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 2014  maggio 20 Martedì calendario

LAVIA: «RIPARTIAMO DA GIOVANI E CLASSICI»

«Sono molto triste per la scomparsa di Mario Missiroli, un uomo di grande intel­ligenza e ironia, un regista irriverente verso la tradizione, ma perché voleva in­terrogarla ». C’è un’ombra nel giorno in cui Gabriele Lavia si presenta come nuo­vo timoniere del Teatro della Pergola di Firenze per il prossimo triennio. Ma in fondo lo sguardo del grande regista scomparso ieri, è simile a quello di La­via, come lui già direttore artistico dello Stabile di Torino e oggi in arrivo dal Tea­tro di Roma. «Puntare sui classici e sui giovani», questo è lo slogan di Lavia che prende in mano lo storico teatro di Fi­renze. Inaugurato nel 1657, il Teatro del­la Pergola rappresenta uno dei primi e­sempi di «sala all’italiana», dichiarato monumento nazionale nel 1925, diven­ne proprietà dell’Ente Teatrale Italiano nel 1942 rischiando di venire chiuso tre anni fa con la dismissione dell’istituzio­ne. Venne salvato in extremis dalla na­scita della Fondazione Teatro della Per­gola che sta cominciando a dare i suoi frutti: in tre anni gli abbonati sono cre­sciuti da 2748 a 4223. La stagione 2014/2015, sarà quella del rilancio: 26 spettacoli (i nomi vanno da Branciaroli a Gifuni, i fratelli Servillo, Orsini, Favino, Guarnieri), 2 produzioni nuove, 4 prime nazionali (fra cui il Decamerone di Ac­corsi- Baliani), in più la fondazione di u­na compagnia stabile e un concorso per nuovi drammaturghi.
Gabriele Lavia,lei arriva a Firenze col pi­glio del manager culturale: quali sono gli obiettivi?
«Il nostro obiettivo è il riconoscimento da parte del Mibact, nel quadro della riforma ministeriale della prosa la cui ra­tifica è ormai agli ultimi atti. C’è un in­teresse sociale e politico speciale a Fi­renze. Mi auguro che continui. Il Teatro della Pergola, non è solo il teatro di una città, ma è anche il teatro di tutti. L’idea è quella di una casa, il luogo dove gli uo­mini assistono alla rappresentazione di sé e prendono coscienza di essere uo­mini all’interno di una società di uomi­ni».
Un teatro che però ha rischiato grosso qualche anno fa.
«Per questo per me c’è una responsabi­lità tutta particolare. E non posso che ap­prezzare il gesto di coloro che non han­no voluto che il teatro finisse. Sarebbe stato un tradimento verso i cittadini. An­che un ateo non sopporterebbe che u­na chiesa del quartiere venisse chiusa per farci un supermercato. Il teatro e le chiese sono i luoghi dell’uomo e del rac­contare».
Com’è disegnato il suo piano di rilan­cio?
«Il primo punto cardinale è: il teatro ha bisogno di rispettare una tradizione. Per questo si vedranno i grandi classici, Mo­­lière, Goldoni, e Pirandello, da cui ripar­tiremo. Dopo i bombardamenti che ne sventrarono il palcoscenico, il Teatro del­la Pergola nel 1948 venne riaperto con i Sei personaggi in cerca di autore con la regia di Orazio Costa, che fu mio mae­stro e che qui ebbe la ultima casa. Ab­biamo ritrovato le locandine dell’epoca, una meraviglia: nel cast c’erano Buaz­zelli, Falk, Sbragia, Tedeschi, Panelli e Va­lori. Ho pensato che nella prossima ria­pertura, il 22 ottobre prossimo, fosse im­portante rimettere in scena il testo più importante del teatro italiano, anzi, per me il più importane del mondo. Sarà u­na produzione importante, basata sul primo testo del 1921, da me diretta e in­terpretata con 22 attori».
Numeri che non si vedono più nel no­stro teatro...
«Il teatro è fatto da attori, i testi hanno bi­sogno di una compagnia che deve esse­re il seme di una compagnia stabile. Il teatro si salva facendolo. Infatti nella se­conda nostra nuova produzione, Vita di Galileo di Brecht gli attori sono ben 36 at­tori. Ci sono tantissimi attori bravi in I­talia che non hanno lavoro. Un teatro che prende le sovvenzioni dal Comune e dal Ministero ha il dovere di far lavora­re i teatranti. Si può risparmiare sul per­sonale amministrativo (molti stabili so­no sovranumerati), ma sugli artisti no».
E la nuova drammaturgia? C’è penuria di testi italiani nuovi.
«Infatti noi vogliamo fare qualcosa di concreto per la drammaturgia contem­poranea. Il tentativo è quello di far ri­sorgere il Maggio fiorentino di prosa. Ho riunito 18 gruppi di innovazione in To­scana, per collaborare a un progetto che andrà in scena a maggio. Non può es­serci un teatro pubblico senza la ricerca e l’innovazione. In più, abbiamo appe­na istituito un concorso per dramma­turghi contemporanei (bando su teatrodellapergola.com, ndr.). Il te­sto vincitore verrà da noi prodotto e a­prirà la stagione».
Un bell’impegno verso i giovani.
«Faremo di più. Un teatro pubblico ve­ro deve avere come all’estero la propria scuola di teatro dove si formino attori, re­gisti e tecnici. Abbiamo il dovere di in­vestire sui giovani, e noi siamo decisi a farlo».