Franco Bechis, Libero 22/05/2014, 22 maggio 2014
IL PD BOICOTTA GLI 80 EURO DI RENZI
È il fiore all’occhiello di Matteo Renzi durante questa campagna elettorale per le europee: il decreto legge sugli 80 euro nelle buste paga di maggio. Il premier ne ha snocciolato ogni meraviglia come fosse una corona del rosario durante le giaculatorie quotidiane a reti unificate con cui ha invaso l’etere ogni giorno da più di un mese. Ma quel decreto potrebbe non esistere più. Sepolto, travolto da 390 pagine di emendamenti depositati alle commissioni riunite Bilancio e Finanze del Senato.
Accade spesso quando si presentano le manovre economiche, specie se qualche gruppo di opposizione decide per l’ostruzionismo e deposita una carriolata di modifiche tutte o quasi uguali. Non è questo il caso: anche il Movimento 5 stelle, che rappresenta l’opposizione più dura, ha scelto di non fare ostruzionismo, e di seguire perfino la filosofia del decreto legge radicalizzando però proprio la parte più traballante, quella della spending review. Quasi la metà degli emendamenti però è presentata da senatori che appartengono alla coalizione di governo, e ben 118 pagine contengono modifiche firmate da uno o più esponenti del Partito Democratico. Un atto di sfiducia clamoroso nei confronti del testo della manovra, che già aveva fatto storcere il naso ai tecnici del Quirinale e poi a quelli di palazzo Madama, che avevano avanzato parecchi dubbi sulla consistenza delle coperture finanziarie. Non saranno certo i senatori del Pd a mettere una toppa a quei buchi grossolani esistenti nel decreto legge dovuti anche alla scarsa preparazione tecnica di chi l’ha scritto e alla solita fretta imposta dal premier Renzi.
Il Pd ha tradotto ancora una volta alla romanesca l’ormai celebre allocuzione inglese: spending review anche in questo caso viene pronunciata “spending de più”. Gran parte dei senatori ha deciso di lanciare l’avviso di garanzia al governo: giù le mani dalle nostre cassaforti tradizionali. Piovono quindi emendamenti per salvare gli enti locali dalla scure dei tagli, per alleggerire i codici Siope inseriti in manovra sui servizi degli enti locali da tagliare, per alzare uno schermo anche nei confronti delle casse di quelle Province che solo Renzi ha pensato di avere abolito.
Ma c’è una roccaforte simbolo su cui si è schierata la difesa quasi militare del Pd. Una pioggia di emendamenti che serve ad alzare un muro a protezione della Rai. L’articolo 21 del decreto legge, “Disposizioni concernenti Rai spa” viene sventrato dal Pd sia nella parte che riguarda l’abolizione delle sedi regionali attualmente previste dalla legge, sia la stessa previsione di partecipare alla spending review di Stato con un contributo netto di 150 milioni di euro che sta creando molti mal di pancia in viale Mazzini. Il piddino Federico Fornaro è riuscito a riunire non poche firme anche auotorevoli (fra loro Felice Casson e Sergio Zavoli) su due emendamenti soppressivi dei primi due commi dell’articolo punisciRai. In quel modo verrebbero salvate le sedi regionali attuali e la spending review imposta da Renzi non sarebbe più possibile. Uno dei firmatari, Salvatore Margiotta, lancia anche una ciambella a Luigi Gubitosi su quei fastidiosi 150 milioni di euro da allungare al governo: alla somma potranno essere sottratti gli eventuali incrementi di canone derivanti dalla lotta all’evasione e alla nuova conseguente sottoscrizione di abbonamenti. Meccanismo questo che comunque salverebbe parte di quei soldi per le casse della Rai anche senza fare nulla, perché il recupero di canone 2014 su 2013 sarebbe comunque fisiologico come ogni anno, per gli accertamenti già disposti in passato e le relative lettere inviate ai contribuenti italiani. Con un pizzico di sforzo in più minacciando i malcapitati cittadini Gubitosi potrebbe salvare l’intero gruzzolo.
Gli altri emendamenti Pd a parte correggere alcuni marchiani errori tecnici del testo (come fa Massimo Mucchetti), e inserire alcune norme a favore di cooperative, puntano a mettere un ombrello di protezione sui tagli agli enti locali. La preoccupazione principale sembra quella di proteggere le centrali di acquisto di beni e servizi della Pa che come tanti funghi sono nate in questi anni nelle Regioni ed enti locali. Il governo per l’ennesima volta pensa che verrebbero grandi risparmi obbligando tutte le strutture periferiche dello Stato ad appoggiarsi esclusivamente sulla Consip, che è la centrale acquisti della pubblica amministrazione per rifornirsi sia di bene che di servizi. Il Pd ora lancia una sua controproposta, che limita questo obbligo solo al caso in cui le gare locali facciano emergere prezzi più alti di quelli offerti da Consip. Un meccanismo che certamente produrrebbe caos (prima si fa la gara locale, poi si confronta il prezzo con la Consip e poi si decide esponendosi a inevitabili ricorsi), ma che avrebbe il vantaggio di proteggere quelle centrali di acquisto locali ormai diventate centri di potere democratici. Analoghi emendamenti andrebbero a ridurre i fondi tagliati alle Province, fra cui quelli per la manutenzione delle strade che verrebbero sottratti alla spending review. Salta dunque la stretta sulla spesa, proprio mentre un’altra parte della maggioranza (Ncd e Scelta civica) punta con i suoi emendamenti ad allargare il perimetro del bonus 80 euro e quello della riduzione dell’Irap. In queste condizioni la manovra Renzi rischia di uscirne con le ossa rotte.