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 2014  maggio 20 Martedì calendario

SE CROLLA TRIPOLI PORTE APERTE ALL’ESTREMISMO

A lungo il ruolo della Libia come perno geopolitico nel Mediterra­neo è stato sottostimato. Il Paese è stato spesso messo in ombra da vicini molto più determinanti per la storia del mondo arabo, come l’Egitto o l’Algeria, o maggiormente legati all’Europa, come Marocco e Tunisia; oppure preso poco sul serio per via del lunghissimo dominio di un tiranno come Gheddafi, sì crudele, ma che colpiva soprattutto per le sue bizzar­rie personali. Insomma, il Paese era uno scatolone di sabbia, ricchissimo di petrolio e con cui fare possibilmente buoni affari, ma scar­samente popolato da un insieme di tribù che non potevano aspirare a influenzare il mondo arabo. Certo, il numero di libi­ci che militava nelle file dello jihadismo mondiale era impressionante, ma vi era sempre chi se la cavava con la battuta su­perficiale che forse “dipendeva dal fatto che la Libia fosse troppo noiosa”.
Che il Paese avesse una sua centralità nei fragili equilibri di questa complicata re­gione, lo si è capito – per così dire – in ne­gativo. Allorché, franato il regime ghed­dafiano, il Paese è scivolato lentamente lungo la china dell’anarchia e della fram­mentazione. Le conseguenze sullo sce­nario di sicurezza regionale non hanno mancato di palesarsi rapidamente: i suoi deserti, una volta perso il controllo lun­go i confini meridionali, sono stati sem­pre più attraversati da decine – e se non centinaia di migliaia – di migranti dall’A­frica sub-sahariana in cerca di disperata fortuna verso l’Europa. E che si riversano in massa sull’Italia, dato che le autorità libiche sono troppo deboli, o spesso trop­po corrotte, per fermali. Si è creata nel sud un area di nessuno di cui beneficiano so­prattutto jihadisti, milizie estremiste, traf­ficanti di ogni genere di commerci. Si ri­schia insomma una pericolosa saldatura, attraverso la Libia, di aree di instabilità, che partono dal Corno d’Africa (Somalia innanzitutto) a oriente fino al Mali e al Nord Nigeria a Occidente.
Si sono moltiplicati i campi di addestra­mento jihadisti e qaedisti, sorti spesso grazie al ritorno in patria dei tanti com­battenti libici del jihad, che possono fun­gere da volano per una nuova generazio­ne di combattenti e terroristi, soprattut­to ora che l’Egitto usa la mano pesante contro la fratellanza musulmana.
Le milizie contrapposte che spadroneg­giano nel Paese hanno paralizzato ogni scelta politica e rischiano di frantumare definitivamente il Paese, creando uno spaventoso vuoto geopolitico fra Africa ed Europa meridionale. Gli investimenti occidentali nel settore degli idrocarburi e i lavori di ricostruzione sono fortemente a rischio, dato che l’instabilità ha di fatto bloccato l’export di petrolio, con le op­poste milizie che taglieggiano continua­mente le attività produttive. Vi è poi il pro­blema armi: 60 milioni per sei milioni di libici, che hanno provocato un fiorente mercato clandestino. Si è sempre detto che, finora, i libici le avevano usate solo in minima parte. Finora.
Insomma, il rischio è la cristallizzazione dell’anarchia e della frammentazione: un mega Stato fallito alle nostre porte, privo di controllo, che rischia di diffondere set­tarismo e violenza verso i vicini e il nostro continente. La paura, insomma, non è che un nuovo uomo forte prenda il con­trollo. Ma che nessuno sia ormai più in grado di farlo.