l’Unità 22/5/2014, 22 maggio 2014
ANCH’IO DELUSO DA QUESTA EUROPA LA PRIORITÀ È IL LAVORO
[Martin Schulz]
Lei è il candidato dei socialisti e democratici alla presidenza della Commissione. Però sappiamo che la scelta del presidente e dei membri della Commissione toccherà comunque ai governi e che il parlamento europeo che stiamo per eleggere avrà solo un potere di ratifica. Non è un segnale di un deficit di democrazia nell’Unione europea?
«Il Presidente della Commissione dovrà essere uno dei candidati, e il Parlamento non voterà un nome che non sia oggi nella rosa di quelli indicati dai partiti europei. Dodici capi di Stato e di governo sono membri della famiglia socialista e hanno eletto me, 11 hanno sostenuto Jean-Claude Juncker e 4 Guy Verhofstadt. Appoggiare qualcuno di diverso al Consiglio sarebbe un messaggio schizofrenico e incomprensibile per gli elettori. Non accadrà: il tempo degli accordi presi a porte chiuse a notte fonda è finito».
Che cosa intende fare, se sarà presidente, per superare questo deficit?
«La mia Commissione avrà finestre e porte aperte, voglio rendere le istituzioni europee più trasparenti, più comprensibili, più vicine ai cittadini. In questa campagna ho incontrato migliaia di persone, dai pescatori bretoni ai disoccupati spagnoli, dalle mamme greche agli operai tedeschi, dai piccoli imprenditori del Nord-est ai precari svedesi. Il mio modello di Europa è un’Europa che si occupa della sorte di ognuno, non solo di deficit e di Pil. Che sa entrare in empatia con le persone comuni, non solo con i governi. Che non parli solo di miliardi e di milioni, ma che sappia occuparsi di coloro – e sono il 95% dei nostri cittadini – per cui mille euro sono già un sacco di soldi. Se non lo facciamo noi di sinistra, non lo farà nessuno!».
Il deficit di democrazia è uno dei motivi della disaffezione di larghe parti dell’opinione pubblica europea verso l’Unione e della diffusione di movimenti populisti e demagogici che non accettano le decisioni prese da «quelli di Bruxelles che nessuno ha eletto», a cominciare dall’euro. Rinascono nazionalismi e rivendicazioni di sovranità perdute. Lei teme che questi movimenti possano danneggiare lo sviluppo dell’integrazione europea? E come si dovrebbe combatterli?
«Non credo che il loro impatto sull’Europa di domani sarà decisivo. Dobbiamo ascoltare e dare risposte alla delusione della gente verso l’Europa. Hanno ragione. Anche io sono deluso da quest’Europa, un’Europa che ha permesso alle banche e agli speculatori di accumulare miliardi, ma quando le cose non sono più andate per il verso giusto, sono stati i cittadini a dover mettere mano al portafoglio. Dobbiamo cambiare direzione. Ma il voto ai partiti populisti euroscettici è sprecato, perché non avranno la maggioranza per imprimere questo cambio di direzione, perché al di là delle urla, c’è un vuoto di proposte, e perché l’universo euroscettico è estremamente frammentato. Quando l’Europa comincerà a rimettere al centro la solidarietà e la giustizia, quando la gente comincerà a vedere che le cose cambiano, allora recupereremo la loro fiducia, e sconfiggeremo i populismi. Per questo il voto del 25 maggio è cruciale. Ogni voto conta: questa volta è diverso».
Arriviamo alle elezioni europee in una situazione economica ancora molto difficile. La ripresa è molto debole e in Italia il Pil è tornato addirittura con il segno meno. Lei promette il superamento della strategia dell’austerity e misure per gli investimenti e l’occupazione. Ma dove vanno cercate le risorse? Vanno allentati i vincoli di bilancio per gli stati? Va ridiscusso il Fiscal Compact? E quanto potrebbero aiutare un aumento delle risorse proprie dell’Unione, per esempio del bilancio comune, e un ruolo più forte della Bei?
