Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 20/5/2014, 20 maggio 2014
BERLINGUER CAUSA DI TUTTI I GUAI
[Intervista a Claudio Cerasa] –
Sono cinque le catene che, secondo Claudio Cerasa, brillante caporedattore de Il Foglio, imprigionano la sinistra italiana. Nel suo libro appena uscito per Rizzoli, Le catene della sinistra appunto, questo 32enne palermitano trapiantato a Roma, le descrive con agra scientificità: giustizia, lavoro, establishment, ambiente e cultura. O meglio sono i pregiudizi, i passatismi, le tossine massimaliste, le eredità spiacevoli di un passato che non vuol passare su temi delicatissimi per la modernità di un Paese, chiudono il lato sinistro della politica italiana in un recinto invalicabile a tanti. Trecentosei pagine impietose, ma non una riga di troppo, che per Matteo Renzi, che in quelle catene s’è infilato consapevolmente, saranno un prezioso ripasso.
Domanda. Quando e perché ha deciso di scrivere questo libro?
Risposta. Son temi di cui mi occupo da sempre ma è stato nell’estate scorsa che mi è sembrato necessario dargli la forma di un libro.
D. Certo avrà influito il decorso della crisi democratica dopo il voto di febbraio e la «non-vittoria» di Pier Luigi Bersani...
R. Assolutamente sì. In quei giorni delle consultazioni terribili, le molte catene si sono viste eccome.
D. Per esempio?
R. Per esempio nell’indirizzarsi subito al M5s, invece dialogare con gli altri. E le catene erano già emerse nella campagna elettorale. D’altra parte, figlio di quelle catene è stato, in qualche misura, il successo stesso di Beppe Grillo.
D. In che senso?
R. Il 28% Grillo nasce per responsabilità della sinistra: è una risposta alternativa a un’altra negativa, che arriva dalla sinistra. I grillini sono un’evoluzione della sinistra dei tanti «no». In un Paese normale, non accadrebbe: ci sarebbe una sinistra che arriva al 40%.
D. Esaminiamole una a una, queste catene. Per capire se Renzi le rompe o ne rimane strozzato. Cominciamo dalla giustizia.
R. Beh, qui caschiamo male: il caso Francantonio Genovese è un tassello pazzesco: si è detto sì all’arresto per motivi elettorali...
D. Eppure Renzi, in questo campo, ha sempre scritto un’altra storia...
R. Certo. È uno che rifiutava l’idea di battere Silvio Berlusconi per via giudiziaria, distinguendo l’avversario dal nemico.
D. E poi c’era stata quella presa di posizioni durissima, nell’ultima Leopolda, sul caso dell’amministratore di Fastweb, Silvio Scaglia, vittima di una lunga carcerazione preventiva e poi prosciolto.
R. Vero, purtroppo però Renzi sta inseguendo Grillo sul suo campo, almeno su alcuni temi e la giustizia è uno di questi. Non è un caso che il 29 aprile, anche il Pd, come il M5s abbia bocciato il disegno di legge sulla responsabilità dei giudici in commissione giustizia a Palazzo Madama. E temo che non sia finita e che il Pd per inseguire la propria purezza inseguirà ancora il giustizialismo.
D. Ma a giugno si parlerà della riforma della giustizia e dunque si chiariranno i pensieri di molti cuori…
R. Ecco, Renzi, in quell’occasione deve dimostrare di poter andare oltre Nanni Moretti. Di fatto, siamo oggi al famoso «con questi dirigenti non vinceremo mai», urlato dal regista sul palco di Piazza Navona. La rottamazione, sin ora, è stato questo.
D. E invece?
R. Sulla giustizia, significa abbattere i vecchi tabù. D’altra parte, se scegli come Guardasigilli uno come Andrea Orlando, che è stato il responsabile giustizia Pd che, scandalizzando molti, si pronunciò a favore della separazione delle carriere, poi devi essere conseguente, non puoi balbettare, non devi pensare ai sondaggi. Insomma, oggi, per tornare a Moretti, il dirigente è Renzi.
D. Un’altra catena è quella del rapporto, sempre molto paludato quanto molto stretto ed efficace, con l’establishment, con le banche, con la finanza. Quello che lei definisce, mirabilmente, il «quatto potere»…
R. Questo è un punto controverso. Francamente non penso che sia sbagliato dialogare con il potere economico, né che faccia problema che ci siano banchieri che votano Pd. Barak Obama, d’altra parte, non si fa scrupoli. Il punto, semmai, è non tenere queste relazioni nell’ombra, come è stato fatto nel passato, ed evitare la subalternità di chi si deve accreditare o, peggio, dare all’establishment le chiavi di tutto.
D. Dunque, rottamare anche lì?
R. Sarebbe demagogico, semmai rinnovare. La vicenda di Sergio Chiamparino, che fa andata e ritorno fra la politica e una grande fondazione bancaria, è davvero emblematica.
