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 2014  maggio 20 Martedì calendario

MILIZIE LIBICHE MIOPIA ITALIANA


Con il suo gusto della provocazione Stalin chiedeva quante divisioni avesse il Papa, ma oggi, nel caos libico che è tornato ad infiammarsi, non è per nulla retorico domandarsi quante milizie abbia il generale Khalifa Haftar.
In Libia è facile conquistare la ribalta del grilletto, non esiste il monopolio della forza perché non esiste lo Stato. Ma poi, fatalmente, giunge il momento di fare la conta: chi appoggia Haftar, quanti uomini ha, e quali mezzi? Nel puzzle di armi e petrolio che è oggi la Libia non vai lontano se non vinci questa gara a chi è più forte. Per questo è importante che la base aerea di Tobruk e le truppe speciali di stanza a Bengasi si siano schierate con Haftar. Per questo è un segnale che la milizia di Zindan (la più numerosa dopo quella di Misurata) si stia coordinando con il generale. E per questo contano gli appoggi che Khalifa Haftar dovrebbe aver maturato negli Usa e in Egitto: negli Usa vivendoci a lungo dopo aver rotto con Gheddafi, in Egitto perché il maresciallo Fattah al Sisi, che sarà eletto presidente tra una settimana, dopo Morsi vuole colpire tutti i Fratelli Musulmani, compresi quelli che crescono al di là del confine libico.
Forse è proprio pensando all’Egitto e agli Usa che Khalifa Haftar ripete ad ogni occasione di «voler liberare la Libia dagli islamisti». Ma gli ostacoli restano formidabili. L’Algeria ha fatto sapere che interverrà qualora forze egiziane superassero il confine. Il sud della Libia è popolato da guerriglieri qaedisti che combattono nel Sahel. Alcune autorità di Tripoli hanno chiesto proprio agli islamisti di difendere la capitale. E un fantomatico governo ha sospeso il primo ministro appena designato e sciolto il Parlamento. Davanti a un simile rompicapo Haftar avrà i mezzi per prevalere, oppure sarà guerra civile su larga scala?
Visto dall’Italia l’ennesimo terremoto libico può soltanto far crescere un allarme ormai permanente. È facile immaginare quale accelerazione imprimerebbe una guerra generalizzata al macabro business dei migranti che aspettano di rischiare la vita per giungere da noi. E sebbene l’Eni sia riuscita finora a limitare i danni, non è difficile prevedere che gas e petrolio diretti in Italia ne soffrirebbero ulteriormente.
È ora che il governo italiano, mentre sollecita la solidarietà europea in tema di immigrazione, chieda anche la definizione di una strategia nei confronti della Libia. Non ha più molto senso invocare una illusoria «transizione democratica». Non basta che l’America affidi l’addestramento di soldati libici all’Italia (che lo sta facendo) e a qualche altro Paese europeo. Serve il coraggio di scegliere. Siamo per la Cirenaica autonoma o per il centralismo di Tripoli? Siamo con o contro, come si dovrebbe presumere, gli islamisti? Con o contro gli Haftar del momento? A favore o contro interventi senza «scarponi sulla sabbia» ma capaci di correggere almeno una parte degli errori commessi nel 2011 abbattendo Gheddafi senza pensare al domani?
La bussola libica è impazzita, d’accordo. Ma prima o poi bisognerà aggiustarla, se non vogliamo che qualcuno chieda quante divisioni ha l’Occidente.