Rosario Dimito, Il Messaggero 21/5/2014, 21 maggio 2014
ILVA, BONDI A UN PASSO DALL’USCITA
ROMA Enrico Bondi in uscita dall’Ilva. Il destino del commissario straordinario è segnato e ne sarebbe consapevole il Ministro dello Sviluppo Federica Guidi che nelle ultime ore, a seguito del pressing delle banche e dei soci, si sarebbe convinta che la sostituzione del manager costituisce la soluzione per il salvataggio del gruppo siderurgico. Il mandato di Bondi scade il 6 giugno e il ribaltone favorirà l’afflusso dei 4 miliardi di investimenti, previsti dal suo piano sulla cui tenuta ci sono molte riserve. Il consulente delle banche Roland Berger, infatti lo ritiene inadeguato e basato su proiezioni poco veritiere.
Segnali di apertura da parte dei Riva e delle banche, però, si sono registrati negli ultimi giorni. A valle di un vertice, agli inizi della scorsa settimana, presso la sede dello Sviluppo economico fra i rappresentanti di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Popolare alla presenza del ministro Guidi e del sottosegretario Graziano Delrio, è stata evidente l’insofferenza nei confronti di Bondi. Il governo ha chiesto alle banche di intervenire per sondare la disponibilità degli eredi di Emilio Riva a partecipare alla ricapitalizzazione dell’Ilva con una quota attorno a 1,8 miliardi. E siccome delle tre grandi banche, Intesa è l’istituto di riferimento della società dell’acciaio, i rappresentanti della famiglia proprietaria sono stati ricevuti nella sede di Gaetano Miccichè, dg corporate.
I NUMERI TOP SECRET
I Riva che da tempo non hanno dialogo con il commissario, avrebbero espresso disponibilità a partecipare all’aumento, a certe condizioni, fra le quali quella di non avere tra i piedi Bondi il cui piano prevede oltre all’apporto dei soci, 600 milioni reperiti da operazioni interne: gli istituti dovrebbero erogare circa 1,6 miliardi che potrebbe diventare 1,8 nel caso in cui gli azionisti versassero meno. E a proposito di azionisti, accanto ai Riva, le banche gradirebbero fosse invogliato l’arrivo del colosso mondiale ArcelorMittal, dotato di know how e liquidità, anche se interesse è stato manifestato anche da Giovanni Arvedi a capo di una cordata comprendente il gruppo Marcegaglia. Ma tutti reclamano un contesto sereno e collaborativo fra i vari soggetti, al contrario di quanto avviene con Bondi. E a questo riguardo anche il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, ieri si è scagliato contro: «In due anni si è registrato un disastro: l’Ilva sta per fallire».
L’immissione di risorse nuove è fondamentale per il rilancio del gruppo che deve far fronte agli impegni dell’Aia per mettere in sicurezza lo stabilimento di Taranto. Dai dati della bozza di piano finanziario al 2020 di Bondi emerge che il rendiconto 2013 (non ancora approvato) segna una perdita di circa 800 milioni e ricavi per 3,350 miliardi. Per il 2014 il forecast prevede un ebitda negativo di 70 milioni, ebit negativo di 470, risultato in rosso a 488 milioni e giro d’affari di 3,5 miliardi. Il ritorno all’utile è stimato solo nel 2017 (20 milioni) e, a tendere, nel 2020 si prevedono 5 miliardi di ricavi, ebitda di 860 milioni e utile di 270 milioni.
Per il dopo Bondi c’è l’ipotesi di Piero Nardi, commissario della Lucchini, già dg dell’ex Italsider: qualche banca nutre riserve.