«La mia priorità sono i 27 milioni di europei senza lavoro. La questione è come si interpretano i Trattati. La Commissione non deve essere un organo tecnocratico: deve analizzare le specificità di ciascun Paese, e vedere cosa è debito e cosa no. Per esempio io sono d’accordo con Renzi in Italia che gli investimenti per la crescita, per lo sviluppo sostenibile, non debbano essere considerati alla stregua della spesa corrente. Per quanto riguarda il bilancio della Ue, il Parlamento si è battuto con le unghie e con i denti perché avesse un effetto anti-ciclico, controbilanciasse i tagli nazionali, i governi purtroppo non ci hanno sostenuto. Abbiamo difeso il bilancio da tagli radicali, ma è importante che i fondi europei siano usati come leva per gli investimenti. La Bei può facilitare l’accesso al credito, che è il più grande problema delle imprese europee oggi, e se non sarà sufficiente, creerò una banca europea per la crescita».
La Commissione eventualmente presieduta da lei sarebbe favorevole a forme di mutualizzazione del debito, come l’istituzione di eurobond o il redemption fund?
«Un fondo di redenzione era nel programma della Spd. Abbiamo perso le elezioni, e nei negoziati della Grande coalizione non c’è stato modo di ottenere questo impegno dalla Cdu. Io non sono contro gli eurobond, ma dobbiamo essere realisti: oggi fra i 28 non c’è una maggioranza a favore di tale soluzione. E non abbiamo tempo da perdere: è più urgente che il denaro che la Bce allo 0,25% presta alle banche fluisca all’economia reale invece che alimentare nuove bolle speculative».
Lei sa che in molti Paesi, e soprattutto In Italia, si polemizza molto con la Germania, accusata di aver imposto scelte che hanno favorito la sua economia e danneggiato quella dei Paesi a debito forte. Lei condivide le critiche che sono state rivolte in passato al governo Merkel? Ritiene che con la grosse Koalition qualcosa sia cambiato?
«Il governo di Angela Merkel non era il solo ad avere spinto per le politiche di austerity, ma era in buona compagnia di altri conservatori e liberali europei; è un’ideologia, non una nazionalità, che dobbiamo combattere: quella dei tagli unilaterali, che automaticamente farebbero recuperare la fiducia degli investitori. Questa storia che ci hanno raccontato è falsa, il Grecia il debito pubblico è il più elevato oggi che all’inizio della crisi. È chiaro che il governo tedesco, essendo rappresentante di un grande Paese, ha responsabilità importanti, e nel governo di coalizione le cose sono già cambiate parecchio: abbiamo approvato un salario minimo, che fa bene alle persone con reddito basso e fa bene all’Europa perché darà un impulso ai consumi. Abbiamo avuto un’influenza determinante nei negoziati sull’Unione bancaria, perché non siano più cittadini a salvare le banche, e sull’attuazione della tassa sulle transazioni finanziarie. Nell’accordo di coalizione abbiamo introdotto il principio per cui le regole del mercato interno non possono prevalere sui diritti sociali: è una clausola importante che darà i suoi frutti nel tempo. Abbiamo anche scritto che in futuro, la disciplina di bilancio deve essere accompagnata da investimenti per la crescita e l’occupazione, al contrario di quanto avvenuto finora. E il presidente della Spd Sigmar Gabriel l’ha detto chiaramente: non è il ministro delle Finanze Schäuble che, da solo, determina la politica economica della Repubblica federale».
Il problema sociale più pesante in Europa è la disoccupazione giovanile. Secondo lei esiste la possibilità che il futuro parlamento e soprattutto la futura Commissione adottino programmi ad hoc per il lavoro dei giovani? E – ancora una volta – con quali risorse?
