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 2014  maggio 22 Giovedì calendario

«SACCONI E PARISI CI CHIESERO LA SCORTA QUATTRO GIORNI PRIMA CHE LO UCCIDESSERO»


ROMA — «Il 15 marzo 2002, quattro giorni prima dell’omicidio di Marco Biagi, consegnai due lettere al ministro dell’Interno Claudio Scajola con le richieste dell’onorevole Maurizio Sacconi e del direttore generale di Confindustria Stefano Parisi perché fosse data la scorta al giuslavorista bolognese. Scajola mente quando dice che nessuno l’aveva informato del pericolo». Tredici anni dopo l’attentato contro il professore parla Luciano Zocchi, che di Scajola era il capo della segreteria. Durante una perquisizione ordinata dai pm romani che indagavano sull’eredità dei Salesiani, nel suo appartamento sono stati trovati documenti portati via dal Viminale. Compresi gli appunti che hanno convinto la procura di Bologna a riaprire l’inchiesta sulla mancata protezione. Assistito dagli avvocati Mario Geraci e Angela De Rosa, Zocchi decide di «raccontare tutta la verità, come ho già fatto di fronte ai pubblici ministeri di Roma e Bologna che mi hanno interrogato due settimane fa».
Perché conservava quelle carte?
«Ho sempre fotocopiato tutto, ogni appunto e documento. Sono felice di averlo fatto anche in quell’occasione».
Ci può raccontare che cosa accadde?
«Era la mattina del 15 marzo 2002. Mi chiamò Enrica Giorgetti, la moglie dell’onorevole Sacconi che lavorava in Confindustria. Mi segnalò la pubblicazione della relazione semestrale dei servizi segreti con le minacce brigatiste. E mi disse: “Non chiedo di dare la scorta a mio marito, ma convinci il ministro a darla a Biagi”».
E lei informò Scajola?
«In quel momento lui stava presiedendo il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza. Mentre scrivevo la lettera mi telefonò il direttore generale di Confindustria Stefano Parisi e mi chiese un appuntamento con il ministro segnalandomi lo stesso problema. A quel punto scrissi i due appunti e li portai alla sua segretaria affinché glieli consegnassero subito».
È sicuro di essere stato esplicito?
«Sono certo. Ormai li so a memoria. Nel primo scrissi: “L’onorevole Sacconi ti chiede di dare la tutela al professor Marco Biagi, erede di D’Antona e Tarantelli”. Nella seconda annotai: “Stefano Parisi (essendo all’estero il presidente di Confindustria Antonio D’Amato) ti chiede un appuntamento urgente per lo stesso motivo».
Come fa ad avere la certezza che furono consegnati a Scajola?
«La sua segretaria Fabiana Santini mi disse che glieli aveva dati e lui li aveva letti. ma poi ne ebbi anche conferma diretta».
Come?
«Quella sera Scajola mi chiamò per chiedermi come mai conoscevo Parisi. In quel momento capii che aveva visto tutto».
E fissò l’appuntamento con Parisi?
«Il ministro mi disse che stava partendo per New York. Quando gli feci il nome di Biagi rimase zitto e poi chiuse seccamente la conversazione. A quel punto richiamai la Giorgetti e le consigliai di farlo chiamare direttamente da Parisi».
Informò altre persone del Viminale delle segnalazioni ricevute?
«Andai nella segreteria del capo della polizia e parlai prima con il prefetto Giuseppe Procaccini al quale feci vedere le lettere. Poi con il prefetto Giuseppe Pecoraro. Lui mi disse che Biagi si era fatto alcune telefonate da solo».
Questo era il sospetto emerso dai primi accertamenti.
«Io specificai che era stata la signora Giorgetti a segnalarmi il pericolo».
Perché nella lettera mise invece il nome di Sacconi?
«All’epoca era sottosegretario al Lavoro, il fatto che la telefonata l’avesse fatta sua moglie non cambiava la sostanza».
Che cosa è successo dopo?
«Il 19 marzo andai a cena al Bolognese ospite del sindaco di Albenga Mario Zunino e del parlamentare di Forza Italia Angelo Barberis. Raccontai loro tutta la storia delle lettere. Dopo poco mi arrivò la telefonata della Giorgetti. Mi gelò: “Sono Enrica, l’hanno ammazzato”. Capii subito e dopo poco chiamai Pecoraro. Io cominciai a essere molto preoccupato».
Perché?
«Volevo dimostrare la mia correttezza, provare che avevo fatto tutto quello che era necessario. Per questo il giorno dopo incontrai Giorgetti e le consegnai la copia delle due lettere che avevo trasmesso a Scajola».
Perché decise di parlarne con monsignor Sodi e con il cardinale Tarcisio Bertone?
«Ero preoccupato. Una persona era stata uccisa perché non gli era stata data la protezione. Entrambi mi dissero di raccontare tutta la verità e di affidarmi a Dio».
E lei lo fece?
«Finora nessuno mi aveva mai chiesto nulla. Mi aspettavo di essere chiamato dal prefetto Sorge che era stato incaricato di redigere la relazione sulla mancata assegnazione della scorta, ma non accadde. Anzi, un giorno arrivai al Viminale e Sorge mi venne incontro dicendomi che voleva presentarmi il pm incaricato delle indagini. Pensai che fosse venuto a interrogarmi, invece non fui mai convocato».
Perché non si fece avanti lei?
«Non avrei mai immaginato che questa circostanza sarebbe stata tenuta nascosta. Capii tutto il 16 aprile 2002 quando Scajola disse in Senato che lui non era mai stato informato delle minacce. Da allora fui tenuto a distanza e poi isolato. Da quando abbiamo lasciato il Viminale i nostri rapporti sono diventati freddi e molto sporadici».
Crede che Scajola avesse paura delle sue rivelazioni?
«Una volta nel 2005 fu chiarissimo: “Non mi parlate mai più della vicenda Biagi”. E proprio questo è successo».