Alessandro Gonzato, Libero 20/5/2014, 20 maggio 2014
SI CONFONDE COL PAESAGGIO DELLE CITTÀ L’ARTISTA CHE VOLLE FARSI CAMALEONTE
GARGAGNANO (VERONA) Come un camaleonte. In piazza Tienanmen si fonde col volto di Mao.
Negli studi televisivi di France 3, a Parigi, diventa tutt’uno con lo schermo che proietta le drammatiche immagini degli scontri in Medioriente. Impossibile, di primo acchito, riconoscerlo, in piedi, a New York, tra le migliaia di biglietti in memoria delle vittime dell’11 settembre. A Venezia sembra un fantasma sul Canal Grande, trasparente sui ponti della Serenissima. Viene inglobato dalle rovine di Pompei, scompare davanti agli immensi scaffali di una edicola con le riviste patinate che danno forma e colore al suo corpo. Si perde negli sfondi modaioli di Valentino e Jean Paul Gaultier. La tecnica è quella dell’autoritratto fotografico. Il suo staff lo dipinge fino a farlo sparire nell’ambiente che lo circonda. In Italia lavora sempre coi suoi fedelissimi: due studenti dell’Accademia di Bergamo e di Carrara, una restauratrice e un fotografo. All’inizio della sua carriera era assistito soltanto da una persona, ma con gli anni il lavoro sempre più minuzioso ha inevitabilmente allargato la squadra. La prima serie di scatti che l’ha reso celebre si chiama Hiding in the City: si è «nascosto» nelle città di tutto il mondo.
Ieri, Liu Bolin, 41 anni, artista totale XXI secolo, conosciuto come l’ «uomo invisibile» per la sua nuova posa ha scelto le Cantine Masi (a Gargagnago, Verona, in Valpolicella dopo sarà al Museo Ferrari e al Tod’s Group), leader mondiale nella produzione del vino Amarone. Si è fatto dipingere tra due botti da 95 ettolitri. Sono servite oltre 12 ore di lavoro, ma a volte un singolo scatto può richiedere anche giorni interi di preparazione: dipende dalla luce, dal meteo, dalla complessità dello scenario. Prima il sopralluogo, poi la scelta dell’inquadratura migliore. Quindi il clic della macchina fotografica. Lo staff che colora gli abiti già divisi in quadrati e fatti arrivare appositamente dalla Cina. Poi la parte finale, con la pittura delle mani e del volto. Bolin diventa invisibile. Come un soldato mimetizzato in mezzo agli alberi e all’erba. Niente Photoshop, soltanto luci e colori. La cura del dettaglio è maniacale. «Le linee, attenzione alle linee» continua a ripetere, facendo avanti e indietro per il set. Tiene tutto sotto controllo. Sembra distaccato, ma con lo sguardo osserva di continuo il lavoro dei collaboratori. Non gli sfugge niente. Di tanto in tanto una pausa e poi giù di nuovo tra le botti di Amarone Masi per continuare l’opera. Il risultato finale è impressionante: Bolin sembra uscito da un accurato studio di effetti speciali secondo una tecnica usata particolarmente nella cinematografia di qualche anno fa, come in Alien vs. Predator. George Lucas l’ha utilizzata in molti dei suoi capolavori attraverso la sua fabbrica di effetti speciali da Oscar, la Industrial Light and Magic.
L’arte di Bolin è un atto di denuncia contro il mondo che «continua a perdere pezzi in nome dello sviluppo materiale e tecnologico. Il mio è un lavoro di impegno civile» dice a Libero. L’artista si disperde nello spazio. Usa il suo corpo come una tela. Il primo scatto, a fine 2005, è stato realizzato dopo che il governo cinese aveva ordinato la demolizione del villaggio dove lavorava. Si è fatto dipingere tra le macerie, tra ciò che rimaneva di un pezzo della sua vita e di storia della sua città. Le sue opere però non vogliono essere una reazione alla politica: «Non è stato così nemmeno in quella occasione. Mi sono fatto fotografare lì per mantenere viva la memoria di quel luogo, perché non andasse dimenticato e non si perdesse col passare degli anni. Il potere è di chi lo esercita» prosegue. «È un’entità più grande di me, di noi. Ho voluto trasmettere un forte senso di appartenenza alla mia terra. Il mio messaggio è sociale, non mi faccio dipingere in contrasto con l’ambiente che mi sta attorno, altrimenti lo farei con colori forti, come il viola ad esempio. Cerco di diventare parte integrante del paesaggio”.«L’uomo invisibile» è nato a Shandong, seconda provincia più popolosa della Cina con 92 milioni di abitanti. È figlio della rivoluzione culturale dei primi anni ‘90. Con la sua arte, in poco tempo, ha conquistato il mondo. Le Cantine Masi sono state scelte come una delle eccellenze del «fare» del nostro Paese. Il nuovo progetto di Bolin si chiama Fade in Italy, letteralmente «dissolversi in Italia». L’evento è stato organizzato in collaborazione con la Galleria Boxart di Verona, che in Italia gestisce l’artista. Il titolare, Giorgio Gaburro (ex imprenditore poi diventato collezionista) dal 2006 affiancato da Beatrice Benedetti ha scoperto Bolin 8 anni fa a Pechino, nel quartiere degli artisti. Era rimasto impressionato dalle opere mimetiche in vetroresina, materiale usato dalla maggior parte degli scultori cinesi. È scattato una sorta di colpo di fulmine. Il successo è stato immediato. Gaburro ha portato in Italia anche i famosi Gao Brothers.
Sul set, nelle sue cantine, il presidente dell’Azienda Masi, Sandro Boscaini: «È stato Bolin a contattarci. In noi ha visto uno dei pregi italiani. Questo ci inorgoglisce. Può diventare anche uno spot per il mercato cinese, dove conoscono ancora troppo poco i nostri migliori prodotti. In Cina non ci considerano come il Paese del vino e questo è davvero incredibile se pensiamo alla nostra tradizione nazionale. Purtroppo ancora non siamo riusciti a fare sistema». Boscaini parla mentre Bolin si concede una pausa: salito dalla cantina sorseggia un bicchiere di Amarone e guarda le colline della Valpolicella. Poi di nuovo tra le gigantesche botti a coordinare i lavori. «Trovate le linee, attenzione ai minimi particolari...». Finisce anche col mimetizzarsi con le botti; dissolto nella contemporeneità e nel vino.