Marco Pastonesi, La Gazzetta dello Sport 20/5/2014, 20 maggio 2014
EVANS: «IL GIRO È PASSIONE»
E’ il numero 1 anche se indossa il 51. È il più giovane, come voglia, anche se è tra i meno giovani, come età. È uomo prima che corridore, è corridore prima che capitano. È uomo di parola e non solo di pedali. Cadel Evans, la maglia rosa del Giro d’Italia, è fonte di ispirazione, modello di stile, esempio di disciplina, cittadino del mondo e, almeno nel ciclismo, patrimonio dell’umanità.
GLI ABORIGENI «Fino a tre-quattro anni abitavo in un villaggio di aborigeni. La mia era l’unica famiglia di bianchi. Chiedendo conferma anche a mia madre, ricordo quella volta in cui un aborigeno mi mostrò come riuscisse a sollevarsi un’unghia. Rimasi sbalordito. Ma quando lo pregai di ripetere la prodezza un’altra volta, non gli fu possibile: stava urlando di dolore».
IL GIRO D’ITALIA «Il Giro è stata la mia prima grande corsa su strada, l’Italia è diventata la mia seconda patria. Mi piace il calore della gente, ma senza quella pressione che rende il Tour più pesante. Quattordicesimo nel 2002, ma di ciclismo non sapevo nulla; quinto nel 2010, ma ero mezzo malato; terzo nel 2013, oltre le speranze. Corro sempre per vincere».
IL TOUR DE FRANCE «Quest’anno non lo corro perché la mia squadra non ha voluto. Per nove anni è stato il mio obiettivo,un’ossessione. Due secondi posti per meno di un minuto sembravano una maledizione, poi la vittoria mi ha dato un senso di sollievo. Ma al Tour non penso, sono concentrato solo sul Giro».
I COLOMBIANI «Quintana finora non è andato così forte come mi aspettavo, e non ha mai attaccato, ma forse sta solo aspettando l’occasione giusta. Lo giudico in base alle prestazioni. L’anno scorso non ha gareggiato dalla Liegi al Tour, però poi al Tour è arrivato secondo: impressionante e sorprendente. Quest’anno ha corso, vincendo una tappa e la classifica, dal Tour de San Luis fino alla fine di marzo, poi non ha più corso fino al Giro, così magari sarà più fresco nel finale. Uran è stato secondo al Giro 2013 ed è secondo in questo: bisogna temerlo».
GLI ITALIANI «Pozzovivo può essere l’avversario in più. E’ uno scalatore, e il percorso del Giro si adatta agli scalatori. A Montecopiolo ha dimostrato di avere una squadra forte. A Sestola ha guadagnato una trentina di secondi. Sulle salite secche può attaccare e guadagnare. Non lo sottovaluto. Basso è lì, le prossime tappe potranno rivelare qualcosa di più, e se sullo Zoncolan si riproducesse il duello del Giro 2010, spero di non ripetere quel finale: lui primo, io secondo, staccato. Aru è il primo italiano in classifica, lo conosco poco, ha il dono della gioventù. Ulissi ha dimostrato di saper scattare e vincere, adesso sarà più controllato e vincere gli sarà più difficile, a Sestola una squadra come la Lampre poteva correre in maniera diversa, per loro è stata un’opportunità persa».
LA MAGLIA ROSA «La prima nel 2002, verso la fine del Giro, ma durò un solo giorno. La seconda nel 2010, alla seconda tappa, ma anche quella durò un solo giorno. Stavolta va meglio: già due giorni».
LA DIFESA «Non risponderò a ogni attacco, a ogni tappa, dal primo all’ultimo chilometro, dipenderà dall’attacco e dagli attaccanti. Non sarà solo la mia squadra a controllare la corsa, anche altre squadre avranno interesse a rispondere agli attacchi o a tenere la corsa chiusa o libera a seconda delle circostanze».
LE ALLEANZE «Non credo che i colombiani possano stringere un’alleanza. Non credo che lo possano fare neanche gli australiani. A volte fra compatrioti ci sono più gelosie e invidie che fra corridori di diverse nazionalità. Più che alleanze, ci possono essere amicizie, oppure interessi comuni, occasionali».
LA CRONOMETRO «Teoricamente dovrebbe favorire me. Ogni secondo di vantaggio diventa un secondo di sicurezza. Per questo cercherò di farla nel modo migliore possibile».
LE MONTAGNE «Ce ne sono tante, e sono tutte pericolose, da Oropa allo Zoncolan».
LA SQUADRA «Corriamo insieme da tanto tempo, tutti sappiamo che cosa dobbiamo fare. Nei punti decisivi — prima di una salita o di una strettoia o del finale — Oss, Quinziato e gli altri mi portano davanti cercando di tenermi lontano dai guai. Come nella tappa di Montecassino. E Morabito sta facendo un lavoro eccellente, sono fiero di lui».
I TIFOSI «Sophie, una bambina irlandese, che mi ha regalato un foglietto di carta con l’incitamento “Go Cadel” seguito da sei punti esclamativi. Nur Mohammed Halimi, profugo afgano, che lavora nella ciclofficina dell’istituto Don Guanella a Lecco, che è stato tre giorni con noi al Giro del Trentino ed è salito anche sul podio della cronosquadre».
IL MOTTO «“Tutto dovrebbe essere reso il più semplice possibile, ma non più semplice”. Non è mia, ma di Albert Einstein. “Alcuni portano felicità ovunque vadano, altri quando se ne vanno”. Neanche questa è mia, ma di Oscar Wilde».
LA FILOSOFIA «La tecnologia è grande quando migliora la qualità della vita ed è accessibile».
LA FILASTROCCA «L’ha scritta Gek Tessaro, la porto nel manubrio della mia bici da Belfast a Trieste, me l’ha chiesto la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza di Roma. E’ divertente e intelligente. Un verso fa così: “Ormai anche tu lo vedi / si fa prima se si va a piedi. / E se vuoi andare un po’ più in fretta / ti conviene andare in bicicletta”. Sono d’accordo».