Arturo Zampaglione, Affari&Finanza – la Repubblica 19/5/2014, 19 maggio 2014
P&G ALLA GUERRA DELL’ULTIMA SAPONETTA – È un viaggio nella memoria collettiva e attraverso le piccole-grandi rivoluzioni della vita quotidiana, quello offerto dalla mostra “Home” al Museo nazionale della scienza e della tecnologia di Milano
P&G ALLA GUERRA DELL’ULTIMA SAPONETTA – È un viaggio nella memoria collettiva e attraverso le piccole-grandi rivoluzioni della vita quotidiana, quello offerto dalla mostra “Home” al Museo nazionale della scienza e della tecnologia di Milano. Il visitatore viene condotto tra le stanze di una abitazione ideale che racconta l’evoluzione della cura domestica e dell’igiene personale con oggetti un tempo comuni, oggi spesso dimenticati o sconosciuti, eppure progenitori di molte comodità moderne. Si scopre come si è passati dai primi “abbrustola-pane” esibiti in salotto come status-symbol, alle cucine iper-funzionali di oggi. Si sorride di fronte alle scomodità giornaliere per le nostre bisnonne, costrette a recarsi ai lavatoi pubblici per i bucati, a produrre il sapone in casa o a lavorare a maglia gli stracci per i pavimenti. «Abbiamo voluto rendere accessibile a tutti una patrimonio spesso dimenticato che è parte della nostra identità», spiega Fiorenzo Galli, direttore del museo milanese. La mostra, che chiuderà a metà giugno, è anche una occasione per la P&G (Procter and Gamble), il più grande colosso mondiale di prodotti a largo consumo che ha promosso l’iniziativa, per festeggiare i suoi 175 anni di vita e la sua onnipresenza. Sì, basta entrare in ogni casa d’Italia, d’America o di altri 180 paesi del mondo per rendersi conto della diffusione capillare dei marchi del gruppo di Cincinnati, in Ohio. Si calcola che 4,8 miliardi di persone al mondo usino i prodotti della P&G. Alcuni esempi: Dash, Ariel, Ace per il bucato; Mastro Lindo, Swiffer, Viakal per la pulizia e l’igiene della casa; Pantene, Oral B, AZ, Gillette per la cura della persona; Pampers e Tampax per pannolini e igiene femminile; Vicks per i farmaci da banco; Duracell per le batterie; Braun per i piccoli elettrodomestici. In tutto il gruppo ha 25 marchi che sviluppano ognuno un fatturato di oltre 1 miliardo di dollari all’anno. Come si è arrivati a questi traguardi? E soprattutto, quali sono le sfide che ha davanti A.G. Lafley, che un anno fa, in un momento complesso, è tornato a guidare il gruppo dopo esserne stato chief executive dal 2000 al 2009? Non c’è dubbio che - in parte per la sua lunga storia, in parte per la cultura aziendale che l’ha sempre caratterizzata – la P&G abbia conquistato un posto molto particolare nel capitalismo moderno. Adesso ha 218 miliardi di dollari di capitalizzazione di borsa e 121mila dipendenti, di cui 1600 in Italia, dove è presente dal 1956 e le cui operazioni sono guidate ora da Sami Kahale. Il giro d’affari nel mondo del gruppo è stato l’anno scorso di 83,6 miliardi di dollari. Nei primi tre mesi di quest’anno ha registrato un fatturato di 20,6 miliardi di dollari, analogo a quello dello stesso periodo dell’anno precedente, a dispetto dell’andamento sfavorevole dei rapporti di cambio. E per l’esercizio in corso si prevede che gli utili per azione crescano tra l’1 e il 4%. Certo, quando nel 1837 l’inglese William Procter e l’irlandese James Gamble fondarono la società, non potevano pensare che la loro fabbrica di saponi e candele avrebbe avuto una tale espansione. Procter e Gamble avevano sposato due sorelle di Cincinnati, Olivia e Elizabeth Norris, e fu proprio il padre delle ragazze a convincerli a mettersi in affari. Già nel 1858 la società raggiunse il primo milione di dollari di fatturato e gli 80 dipendenti. Durante la guerra civile vinse la commessa per rifornire sapone e candele all’esercito antischiavista dell’Unione, facendo così conoscere i suoi prodotti a decine di migliaia di soldati. Nel 1930, con l’acquisizione della Thomas Hedley inglese, cominciò a internazionalizzarsi. E negli stessi anni, avendo capito prima di altri il ruolo dei mass-media nel marketing, sponsorizzò una serie di programmi radiofonici. Si chiamavano “soap opera”, perché appunto promuovevano il “soap” (sapone) della P&G: da allora quella espressione è entrata nell’uso comune in ogni angolo del mondo. Assieme al marketing, è stata soprattutto l’innovazione ad alimentare la crescita di P&G. Nel 1946 fu lanciato il detergente per bucato Tide, nel 1955 il primo dentifricio al fluoruro, nel 1960 l’ammorbidente Downy e nel 1961 i primi pannolini usa-e-getta che avrebbero sostituito quelli di stoffa, che forse erano più ecologici, ma certo molto più scomodi. Adesso le nuove frontiere della Procter appaiono hi-tech: è uscito il primo spazzolino da denti “intelligente”, cioè collegato ad una app dello smartphone che indica dove concentrare gli sforzi. «L’innovazione si può applicare a ogni cosa», ricorda Lafley, che alcuni anni fa pubblicò assieme a Ram Charam un libro intitolato The Game Changer, cioè il “Cambia-Regole” (del gioco). In occasione del lancio di quel volume il chief executive della P&G disse a Repubblica: «Molti pensano che i detersivi siano solo una commodity, come il grano o il petrolio, ma per milioni di donne e di uomini che fanno il bucato ogni giorno, magari a mano come nei paesi emergenti, c’è una bella differenza tra un prodotto e l’altro. Ecco perché cerchiamo sempre di migliorare la qualità di Tide, che dopo tanti decenni dal lancio ufficiale detiene ancora il 42 per cento del mercato americano». Certo, anche la P&G ha avuto momenti di difficoltà ed è stata al centro di polemiche. Presa di mira dagli attivisti di GreenPeace che denunciavano i pericoli per le tigri di Sumatra e altri animali tropicali, la multinazionale si è dovuta impegnare, proprio di recente, a combattere la deforestazione, promettendo entro il 2020 una piena trasparenza dei suoi acquisti di olio di palma. E negli ultimi mesi il gruppo non è riuscito a cavalcare il boom di Wall Street: le quotazioni del titolo, nonostante la politica di dividendi generosi, hanno continuato a oscillare entro una banda troppa stretta (73-85 dollari). Ma Lafley, che ha 67 anni, non demorde. Intanto il boarddella multinazionale si appresta a trovare il suo successore. E in pole position ci sono un gruppetto di exdirigenti della P&G presenti e passati tra cui spicca il napoletano Fabrizio Freda, ora chief executive della Estee Lauder ma in precedenza dirigente della stessa P&G. Arturo Zampaglione, Affari&Finanza – la Repubblica 19/5/2014