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 2014  maggio 21 Mercoledì calendario

LA DANZA DI ALESSANDRA FERRI: ESPLORO L’EROS CHE NON HA ETÀ


Corre tra le braccia muscolose del ventenne Herman Cornejo in un letto dalle lenzuola sfatte, mentre la sottoveste di seta rosa le fluttua leggera intorno al corpo esile. A guardarla non c’è dubbio: per alcune donne la vita ricomincia a cinquant’anni. Se poi la 51enne è Alessandra Ferri, l’étoile che dall’età dei 17 ha più incarnato la sensualità femminile in scena, la rimessa in gioco è totale lungo i binari tortuosi dell’eros.
La sua interpretazione di Léa in Chéri , pièce tra danza e teatro che la regista-coreografa Martha Clarke (suo il balletto di Vasco Rossi alla Scala) ha liberamente tratto dai romanzi di Colette, è stato definita dalla stampa americana, al debutto lo scorso dicembre al Signature Theatre di New York, «una passione delirante intinta nell’estasi sessuale». E non potrebbe essere altrimenti: l’ex cortigiana Léa che, alla soglia dei cinquant’anni, vive la scandalosa relazione con un ventenne viziato (Fred Peloux detto Chéri, qui interpretato dall’argentino Herman Cornejo, principal dell’American Ballet Theatre e sex symbol) è solo l’ultima, in ordine cronologico, di una galleria di femmine dai sensi accesi: Manon, Carmen, persino la sua carnale Giulietta avevano segnato la prima carriera della Ferri, tra la Scala e l’ABT.
Il suo ritorno (lo scorso anno a Spoleto), dopo sette anni di addio alle scene, viene ora confermato da Chéri che sarà presentato in prima europea al Ravenna Festival dal 9 all’11 giugno al Teatro Alighieri. «È un’opportunità meravigliosa, per una donna della mia età, essere in scena — ammette la Ferri —. Nei panni di Léa posso esplorare l’erotismo di una mia coetanea in maniera realistica. È stato un processo intimo: alcuni spettatori newyorchesi si sono sentiti scomodi, quasi nella camera da letto dei due. La storia ha echi autobiografici perché Colette ebbe nella realtà una relazione con un ragazzo molto più giovane di lei».
La scrittrice ambienta Chéri e il seguito La fine di Chéri nella Parigi d’inizio Novecento delineando il prototipo letterario di quella che oggi chiameremmo la relazione tra toy boy e cougar woman. «Sì, all’inizio Léa vede il suo amante Chéri come toy boy, ma finisce per innamorarsene — spiega l’étoile —. Alla coreografa importava indagare il rapporto inusuale tra la donna e il ragazzo. La grande differenza d’età porta l’amore pieno, erotico, reso più intenso dalle insicurezze tra i due. Se si accetta che i sentimenti non abbiano età, l’amore è libero di andare oltre la fisicità. Alla fine, Léa si rassegna a invecchiare, Chéri invece crollerà suicidandosi».
Lo sguardo femminile difficilmente separa l’eros dal sentimento… «Certo ma, in questo caso, a una prospettiva allargata dell’amore approda anche il ragazzo frequentando una donna molto più matura. Chéri vive in un mondo femminile e ha una madre che lo manipola, amica di Léa di cui poi sarà gelosa, interpretata dall’attrice Amy Irving. Per questo, la Clarke ha voluto che Cornejo fosse attorniato da un tris di sole donne, l’amante, la madre e la pianista». Quello al Signature è stato il suo debutto a Broadway.
E continua la sua consulenza artistica con il Festival dei Due mondi di Spoleto? «Credo di no, ho fatto quello che potevo. Avrei voluto delle creazioni, ma non ci sono le condizioni. Altrove, invece, coreografi importanti creeranno nuovi balletti per me: sarò la protagonista di Eleonora Duse di John Neumeier ad Amburgo (e non più alla Scala, come annunciato) e, nel 2015, di Virginia Wolf di Wayne McGregor al Royal Ballet di Londra».
Se le proponessero di dirigere il Balletto della Scala lascerebbe New York dove vive da trent’anni? «Valuterò con attenzione. Non rifiuto mai nulla a priori. Ora meno che mai».