Maria Laura Giovagnini, IoDonna 17/5/2014, 17 maggio 2014
HO UN’ANIMA INGUARIBILMENTE RETRÒ. MA CON IL FIDANZATO SONO SELVAGGIA
[Sabrina Impacciatore]
«Ogni volta che incontro picchio (Pierfrancesco Favino, ndr) o è dimagrito o è ingrassato o sta imparando uno strumento o studia con il corpo di polizia: “A’ Picchio, nun te sopporto più” lo provoco per scherzo. Purtroppo i ruoli femminili di rado ti permettono di esplorare mondi altri». E così Sabrina Impacciatore non ha avuto dubbi nell’accettare Pane e Burlesque, la commedia di Manuela Tempesta: e quando le ricapitava di seguire le orme di Dita Von Teese? «Per impersonare Giuliana - una performer che dopo anni torna in Puglia e mette su un gruppo improvvisato con le compaesane - mi sono allenata in tempi record» racconta lei, appassionata di sfide: «La mia unica ambizione è andare oltre». Partita dalla tv (Domenica in, Non è la Rai), arrivata al cinema (L’ultimo bacio, Signorina Effe), è stata la prima donna a condurre da sola - nel 2010 - il Concertone di Maggio. Versatile, nel giro di pochi mesi è passata dagli strazi del monologo teatrale È stato così di Natalia Ginzburg alla levità di quest’ultimo film.
«La commedia ha una funzione salvifica nella mia vita: avendo un senso sviluppatissimo della tragedia e del dramma, sono uscita consumata dalla tournée, malgrado abbia avuto la grazia di ricevere addirittura standing ovation».
Tragedia, dramma, “consumata”. Parla come un’eroina ottocentesca.
Sì, e non mi dispiace. Mi affascina tutto quel che è retrò. Sembrerò pazza, ma mi sento un’anima che ha sbagliato secolo: costantemente fuori posto, a disagio. Questo quotidiano mi fa soffrire, e tanto. Sono in continua ricerca: buddismo, meditazione, guru spirituali... Un modo di fuggire dalla realtà è anche quello di recitare, rifugiandomi nel regno della fantasia.
Per fortuna il mondo di Pane e Burlesque è un rifugio allegro.
Certo! Non è lo spogliarello, in cui la donna è oggetto di desiderio, strumento di piacere: nel burlesque ci si riappropria della propria sensualità attraverso ironia e gioco, scegliendo come, dove e quando esercitare il potere che ne deriva.
Qualche imbarazzo nel girarlo?
No, non mi sono mai spogliata. Però per me è già rivoluzionario mostrarmi in guêpière e reggicalze. Si è rivelato un po’ liberatorio perché sono incredibilmente pudica. Solo con il mio fidanzato riesco a essere selvaggia, e meno male (ride). Paio espansiva ed esuberante, in realtà sono riservatissima: è una maschera.
Per nascondere?
Insicurezza. Non poter usare né tacchi, né trucco – come mi è successo in Amiche da morire – è una tortura medievale, una penitenza.
Sta bluffando.
Non fingo mai, ed è un mio problema: essere priva di filtri mi provoca tante difficoltà sul lavoro. Paga invece nei rapporti affettivi, che sono limpidi, profondi, onesti.
A proposito, ho visto le foto paparazzate di lei con il suo compagno. Complimenti. Dove si comprano quei fidanzati lì?
Eh, quelle meraviglie non si comprano: arrivano come un dono dal cielo. Un dono che – peraltro – abitava a pochi chilometri da casa mia... Inutile dire il nome, non è un personaggio noto. Abbiamo tantissime cose in comune, tranne il lavoro. E questo è un bene, lui mi dà equilibrio, relativizza tutto. Gli attori rischiano di essere mangiati dalle ansie, dal narcisismo.
Quando è arrivato il bel Principe Azzurro?
Quasi un anno fa. Una sorpresa. Stavo molto bene da sola, libera (detesto il termine “single”, come ogni eufemismo, presuppone che ci sia da vergognarsi del significato reale) e non credevo nel Principe Azzurro, per quanto la mia collezione di Cenerentole possa lasciarlo intendere.
Colleziona Cenerentole?
Sono un caso disperato: in casa accumulo oggetti anni ’30-’40, sempre per l’esigenza di creare universi paralleli... La raccolta di Cenerentole è partita in realtà da “I sogni son desideri/ chiusi in fondo al cuor...” la canzone della mia vita: me la canto sin da bambina per consolarmi quando sono giù. Mi ha risollevato lo spirito in tantissime circostanze.
Sabrina, cos’è tutto questo tormento?
Un po’ ci si nasce. L’anima inquieta di sicuro non l’ho ereditata da mio padre o da mia madre. E sono destinata a rimanere irrequieta, ormai me ne sono fatta una ragione. La pace non si avvicina, anzi: si allontana in maniera esponenziale.
Nonostante le instancabili ricerche spirituali?
Nel tempo sono diventata più vulnerabile: ho subito gravi lutti, che mi hanno segnato. Non ho perso l’innocenza, ma ho provato la paura. Mi hanno spezzato l’esistenza quando ancora credevo nell’incanto, non ero pronta.
E dove lo mettiamo il potere salvifico dell’amore?
Gli attori in genere partono da un buco d’amore incolmabile, non c’è niente che dia mai pace. Visto, oltretutto, che è un mestiere senza certezze. L’anno scorso per hobby mi sono allenata come trapezista in un circo, ed è così che mi sento: una trapezista senza rete, in procinto di cadere. Una funambola della vita.