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 2014  maggio 20 Martedì calendario

I REGALI DELLA GUERRA LIBICA: CLANDESTINI INVECE DEL PETROLIO


Quando finalmente la storia opaca del 2011 in Italia verrà scritta sul serio, nel golpe internazionale compiuto non contro il Cav ma contro l’Italia, la sua sovranità e la sua economia, sarà bene riservare più di un capitolo all’affair Libia, a quella finta guerra di liberazione ordita dalla Francia e dall’Inghilterra con il placet degli Stati Uniti e il silenzio assenso della Merkel, ma anche con il gioioso servilismo di un ministro italiano, Franco Frattini, che credeva così di guadagnarsi un posto ambito, segretario della Nato. Non credete a titoli del tipo “la Libia di nuovo nel caos”, perché dal caos in tre anni, quanti ne sono passati dall’assassinio di Gheddafi, quella nazione non è uscita mai, il territorio è sempre stato diviso in due tre zone, non c’è controllo politico, al contrario, è diventato il regno di trafficanti di droga, armi, uomini, di reclutatori di Al Qaeda. Ieri la guerra civile ricorrente della Libia è solo tornata alla cronaca. Blindati e sparatorie a Tripoli dentro la sede del Parlamento, Un edificio vicino dato alle fiamme, numerose autovetture danneggiate, almeno una ventina di deputati presi in ostaggio, i dipendenti costretti a uscire in tutta fretta cercando di evitare carri armati e pick up pieni di uomini armati.
Com’è in ordine, pacificata, tranquilla, la Libia del dopo Gheddafi, vero? Hanno fatto proprio bene le grandi diplomazie europee e quella americana a organizzare, finanziare, guidare una rivoluzione fasulla, a consentire l’ammazzamento con pubblico scempio di Muhammar Gheddafi! Solo per questa sciagurata pensata la candidata democratica alle prossime elezioni americane non si dovrebbe presentare, a casa col suo presidente Obama, uno come Sarkozy dovrebbe scegliere la pensione, altro che ritorno all’Eliseo, uno come Cameron farebbe bene a rileggersi le memorie di Margaret Thatcher. Hanno fatto una guerra inutile, fatto fuori un dittatore ormai addomesticato che ci risparmiava i barconi e gli scafisti, che ci consentiva l’approvvigionamento di energia, l’hanno chiamata democrazia, hanno obbligato il Cav a seguirli nell’impresa sciagurata, e oggi dopo tre anni la Libia è un caos senza prospettive, terroristi, taglieggiatori, bande armate, sequestri, confini porosi, 170 diverse milizie l’una contro l’altra armate, la produzione petrolifera, unica fonte di entrate, precipitata da 1,5 milioni a 250-300 mila barili l’anno. Oggi si attaccano perfino a un vecchio generale pensionato, Khalifa Haftar, a capo di un sedicente movimento “Dignità della Libia” e di un “Esercito nazionale libico” composto per ora da duecento uomini, un elicottero e un paio di aerei, trasformato in liberatore da una Cia e altri servizi a corto di idee. Se questa è una politica estera, lo dicano i lettori. I combattimenti sono fissi in Cirenaica, dove negli ultimi due giorni Bengasi è stata violentemente bombardata dalle truppe del generale in pensione Khalifa Haftar che sostiene che la sua è un’offensiva contro i terroristi, ma da ieri sono arrivati alle sedi istituzionali. Attaccano così il nuovo premier. Ahmed Miitig, che era stato nominato proprio per porre fine al caos e all’anarchia, ma da molti è considerato, e forse proprio per questo è stato nominato, troppo vicino ai fondamentalisti islamici. Finora di fatto non è stato in grado di limitare scorrerie e violenze di una miriade di gruppi fuori controllo tutti pesantemente armati. Il presidente del Congresso nazionale, Nouri Abou Sahmein, ha attribuito il blitz di oggi ad Haftar. Ma dietro all’operazione militare potrebbero esserci i miliziani di Zintan, perché gli assalitori sono arrivati a bordo dei blindati dalla strada che collega la capitale all’aeroporto e se ne sono andati percorrendo la stessa arteria verso sud, nell’area che occupano. I miliziani di Zintan tengono prigioniero il figlio del defunto Muammar Gheddafi, Saif alIslam, e si sono sempre rifiutati di consegnarlo alle autorità di Tripoli. Si dichiarano nemici del fondamentalismo islamico. Già in febbraio avevano inviato un ultimatum al Congresso nazionale generale, definito un covo di fondamentalisti, ma i loro principali avversari stanno a Bengasi, sono gli uomini di Ansar alSharia, l’organizzazione jihadista direttamente collegata alla rete di al Qaeda. Sempre cercando di dare un senso al caos, il generale Haftar potrebbe avere una forma di accordo con i miliziani di Zintan, ma anche il sostegno di frange dell’esercito. Una specie di golpe contro l’Islam al potere? Può darsi, Haftar ha vissuto negli ultimi tempi negli Stati Uniti, addirittura a pochi chilometri dalla sede della Cia, ma a guardarne il curriculum sembra difficile prenderlo per il salvatore. Certo, le miopi potenze europee qualche paura in più di restare al freddo ce l’hanno, visto il casino combinato con l’Ucraina. Verrebbe da dire peggio per loro, non fosse che ci siamo in mezzo anche noi.