Stefano Fassina, l’Unità 22/5/2014, 22 maggio 2014
LA RICETTA PER EVITARE IL NAUFRAGIO DELL’EURO
DAVVERO, COME SOSTENGONO TANTI NELLE RISSE QUOTIDIANE DELLA CAMPAGNA ELETTORALE, i nostri problemi si risolverebbero se uscissimo dall’euro? Davvero esiste una scorciatoia per risolvere il dramma dell’assenza di lavoro, della morte di decine di migliaia di piccole imprese, della povertà, dell’impoverimento delle classi medie e del debito pubblico? No, purtroppo non è così. Anzi. Il progetto politico del quale sarebbe dovuta essere strumento la moneta comune, ossia l’integrazione politica, attraverso la partecipazione democratica, degli Stati nazionali europei, è l’unica strada per recuperare nella condivisione la sovranità perduta da almeno un quarto di secolo. I nostri problemi, nostri di cittadini europei, sono dovuti a radicali mutamenti demografici, tecnologici, economici, sociali, politici avvenuti negli ultimi quattro decenni. Del resto, per capire che l’euro non è la causa profonda dei mali delle democrazie mature sarebbe sufficiente considerare il Regno Unito: i nazionalisti e xenofobi dell’Ukip sono previsti primo partito nelle elezioni di domenica. Eppure, il Regno Unito è fuori dall’euro, ha una banca centrale prestatore, generoso, di ultima istanza, ha adottato politiche monetarie e di bilancio fortemente anti-cicliche (la sterlina all’inizio della crisi è stata svalutata del 40% mentre il deficit del bilancio pubblico balzava e rimaneva al 10%).
L’euro è stata una scelta dotata di potenzialità progressive per affrontare la grande trasformazione in corso. Purtroppo, per ideologia e per interessi corporativi fino all’autolesionismo, la moneta comune è stata mortificata da una politica liberista e mercantilista e utilizzata per moltiplicare gli effetti negativi della globalizzazione senza regolazione politica.
Per comprendere la profondità e la portata storica dei movimenti in atto è di grande utilità l’ultimo saggio, il primo tradotto in Italia, di Stephen D King: «Quando i soldi finiscono. La fine dell’età dell’abbondanza» (Fazi Editore, pag 330, €18). King è un economista britannico non accademico, segnato da una lunga esperienza sul campo come responsabile globale della ricerca economica alla banca internazionale Hsbc, dal 2007 componente del Consiglio Ombra della Banca Centrale Europea. La tesi centrale della sua indagine multidisciplinare (dalla storia economica, all’economia, alla demografia, alla vicenda politica) è controcorrente, ma condivisa da alcuni anni dal sottoscritto: non siamo in una congiuntura difficile, drammaticamente aggravata da scelte di politica economica sbagliate e controproducenti (secondo quanti guardano la realtà) o gradualmente migliorata, con inevitabili effetti collaterali, da necessarie misure impopolari (secondo altri, ostinatamente impermeabili all’evidenza empirica). Scrive King in apertura del testo, «la stagnazione economica di questi anni è fondamentalmente diversa. Molti dei fattori che nei decenni scorsi hanno portato a straordinari tassi di espansione nel mondo occidentale hanno perso i loro poteri magici». In chiusura avverte, con un preoccupazione fondata: «È arrivato il momento di smettere di far finta che questo sia un semplice contrattempo di tipo ciclico. È tempo di contrastare urgentemente i problemi strutturali che minacciano il futuro di tutti noi». Nei 10 capitoli del percorso narrativo, l’autore si sofferma su casi storici (dal default dell’Argentina alle trasformazioni politiche in Indonesia, Malesia e Corea del Sud) e sulle interpretazioni date ai passaggi di fase da grandi economisti classici (da Smith a Hayek passando da Marx a Keynes). Rileva tre fratture distintive del tornante storico nel quale siamo: la disparità di reddito, dovuta a «salari che si comprimono man mano che la concorrenza delle superpotenze emergenti si fa più serrata»; la transizione demografica e un «invecchiamento senza dignità»; il debito privato e «il crollo della fiducia tra creditori e debitori». Infine, si concentra negli ultimi due capitoli sull’Unione europea e sull’euro-zona: l’incubo del presente, incluso l’estremismo politico, e le scelte, politiche prima che economiche, per scongiurarlo. Le proposte per evitare il naufragio dell’euro sulle quali King insiste circolano nel dibattito pubblico. Ma si rafforzano espresse da chi, da oltre Manica, non può essere accusato di voler evitare «i compiti a casa», depistante invocazione imposta dalle forze e dagli Stati dominanti, o di essere ostile all’establishment della grande finanza globale, vuota retorica populista: «C’è un modo per far funzionare l’euro-zona, se (ed è un grosso se) la politica lo consentirà. I Paesi membri devono accettare il fatto che un’unione monetaria può riuscire soltanto se accompagnata da un’unione fiscale. A meno di un accordo fiscale vincolante, l’eurozona fallirà». Insomma, i problemi dell’euro-zona sono sistemici. Non si possono risolvere soltanto con le riforme strutturali nei Piigs.
In conclusione vogliamo segnalare e fare nostro l’appello rivolto da King a chi ha responsabilità dirette o indirette dei corsi di economia: «serve una revisione completa dell’insegnamento universitario, con molta più enfasi sulla storia economica..... Soltanto dopo aver studiato la storia gli economisti potranno dire qualcosa di utile sui problemi che ci troviamo ad affrontare oggi e che sicuramente avremo anche domani». Purtroppo, tanti economisti accademici, editorialisti di grandi quotidiani nazionali, dicono tanto ogni giorno senza consapevolezza della storia. Difendono la rotta mercantilista e alimentano le forze regressive.