D. Qualcuno accusò Renzi d’aver accelerato la fine del governo di Enrico Letta per mettere mani su una importante tornata di nomine. Quale potrebbe essere un gesto tranchant, di discontinuità forte col passato?
R. Faccia la riforma delle fondazioni, le tolga dai cda delle banche. Sarebbe un segnale forte.
D. Non da poco è la catena culturale che avviluppa il Nazareno. Qui c’è da sperare che Renzi non rinculi, anche per le ferite che porta addosso, inferte dai Salvatore Settis e dagli intellettuali che non gli han dato tregua: dalla ricerca di Leonardo nel Salone dei Cinquecento al noleggio dei Ponte Vecchio.
R. Probabile. Qui, come spiega bene nel mio libro il «compagno» Antonio Funiciello (a sua volta autore del bellissimo A vita, libro sull’immutabilità della classe dirigente dem, ndr), c’è un aspetto particolare: per anni la sinistra, il Pci hanno utilizzato la cultura, per diffondere le idee, nella logica egemonica gramsciana ma poi…
D. Poi_?
R. Poi, la situazione si è ribaltata, il Partito della Cultura ha finito per usare la sinistra e il Pd per esprimere il massimo della propria ossessione conservatrice. A cominciare dalla Costituzione, intangibile e immutabile, il PdC ha incarnato il non-progresso in Italia e ha imposto quella distanza olimpica dalle questioni materiali, dagli interessi concreti, lasciati sistematicamente ad altri. Infatti i ceti produttivi, le partite Iva per esempio, hanno portato i loro voti altrove. La questione morale al posto delle questioni materiali: è qui che si sviluppa il Dna del Pd a vocazione minoritaria, il «noi da soli».
D. Insomma all’inizio di tutto c’è Enrico Berlinguer, celebrato proprio di recente, e la famosa intervista a Eugenio Scalfari, nel luglio del 1981?
R. La questione morale ha ucciso la sinistra, l’ha disintegrata. E la cultura del grillismo affonda lì le sue radici. L’anticapitalismo e il giustizialismo che cavalca le procure, arrivano da lì, da quella sinistra che per anni ha mangiato pane e moralismo. Renzi se ne stava distanziano.
D. Anche la catena ambientalista, non è cosa da poco. Mi sembra arduo l’affrancamento dalla cultura del chilometro zero, come scrive lei nel libro: voleva fare Carlin Petrini, mr. Slow Food, ministro dell’Agricoltura.
R. È una dittatura culturale che, per esempio, in agricoltura impedisce la coltivazione degli Ogm, uno statalismo becero che piace anche alla destra, non dimentichiamo infatti Gianni Alemmano e Giancarlo Galan e il loro no. Renzi deve emanciparsi da quel modello, perché, alla lunga, il «km zero» può valere anche in campo elettorale: rischia di trovare i voti solo in quell’orticello.
D. Un tema decisivo sarà quelle delle tante municipalizzate che si occupano di energie, ambiente, acqua. C’è l’ideologia di «beni comuni», quella che ha vinto i referendum, dove peraltro Renzi dette almeno un «no». E poi c’è la sua storica difesa dei termovalorizzatori.
R. Sfida fondamentale: è un’ideologia del post comunismo che vuole imporre lo statalismo per via municipale. Qui Renzi deve avere il coraggio, deve mostrarsi il liberalizzatore che prometteva.
D. Liberalizzare vorrebbe dire anche dare un colpo a un ceto politico che vive dell’indotto.
R. Su questo sono molto laico: che la politica voglia esercitare un controllo su alcune aree strategiche, non mi scandalizza. Il problema è che questi cda sono troppi.
D. Resta la catena del lavoro: il Jobs Act, seppur fra qualche timidezza, qualcosa sta cambiando.
R. Anche lì, si può andare avanti, con le tutele crescenti e la libertà di licenziare, fino a superare l’apartheid fra lavoratori protetti e non protetti.
D. Cerasa, domenica si vota. Lei nel libro, individua i vari elettorati che Renzi può recuperare. In che direzione dovrebbe concentrare gli sforzi?
R. Se il Pd prenderà il 33%, come dicevano gli ultimi sondaggi, sarà per lui un ottimo risultato. Per arrivare a quel 40% che consenta di concretizzare la vocazione maggioritaria spesso dichiarata, ci vorrà tempo. Secondo me, di qui a domenica, come nel periodo che verrà, Renzi dovrà soprattutto riconquistare alla politica i tanti che, disamorati, l’hanno lasciato, disertando le urne.
D. Elettori nuovi, quindi, più che rubati o recuperati. E come fare?
R. Attuare le riforme, ché l’enunciazione paga ma nel breve. Anche portare a casa la legge elettorale, ampiamente sottovalutata, ma che consente finalmente di scegliere chi governa il Paese, potrebbe essere un segnale non trascurabile.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 20/5/2014