Sergio Romano, Corriere della Sera 20/5/2014, 20 maggio 2014
L’IMMUNITÀ PARLAMENTARE NEI PAESI DELLA «COMMON LAW»
Che cosa succede a un parlamentare indiziato per un delitto grave nel diritto anglosassone, la «common law»? Intendo per grave quello che loro chiamano «felony», vale a dire: omicidio, anche colposo, violenze, incendio doloso, evasione fiscale, frode, smercio di narcotici, intralcio alla giustizia, e cosi via. E come si comportano le democrazie che sono rette dal diritto «civile», di origine napoleonica, come quella italiana o francese? È diverso? Lo chiedo pensando ai parlamentari accusati di un delitto grave che rimangono al loro posto per anni, di appello in appello, fino al giudizio definitivo.
Frank Rizzo, Roma
Che a decidere l’ arresto di un cittadino italiano — in teoria con diritti pari ai miei e di chiunque altro — siano i parlamentari, mi suona come un’incredibile barzelletta. Stento a credere che anche negli altri Paesi del mondo (dittature a parte) esista questa sorta di immunità politica.
Franco Milletti
Cari lettori,
Le vostre lettere affrontano aspetti diversi di una stessa questione: il trattamento che un’Assemblea riserva a un parlamentare incriminato o condannato. Quella che Franco Milletti giudica, con riprovazione, una «immunità politica», è in realtà una delle garanzie che hanno permesso ai Parlamenti di tutelare la propria indipendenza contro le intromissioni dei sovrani e le decisioni di una magistratura tradizionalmente al servizio del trono o del potere esecutivo. La diffidenza con cui molti italiani considerano oggi i loro deputati e senatori non dovrebbe autorizzarli a dimenticare che non vi è democrazia là dove il Parlamento non può garantire a se stesso un alto grado d’intangibilità. Il caso della Gran Bretagna è significativo. La magistratura britannica può processare un parlamentare e infliggergli una pena detentiva, ma non può impedirgli di partecipare ai dibatti ed esercitare il diritto di voto. Toccherà alla sua Camera, se mai, limitare con decisioni autonome le sue prerogative.
Il caso degli Stati Uniti è forse ancora più interessante. In linea di principio un candidato incriminato continua a godere dei diritti collegati alla sua funzione e può addirittura candidarsi al Congresso in una successiva tornata elettorale. Ma il Congresso, a sua volta, può diventare per lui una specie di magistratura straordinaria. Può impedirgli, anche nella fase che precede il processo, di presiedere una commissione o un gruppo parlamentare. Può condurre una indagine parallela. Può privarlo del diritto di voto se è condannato a una pena detentiva superiore ai due anni. La Camera dei rappresentanti, in particolare, può infliggergli una misura disciplinare: ammonimento, censura, riduzione del trattamento pensionistico nel caso dei reati di corruzione. Se il caso è particolarmente grave, la Camera dei rappresentanti può anche espellere un suo «congressman»; ma soltanto se la maggioranza è composta da due terzi dell’Assemblea.
In altre parole, cari lettori, nessun parlamento democratico può interamente rinunciare a essere giudice dei suoi membri. Se questo accadesse, il Legislativo smetterebbe di essere un potere e l’unico potere pressoché totalmente autogovernato sarebbe quello dei magistrati.
IL FATTO DEL 20 GIUGNO 2014
Senato, Calderoli: “Depositati 20 emendamenti, la riforma può partire”
Il vicepresidente di Palazzo Madama e la presidente della Commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro hanno depositato 20 emendamenti frutto dell’accordo tra Pd, Forza Italia e Lega. Renzi soddisfatto: "Il Senato non sarà elettivo"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 20 giugno 2014
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Senato, Calderoli: “Depositati 20 emendamenti, la riforma può partire”
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Senato non elettivo composto “da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da 5 senatori che possono essere nominati dal presidente della Repubblica“. Tutti, però, con l’immunità parlamentare. E ancora iter legislativo più snello, giudizio preventivo della Consulta sulla legge elettorale, eliminazione della legislazione concorrente tra Stato e Regione e tre delegati per regione per eleggere il Capo dello Stato. E’ questo il contenuto di alcuni emendamenti per la riforma del Senato annunciati dal vicepresidente del Senato Roberto Calderoli e che saranno portati in aula per il voto entro luglio. Emendamenti che emergono dall’accordo tra maggioranza, Lega e Fi. “Trovata la quadra – ha detto – depositati gli emendamenti a firma Calderoli e Finocchiaro alla riforma che è in grado di partire serenamente”. La presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Anna Finocchiaro aggiunge che “ora la I commissione può cominciare a discutere e a votare per garantire quei tempi che avevamo promesso ed arrivare al voto in aula entro luglio. Credo che nelle condizioni date abbiamo fatto un buon lavoro”.
