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 2014  maggio 20 Martedì calendario

REFERENDUM SVIZZERO VINCE IL MERCATO


Ancora una volta gli svizzeri sembrano rifiutare l’idea che in certi ambiti lo Stato possa imporre dei limiti al mercato. Dopo la schiacciante maggioranza di «no» alle sei settimane di ferie e alla regola «1/12» che avrebbe imposto ad ogni azienda di limitare lo stipendio più alto a quello più basso moltiplicato per dodici, la confederazione ha votato domenica contro il referendum per il più alto salario minimo al mondo. I promotori – sindacati e partiti di sinistra - avevano volutamente, e pericolosamente, posto l’asticella molto in alto. È vero che la busta paga media supera in Svizzera i 5.000 euro al mese, ma il salario minimo a 22 franchi (18,5 euro) all’ora – oltre il doppio di quello tedesco – avrebbe significato garantire minimo di 4.000 franchi al mese (3.300 euro) a tutti. Un sogno, anche per molti transfrontalieri italiani, che si è infranto contro un muro: il 76,5 per cento di «no».
A giudicare dalle prime analisi, il ragionamento di una parte della sinistra, che aveva pensato con questa proposta anche di esorcizzare le paure di chi aveva votato a favore di un limite agli immigrati, è fallito. Non c’è la minima coincidenza tra chi ha espresso un voto anti-immigrati e chi ha votato a favore di un livello di stipendio minimo obbligatorio: in molte città è anzi vero il contrario. E la campagna contraria al salario minimo «d’oro» era stata condotta dai datori di lavoro con uno spauracchio ovvio: il rischio della perdita di migliaia di posti di lavoro. Sul tema specifico del lavoro, a giudicare anche dai referendum degli anni scorsi, gli svizzeri sembrano poco inclini alle scorciatoie, se devono decidere di allungarsi le ferie o se stabilire buste paga blindate, sembrano chiedersi anche «chi paga».
Interessante anche il secondo referendum di domenica, in cui hanno prevalso i «no» e che è sembrato invece più ideologico: quello che ha bocciato l’acquisto di 22 jet da combattimento Gripen. Qui la mappa del voto fa emergere due tendenze: le città hanno votato contro, le campagne a favore. Gli oppositori hanno fatto breccia con il ragionamento che la confederazione è un Paese neutrale e non ha bisogno di jet da combattimento. Ed è emerso di nuovo il «Roestigraben» che si era manifestato anche per il voto sul limite agli immigrati: la divisione tra parte francofona occidentale – contraria – e parte orientale, germanofona, favorevole.
Difficile analizzare il voto svizzero, al di là del fatto che i referendum sono frequentissimi. Racconta il filosofo di Harvard, Michael Sandel, in «Quello che i soldi non possono comprare» (Feltrinelli) che durante un esperimento condotto da due economisti, gli svizzeri di un piccolo villaggio votarono a favore di un sito di stoccaggio di scorie nucleari. Quando gli studiosi proposero anche un risarcimento, nel caso di rifiuto, i «sì» addirittura aumentarono. Venne fuori che gli abitanti del villaggio consideravano un dovere civico votare di sì. E che erano indignati all’idea di essere «corrotti» da un incentivo. Altri mondi.

Tonia Mastrobuoni, La Stampa 20/5/2014