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 2014  maggio 20 Martedì calendario

LA MEZZALUNA DEL FANATISMO AFRICANO


L’alfabeto jihadista africano si può leggere da ovest a est lungo la fascia semidesertica del Sahel che porta dalla Mauritania sull’Oceano Atlantico al Kenya sull’Oceano Indiano. Iniziando con l’Aqmi (acronimo di Al Qaeda nel Maghreb islamico, contenitore di una costellazione di milizie che combattono per la causa comune islamica nelle zone desertiche e semi-desertiche tra Algeria, Mali, Niger, sconfinando sino al Ciad), si passa a Boko Haram, il gruppo terrorista che va per la maggiore da quando ha preso in ostaggio diverse centinaia di studentesse cristiane nel nord della Nigeria e combatte contro il ‘libro proibito’ veicolo della corruzione occidentale.
I Janjawid (“uomini” o “fucili” a “cavallo”, ndr) tribù islamiche che spradroneggiano nella savana del Darfur, assurto alle cronache mondiali anni fa per l’impegno di vip come George Clooney e ormai ridiscesa nell’oblio, sono certo meno legati alle reincarnazione di Al Qaeda nel continente africano. Ma in Sudan, stato-canaglia del gergo Clinton-bushano, e santuario del terrorismo islamico, ha risieduto a lungo Osama bin Laden prima di esser costretto a scegliere di tornare sul luogo dove ha iniziato la sua carriera, l’Afghanistan dei Taliban (‘gli studenti del Corano’, ndr) che aveva aiutato (come ‘logista’ delle armi americane ai mujahidin) a liberare dagli invasori sovietici.
Nell’agosto del 1998 al Qaeda (‘la base’, ovvero il magnete degli sparsi gruppi terroristici mediorientali) colpì con camion-bomba le ambasciate Usa di Nairobi (Kenya) e Dar es Salaam (Tanzania), in quello che fu il primo attentato coordinato in grande stile di Bin Laden. Tre anni dopo ci sarebbe stato l’11 settembre.
Arrivando sulla costa orientale si passa nel regno degli altri ‘studenti’, gli Shabaab, i ‘ragazzi’ che detengono il controllo di parte della Somalia meridionale e compiono scorribande e attentati in Kenya, ex fiore all’occhiello delle colonie britanniche scivolato nell’insicurezza endemica (hanno avuto parte nella sanguinosa presa del mall Westgate di Nairobi nel settembre scorso). Nei giorni dell’assedio e della carneficina della capitale keniota si è dimostrato uno dei legami che il conflitto siriano ha reso evidente: l’unione tra i gruppi estremisti locali e gli jihadisti nati in Occidente, la ‘saldatura’ dei cittadini-stranieri di seconda generazione che sposano la causa jihadista e vanno a combattere dove il richiamo della Guerra santa è più forte (decine di guerriglieri ceceni andati a ingrossare le fila dei ribelli del Mali e centinaia quelle dei rivoltosi anti-Assad).
Negli ultimi vent’anni la diffusione dell’Islam radicale in Africa era stata soffocata (o, meglio, acuita) dalla repressione dei regimi (algerino, libico, egiziano): le primavere arabe hanno liberato questo demone dai confini in cui erano contenuti e i traffici del deserto (uomini, armi, droga) ne amplificano ora il potere e la propagazione.

Stefano Citati, Il Fatto Quotidiano 20/5/2014