Soddisfazione anche da parte del presidente del Consiglio Matteo Renzi che ai suoi dice: “Il Senato non sarà elettivo. Infrastrutture, energia, commercio con l’estero, promozione turistica sono materie che passano dalle Regioni allo Stato, il Cnel viene abolito, le indennità dei consiglieri regionali diventano come quelle dei sindaci. Si tratta di un ottimo punto di arrivo”. E se la Lega “prova a mettere la sua bandierina”, non c’è problema. “Facciano pure – prosegue Renzi- se hanno bisogno di visibilità. A noi interessano le riforme”.
Camera – E’ la sola titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e di controllo del governo.
Senato – In prima battuta esercita la funzione di raccordo tra lo Stato e le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni. Non dà la fiducia al governo.
100 senatori – L’Assemblea di Palazzo Madama sarà composta da 100 senatori, anzi di 95 più 5: i primi eletti dai consigli regionali in rappresentanza di Regioni e Comuni, i secondi nominati dal presidente della Repubblica (tra questi rientrano gli attuali senatori a vita). Tra i 95 “territoriali” 74 sono scelti tra i consiglieri regionali, gli altri 21 tra i sindaci. Ogni Regione eleggerà un numero di senatori in proporzione al proprio peso demografico. L’intesa non scioglie il nodo del metodo di elezione, rinviando a una successiva legge ordinaria. I senatori decadono nel momento in cui decade l’organo in cui sono stati eletti (Comune o Regione). Ciò vuol dire che il Senato sarà rinnovato mano mano che si rinnoveranno le assemblee territoriali.
Poteri del Senato – Le leggi sono approvate dalla Camera. Entro 10 giorni il Senato, su richiesta di un terzo dei suoi membri, può chiedere di esaminarle, proponendo modifiche entro 30 giorni. L’ultima parola è però della Camera che decide entro altri 20 giorni. Per le leggi che hanno impatto su Regioni e Comuni la Camera deve pronunciarsi a maggioranza assoluta in caso di richiesta di modifiche da parte del Senato. L’Assemblea di Palazzo Madama ha anche poteri di controllo sull’attuazione delle leggi, delle politiche pubbliche e della pubblica amministrazione. Ha poteri anche sia per la fase di ricezione delle norme Ue che nella fase ascendente prevista dal Trattato di Lisbona.
Riforme costituzionali – Sulle riforme costituzionali il Senato mantiene le attuali competenze legislative.
Elezione Presidente della Repubblica – Verrà eletto dai 630 deputati, 100 senatori e da tre delegati di ciascuna Regione (scelti con principio di parità di genere). La Camera eleggerà tre giudici della Corte Costituzionale e il Senato due.
Nuove competenze Regioni e Stato – L’accordo riscrive il titolo V della Costituzione, che definisce i poteri dello Stato e delle Regioni. Eliminata tutta la parte della legislazione concorrente tra Regioni e Stato, eliminando così i motivi di conflitto. Tornano di competenza esclusiva dello Stato materie come produzione, trasporto e distribuzione nazionali energia, le grandi reti di trasporto di interesse nazionale.
Province addio – Dalla Costituzione scompaiono una volta per tutte le Province.
Stipendi consiglieri regionali e sindaci – I consiglieri eletti nelle regioni non potranno guadagnare più dei sindaci.
Legge elettorale – Prima di far entrare in vigore una riforma elettorale la minoranza parlamentare (i due quinti della Camera o del Senato) potrà chiedere un giudizio di legittimità preventiva della Corte Costituzionale.
Decreti blindati – Previsto il divieto di approvare emendamenti estranei all’argomento dei decreti durante il loro esame parlamentare.
Corsia preferenziale Ddl – Il governo può chiedere alla Camera di approvare entro sessanta giorni un suo disegno di legge.
Immunità per senatori – Confermata anche per i senatori l’immunità parlamentare che copre i parlamentari da arresto, intercettazioni, perquisizioni.
