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 2014  maggio 22 Giovedì calendario

NELLA LIBIA SENZA GHEDDAFI SI IMPAZZISCE TRE VOLTE DI PIU


Mentre la popolazione libica sta davvero “impazzendo” per una guerra ormai endemica, di ora in ora acquista alleati il generale Khalifa Haftar, che guida soprattutto a Bengasi un’offensiva contro le milizie islamiste legate alla Fratellanza Musulmana e ai salafiti, specie le Ansar Al Sharia, i Martiri del 17 Febbraio e le Forze dello Scudo. Già da giorni lo fiancheggiano le brigate venute da Zintan, che hanno agito a Tripoli assalendo il Parlamento, reo di aver scelto nuovo premier il filoislamista Ahmed Mitig di Misurata. L’autoproclamato Esercito Nazionale Libico, germogliato in Cirenaica attorno al generale, sta facendo da calamita a unità delle vere e proprie forze armate, o meglio di ciò che ne rimane. Dopo che la Commissione elettorale ha indetto nuove elezioni per il prossimo 25 giugno, molti ufficiali sono passati con Haftar. Ieri è stata la volta del comandante della Marina, ammiraglio Hassan Abu Shanaq, che ha pagato subito la sua scelta subendo un attentato da parte degli islamisti mentre percorreva la capitale in auto. Ne è uscito solo ferito, come pare anche il suo autista e una guardia del corpo. Anche il suo collega a capo dell’Aeronautica, colonnello Gomaa Al Abbani, ha dichiarato il sostegno al “generale ribelle”. Abbani ha detto in TV: «Bisogna creare una nuova Libia che combatta il terrorismo». Poco dopo le milizie rivali hanno lanciato razzi, per ora senza feriti, contro uffici dell’aviazione libica, utile pur ridotta a 16 caccia efficienti, vecchi Mirage, Mig-21 e Mig-23. Parimenti, l’ambasciatore libico all’ONU, Ibrahim Al Dabashi, ha difeso Haftar: «Non è un colpo di Stato ma un’azione patriottica». La situazione resta confusa, tant’è che in mattinata si diceva che anche il ministro dell’Interno, Saleh Mazeg, si fosse allineato col generale, ma poi nel pomeriggio ha accreditato un’equidistanza: «Sono dalla parte del popolo e basta». Già, il popolo libico, quel popolo che sotto la dittatura, pur ferrea, del colonnello Gheddafi godeva però di stabilità e benessere invidiabili in quasi tutta l’Africa, con una redistribuzione delle rendite petrolifere, ma che da tre anni vive in una sanguinosa incertezza che alimenta anche psicosi e paranoie. L’allarme delle ong, efficacemente ripreso dal notiziario “Redattore Sociale”, è agghiacciante. Dal 2011 sono triplicate le malattie mentali, come rileva il dottor Abdulrauf Idres dell’ospedale psichiatrico di Tripoli: «Di solito vedevamo tra i 7 e i 10 pazienti al giorno prima della guerra. Ora ce ne sono tra i 20 ed i 30». Soffrono sia i reduci e tutti i civili che hanno avuto parenti massacrati (25.000 morti!), oltre ai bambini che ormai crescono in una società disintegrata, dove a ogni angolo della strada si può incontrare un nemico. Una vita in preda al disordine e al capriccio delle centinaia di milizie, grandi e piccole, che spesso sfumano in comuni bande dedite a rapine ed estorsioni. Un collega di Idres, che ha voluto restare anonimo, accusa le autorità di disinteresse: «É più facile per i funzionari governativi rubare i soldi destinati a progetti psicologici perché nessuno ne parla. Nella maggior parte dei casi, abbiamo strutture ma non abbiamo dottori e viceversa». E molti libici si rifugiano nella droga, specie i giovani, anche adolescenti, che non possono più né studiare, né lavorare. Stando al comandante della polizia della capitale Mohammed Swaisim: «Non si tratta più del consumo usuale. I giovani che prima portavano a casa lo stipendio non sono più in grado di lavorare a causa dei disordini legati allo stress. La loro incapacità di lavorare ha colpito l’intera famiglia». I bambini, poi, come ovunque nei Paesi in guerra, crescono introiettando frustrazioni e paure dei genitori, giocando fra le macerie a bastonarsi come gli adulti. La ricostruzione, sperando che le lacerazioni della Libia abbiano una fine non molto lontana, dovrà ripartire anche da loro.