Francesco Alberti, Corriere della Sera 22/05/2014, 22 maggio 2014
INFORMAZIONI A SCAJOLA SULLE MINACCE A BIAGI «OMICIDIO PER OMISSIONE»
DAL NOSTRO INVIATO BOLOGNA — Si riapre, con modalità che potrebbero riservare sorprese, l’inchiesta sulla revoca della scorta a Marco Biagi, ucciso dalle Br in via Valdonica 14, sotto casa, il 19 marzo 2002. Tornano ad addensarsi interrogativi sul ruolo svolto dall’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola e dai vertici delle istituzioni che avevano il compito di proteggere un servitore dello Stato. Ci sarà da verificare, sulla base di documenti trovati dalla Finanza nell’archivio affidato da Scajola al suo ex segretario Luciano Zocchi, se vi siano state carenze, gravi sottovalutazioni o peggio. Uno degli elementi che ha spinto la Procura bolognese a riaprire l’indagine è stato il ritrovamento di due lettere inviate a Scajola nelle quali si informava l’allora ministro dei pericoli che correva il giuslavorista («Biagi rischia»). Sulle missive, che precedono di quattro giorni l’omicidio, comparirebbe il «visto» di Scajola, che ha invece sempre sostenuto di non essere al corrente all’epoca dei rischi ai quali era esposto il professore («Non sussistevano pericoli immediati e imminenti»). L’ipotesi di reato, formulata per il momento contro ignoti, parla di omicidio per omissione («Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo»). Fu la moglie dell’allora sottosegretario Sacconi, Enrica Giorgetti (già sentita dagli inquirenti), a segnalare a Zocchi i rischi che correva Biagi, ma il segretario di Scajola, forse per conferire maggiore autorevolezza all’informativa, scrisse nel documento destinato al ministro che la fonte era il sottosegretario Sacconi.
Già poche ore dopo l’assassinio da parte di un commando delle Br (4 dei 5 killer sono stati condannati all’ergastolo in via definitiva nel 2007, l’altro a 21 anni), una delle domande irrisolte era perché fosse stata revocata la scorta a quell’uomo dalla forte esposizione pubblica, consulente dell’allora ministro Roberto Maroni, nonché ispiratore di quel Libro Bianco sulla riforma del mercato del lavoro che da tempo lo rendeva oggetto di attenzioni tutt’altro che benevole. Un iter schizofrenico quello seguito dalla concessione della tutela: gli fu data nel 2000, tolta nel 2001 e mai più riaffidata nonostante il docente avesse denunciato telefonate di minaccia, arrivando a inviare 5 accorate mail di aiuto all’amico Pier Ferdinando Casini (allora presidente della Camera), allo stesso Maroni, al sottosegretario Sacconi, al prefetto di Bologna Iovino e al direttore di Confindustria Parisi. L’inchiesta, condotta dallo stesso pm Antonello Gustapane ora titolare della riapertura, si concluse con un’archiviazione. Il gip, pur riconoscendo che i brigatisti scelsero come obiettivo Biagi «anche» perché non aveva la scorta e sottolineando errori e cecità da parte della macchina dello Stato, ritenne non vi fossero elementi penalmente rilevanti. Opposta l’opinione della famiglia, convinta che il loro caro «fu lasciato solo, vittima — come più volte affermato dalla moglie Marina Orlandi che rifiutò i funerali di Stato — della superficialità colpevole di chi avrebbe dovuto proteggerlo». La sera prima di essere ucciso, ha ricordato la vedova, «mio marito era molto arrabbiato con chi gli negava la scorta». Tre mesi dopo l’omicidio, Scajola fu costretto a lasciare il Viminale per aver dato del «rompicoglioni» al docente bolognese. Ieri il suo legale Giorgio Perrone ha escluso il coinvolgimento dell’ex ministro nella vicenda: «Con quei documenti lui non c’entra». Laconico il governatore Maroni: «Erano cose che già si sapevano, non so se esiste il reato di omissione per omicidio». Giuliano Cazzola, ex parlamentare e amico di Biagi, parla di «omicidio annunciato».