IL FATTO DEL 21 GIUGNO
Senato: nell’accordo tra Pd, Forza Italia e Lega c’è l’immunità per sindaci e consiglieri
Tra gli emendamenti congiunti depositati da Partito democratico e Lega Nord c’è la soppressione dell’articolo 6 del testo dell’esecutivo che applicava solo ai deputati l’articolo 68 della Costituzione sulle "Prerogative dei parlamentari". Quindi, niente arresto e niente intercettazioni per i membri del ’nuovo’ Senato. Una novità che sta scatenando polemiche, alle quali Roberto Calderoli, correlatore del testo ha risposto con una provocazione: "Se genera malumori allora togliamola sia ai deputati che ai senatori. Tutti siano trattati come cittadini comuni"
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 21 giugno 2014
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Più informazioni su: Forza Italia, Immunità Parlamentare, Lega Nord, Matteo Renzi, Movimento 5 Stelle, Palazzo Madama, PD, Senato.
I sindaci e i consiglieri regionali che nel progetto della coppia Renzi-Berlusconi entreranno a far parte del nuovo Senato non potranno essere arrestati, né intercettati. Tradotto: torna o, meglio, non scompare l’immunità parlamentare. Che, anzi, si allarga agli amministratori locali in odor di ‘nomina’ senatoriale. È questa la principale novità dell’accordo ratificato ieri tra Pd e Forza Italia che sta generando malumori in Parlamento. Polemiche alle quali Roberto Calderoli, correlatore al testo sulle riforme ha risposto con una provocazione: “Se suscita perplessità il fatto che deputati e senatori abbiano la medesima forma di immunità allora, come relatore, mi sento di fare una proposta e di verificare l’eventuale condivisione: togliamo l’immunità sia a deputati che a senatori. Tutti siano trattati come cittadini comuni”.
Intanto, con il deposito degli emendamenti congiunti Pd e FI di fatto mettono i paletti sulla riforma del Senato che da luglio sarà all’esame delle Camere e la novità riguardante l’estensione dell’immunità ha un peso specifico non di poco conto, che supera di gran lunga i numeri contenuti nell’idea di riforma.
In tal senso, gli emendamenti congiunti di Partito democratico, Forza Italia e Lega prefigurano un’aula di Palazzo Madama composta da 100 senatori, anzi di 95 più 5: i primi eletti dai consigli regionali in rappresentanza di Regioni e Comuni, i secondi nominati dal presidente della Repubblica (tra questi rientrano gli attuali senatori a vita). Tra i 95 “territoriali”, nello specifico, 74 sono scelti tra i consiglieri regionali, gli altri 21 tra i sindaci. Non solo. Ogni Regione a sua volta eleggerà un numero di senatori in proporzione al proprio peso demografico. L’intesa non scioglie il nodo del metodo di elezione, rinviando a una successiva legge ordinaria. I senatori decadono nel momento in cui decade l’organo in cui sono stati eletti (Comune o Regione). Ciò vuol dire che il Senato sarà rinnovato mano mano che si rinnoveranno le assemblee territoriali.
Dal punto di vista squisitamente politico, però, il succo è un altro. E riguarda la strategia scelta dal premier. Prima c’era solo il timing, ora invece esiste anche un documento scritto a suggellare l’accordo in tema di riforma del Senato con Forza Italia di Silvio Berlusconi, che nel patto con i democratici può contare anche sull’apporto determinante della Lega Nord. Ma se la concretizzazione dell’intesa era nell’aria, ben altro il discorso per quanto riguarda i frutti che questa determinerà. Il primo, assolutamente inaspettato, è contenuto proprio negli emendamenti depositati da Calderoli (Lega) e da Anna Finocchiaro (Pd). Tra questi, come detto, quello che riguarda l’immunità per i senatori, ipotesi di provvedimento che invece non era presente nel testo scritto dal governo. L’emendamento dei relatori, del resto, sopprime “l’articolo 6″ della bozza dell’esecutivo, che applicava solo ai deputati l’articolo 68 della Costituzione sulle “Prerogative dei parlamentari”.
Evidente la soddisfazione di Calderoli (“E’ stata trovata la quadra”, ha detto) riguardo agli emendamenti, che sono stati accolti favorevolmente anche da Renzi. Nessuno porta la firma del Movimento 5 Stelle, che incontrerà il presidente del Consiglio mercoledì 25 giugno. Proprio il giorno in cui, alle 12, scade il termine per i subemendamenti agli emendamenti dei relatori al ddl costituzionale di riforma del Senato e titolo V. Due ore dopo, alle 14, l’ufficio di presidenza della commissione si riunirà per la programmazione dei lavori. Per questo, come scrive Repubblica, i 5 Stelle vogliono anticipare di 24 ore l’incontro. In tal senso, però, la novità di giornata è che la base di M5s è spaccata sull’incontro da tenere con il governo.