Sergio Romano, Corriere della Sera 22/05/2014, 22 maggio 2014
I DUE PRESIDENTI DEGLI USA FRA NIXON E RONALD REAGAN
Scrivendo del declino dell’Impero americano, mi sono accorto che nella stesura, partendo da Kennedy sino ad Obama, lei ha citato tutti i presidenti tranne due: Jimmy Carter e Gerald Ford. Ciò ha suscitato in me un interrogativo: che sia non del tutto inverosimile la tesi di taluni «casabianchisti» secondo cui i sopraddetti sarebbero stati presidenti privi di carisma rispetto a quelli da lei menzionati e dal profilo inferiore? Se invece l’omissione è stata dettata da ragioni di opportunità descrittiva, sarò lieto di veder fugato questo dubbio.
Alessandro Prandi
Caro Prandi,
Gerald Ford apparteneva a quella categoria di uomini politici americani che godono di una eccellente reputazione all’interno del Congresso per il loro buon senso e la loro serietà, ma non riescono ad attrarre su di sé l’attenzione della pubblica opinione. Giunse alla Casa Bianca sulla scia di scandali che non giovavano né al clima politico del Paese né all’autorevolezza del presidente. Richard Nixon lo chiamò alla vice-presidenza nel 1973 quando dovette rimpiazzare rapidamente Spiridon Agnew, accusato di concussione, frode fiscale, corruzione e associazione a delinquere. Gli fu risparmiato un processo a condizione che ammettesse la sua responsabilità in almeno uno dei casi contestati e rassegnasse le dimissioni. La seconda promozione di Ford — da vice-presidente a presidente — avvenne nell’agosto dell’anno seguente quando Nixon, coinvolto nello scandalo del Watergate, dovette a sua volta dimettersi. Per evitare una lunga sede vacante Ford prestò giuramento in un battibaleno e divenne così il solo uomo politico americano che sia stato vice-presidente e presidente senza essere stato eletto dai suoi connazionali. Per fortuna la politica estera americana, negli anni di Ford, era nelle mani di Henry Kissinger.
Il caso di Carter fu alquanto diverso. Veniva dalla Georgia, aveva fatto politica nel Parlamento dello Stato, si era dimostrato un buon imprenditore nel campo delle arachidi ed era noto per il suo impegno religioso. Conquistò la candidatura alla Casa Bianca in un momento in cui il partito democratico era a corto di leader nazionali ed ebbe la fortuna di trovare di fronte a sé, nelle elezioni del 1976, il modesto Ford, ormai bersaglio di battute umoristiche. Vinse con il 51% dei voti e mise a segno, nel campo delle relazioni internazionali, qualche buon risultato: gli incontri di Camp David per la conclusione di un trattato di pace fra Israele e l’Egitto dopo la guerra del Kippur e il dialogo con l’Unione Sovietica per la riduzione degli armamenti strategici. Ma dovette fare fronte alla crisi energetica provocata dall’aumento del prezzo del petrolio, reagire all’invasione sovietica dell’Afghanistan nel dicembre 1979 e soprattutto gestire il caso del 51 diplomatici americani sequestrati come ostaggio dalla fazione più radicale della rivoluzione iraniana. Approvò, probabilmente di malavoglia, il tentativo di liberarli con commando militare imbarcato su aerei e elicotteri. Ma la missione fallì e la responsabilità dell’insuccesso cadde politicamente sulle sue spalle.
Carter fu sconfitto da Ronald Reagan nelle elezioni presidenziali del novembre 1980. Ma ha il merito di avere creato da allora una fondazione umanitaria che si è distinta per una presenza spesso costruttiva in alcune grandi crisi internazionali. Per molti aspetti il pensionato Carter è divenuto più famoso e applaudito del presidente Carter.