«Servono azioni mirate e azioni trasversali. Da un lato, dobbiamo monitorare e incoraggiare l’attuazione del programma Garanzia giovani, cercando di aumentarne i fondi per esempio durante la revisione del bilancio pluriennale: se vediamo che ha funzionato, la rinnoveremo. Ma è ovvio che non è con i 6 miliardi della Garanzia giovani che risolviamo il problema di oltre 5 milioni di giovani disoccupati. Tutte le azioni e le decisioni della prossima Commissione dovranno rispondere alla domanda “aiuta a creare opportunità di lavoro? cosa possiamo fare di più per far entrare nel mercato del lavoro altri giovani?”. Come ho già spiegato, per esempio, facilitare il credito per le Pmi, prevedendo detrazioni fiscali per chi assume giovani, è prioritario: o lo facciamo via la Bei, o creando una banca europea per la crescita. Nella revisione del bilancio Ue, l’accento sarà messo sugli investimenti: come aumentare la ratio degli investimenti a partire dalle risorse Ue? Prevedo azioni mirate per lo sviluppo industriale, sul modello dei “cluster” europei come Airbus. Un’azione decisa per integrare maggiormente il mercato dell’energia: tutte decisioni che aiuteranno l’economia europea a riguadagnare competitività, e avranno un effetto sulla creazione di posti di lavoro. Nel medio termine, per far sì che le finanze dei nostri Stati siano sane e che possiamo continuare a permetterci il welfare state che tutto il mondo ci invidia, dobbiamo recuperare risorse essenziali, risorse che ora sfuggono alle casse dei nostri Stati e finiscono nei paradisi fiscali o nelle scatole cinesi della finanza globale. Combattere l’elusione e l’evasione fiscale – che oggi ci costa 1000 miliardi l’anno – applicando un principio semplice: se i benefici si fanno in Europa, le tasse si devono pagare in Europa! Questa sarà una priorità assoluta della mia Commissione. Se riusciamo a recuperare preziose risorse su questo fronte si immagina quante garanzie giovani potremmo finanziarie?».
In Italia molti criticano le istituzioni dell’Unione perché lasciano il nostro paese solo nella gestione dell’immigrazione. Condivide queste critiche? È per il superamento del protocollo di Dublino che impone ai rifugiati politici di chiedere l’asilo nel Paese d’ingresso nella Ue? Che cosa pensa delle proposte di creare corridoi umanitari per i profughi e centri di raccolta gestiti dall’Unione?
«Ciò che accade al largo delle coste di Lampedusa è una vergogna per l’Europa. Non possiamo continuare a girarci dall’altro lato lasciando l’Italia, la Spagna, o Malta affrontare da sole queste situazioni drammatiche. È chiaro che la gestione delle nostre frontiere non è un affare di Lampedusa o della guardia costiera italiana, è una questione europea. Ma è 20 anni che ne parliamo, e la situazione non è significativamente migliorata, anche perché ci sono forti resistenze al Consiglio. Per aggirare le resistenze dei governi, procederei per “test”: tutte le idee innovative sono benvenuto, sia quella dei corridoi umanitari, che quella di centri di gestione delle domande sulle coste nord-africane, che quella di processare congiuntamente le domande e riallocare i rifugiati su diversi Paesi Ue, che quella di centri di raccolta gestiti dalla Ue. Per avanzare, dobbiamo mettere in pratica queste idee e vedere come funzionano: e poi avanzare in concreto. Sono un ex-sindaco, ho un approccio pragmatico: dobbiamo smetterla con le battaglie ideologiche, e provare a dare risposte concrete ai problemi veri e urgenti della gente».
Se venisse nominato presidente della Commissione quale sarebbe il suo primo atto politico?
«La mia priorità è la lotta alla disoccupazione giovanile, perché abbiamo salvato le banche ma stiamo rischiando di perdere una generazione. Per questo metterei subito in piedi un meccanismo di credito per le Pmi, con incentivi e agevolazioni per quelle che assumono giovani».
Ha un appello da rivolgere agli elettori italiani?
«Il voto del 25 maggio determinerà il futuro di 500 milioni di cittadini. Questa volta possiamo cambiare davvero. Votate Pd per un’Europa più giusta, più democratica e più solidale. Lo so che non è facile crederci ancora: ma stavolta è la volta buona per l’Europa. Io vi prometto che non mi arrenderò, mi batterò fino alla fine per i valori in cui credo e in cui crediamo. Ma senza di voi non ce la posso fare: ogni ora conta, ogni voto conta. Votate e convincete i vostri amici a votare. Insieme cambieremo l’Europa».