mantra di questi super-manager pubblici. Vero se si mette a confronto lo stipendio di Scaroni (tra i 4 e i 6,4 milioni l’anno nell’ultimo lustro) con quello delle altre sette sorelle del greggio. Un po’ meno forse per gli altri colleghi. Henri Proglio, numero uno di Edf, colosso statale dell’energia elettrica francese, percepisce 743mila euro l’anno contro i 3,5 medi di Conti. Il numero uno di Eon – 122 miliardi di ricavi, il 50% in più di Enel – prende una busta paga inferiore a quella del rivale italiano. Il vertice di Airbus ha uno stipendio di molto inferiore rispetto a quelli pagati negli ultimi anni a Guarguaglini.
A gonfiare le buste paga tricolori, del resto, ci sono spesso gli optional. Nell’arco della sua lunga e onorata carriera tra Eni ed Enel, per dire, Scaroni ha incassato oltre allo stipendio base voci ad personam come buonentrate per 530mila, un premio per la cessione di Wind a Weather da 500mila, 200mila per il successo di un collocamento in borsa, 1,8 milioni per le (un po’ misteriose) phantom stock, le azioni fantasma. Molti manager – Conti e Scaroni in primis – hanno abbinato con sapiente preveggenza il ruolo di amministratore delegato, che ha una scadenza, con quello di direttore generale. Lavoro dipendente che rende più semplice contrattare un’adeguata buonuscita. E il Bancomat delle aziende di stato, crisi o non crisi, ha sempre pagato con puntualità.

Ettore Livini, la Repubblica 21/5/2014