Ugo Bertone, Libero 20/5/2014, 20 maggio 2014
BANCHE GARANTI DEL DEBITO PUBBLICO
Tante novità bollono nella pentola delle banche europee. La più vistosa ed eloquente è senz’altro il mega aumento di capitale della Deutsche Bank, 8 miliardi, superiore al previsto, e relativa apertura del capitale al Qatar, già grande azionista di Volkswagen. Ma in gran sordina avanzano altre riforme, di cui si è venuti a sapere quasi per caso. La banca belga Kbc, più importante del Paese in termini di capitalizzazione di Borsa, ha introdotto nella trimestrale una novità rivoluzionaria. L’istituto, infatti, ha deciso di accantonare una cifra rilevante, 4,4 miliardi di euro, a fronte dei titoli di Stato dell’area euro in portafoglio. Secondo i vertici dell’istituto, la decisione è stata «vivamente suggerita» dalla banca centrale belga. Il sospetto, però, è che i banchieri di Bruxelles si muovano su ispirazione altrui: a favore dell’iniziativa, vivamente contestata da Mario Draghi, c’è l’esplicito favore di Danielle Nouy, lo “sceriffo” francese a capo della supervisione sulle banche europee europea, da cui dipende l’esame sui conti bancari. Ancor di più dalla Bundesbank e, non ultimo, da Sabine Lautenschlaeger, membro tedesco della Bce e vice della Nouy.
La novità, se estesa a livello Ue, potrebbe avere effetti rilevanti. Uno studio della francese Exane stima che con i nuovi criteri il fabbisogno di capitale delle grandi banche europee salirebbe di 15 punti base. A patire più di tutti, poi, sarebbero Banca Intesa e Monte Paschi. Ma al di là di questi numeri, relativamente modesti, preoccupa il segnale politico suicida in arrivo da Bruxelles e da Berlino. Alcune settimane fa uno studio del ministero delle Finanze tedesco caldeggiava la fine dei privilegi regolatori e fiscali legati degli acquisti di titoli di debito pubblico da parte delle banche. Una novità del genere avrebbe un solo effetto: aggiungere nuova incertezza e favorire un’ulteriore frammentazione tra le banche europee. È ovvio che le banche, di fronte al rischio di dover sacrificare capitale a fronte di investimenti in Btp o Bonos, preferiranno dirottare i propri acquisti verso i Bund tedeschi, a rischio zero.
Un atteggiamento suicida anche perché la reazione dei mercati di questi giorni, dopo i dati deludenti sul pil che hanno fatto impennare di nuovo lo spread tra Btp, Bonos e Bund. Un pessimo segnale, soprattutto se collegato alla caduta dell’inflazione che deve molto alle resistenze tedesche che hanno rallentato l’azione della Bce. Oggi il rendimento reale dei titoli di Stato, cioè al netto dell’inflazione, è più o meno lo stesso del 2011, prima della fase più acuta della crisi: allora l’inflazione era al 2,6%, l’interesse del decennale era del 4,75% circa. Oggi siamo al 3,10% di rendimento ma di fronte a un tasso di inflazione inferiore all’uno per cento. L’onere reale per il debitore, dunque, resta al di sopra del livello di guardia nonostante i forti acquisti degli investitori anglo-americani, tentati dal rientro su alcuni mercati, vedi Brasile ed India, che oggi spaventano di meno.
A pochi giorni dalle elezioni europee e dal vertice della Bce, insomma, la situazione torna a farsi calda. Sarebbe un grosso guaio se gli spread non tornassero presto a scendere grazie a scelte forti e convincenti della Banca centrale, comunque tardive se si pensa che il tasso di inflazione europeo è sceso sotto l’1% nell’aprile 2013 e da ottobre veleggia sotto lo 0,8%, senza che la banca centrale (per non urtare la Bundesbank) osasse ammettere la presenza della deflazione. Yves Mersch, membro belga della Bce, ha detto ieri che sono «molto cresciute» le possibilità di un intervento della Bce a giugno, sia sui tassi di mercato che sui rendimenti dei depositi presso la banca centrale. E ci saranno anche misure a favore del credito per le pmi. Basterà? Forse, ma si tratterà comunque di un intervento tardivo, viziato dalla convinzione che bastino misure di politica monetaria per uscire dalla crisi. Senza correggere una certa miopia. Come fa notare Alessandro Fugnoli di Kairos, uno studio della Bundesbank rileva che le banche tedesche hanno perduto, in speculazioni sbagliate l’equivalente del 30% di un anno di pil.