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 2014  maggio 19 Lunedì calendario

POSTE, FERROVIE E FINMARE QUEI 6 MILIARDI DALLO STATO SENZA “SPENDING REVIEW”


C’ è un capitolo segreto della spending review in cui nemmeno il commissario del governo Cottarelli ha potuto mettere il naso. Si tratta di un fiume carsico da circa 6 miliardi di euro all’anno che sinora non è finito sotto la scure della revisione della spesa. Si tratta dei trasferimenti che lo Stato fa sostanzialmente a se stesso, anzi per meglio dire a delle proprie controllate, tra cui spiccano Poste, Ferrovie dello Stato e Finmare. Che sono sì tutte società per azioni ma che svolgono anche alcune funzioni di servizio pubblico e per questo sono pagate dallo Stato. Le Poste per portare la corrispondenza anche in zone disagiate, le Ferrovie per servire aree in cui non ci sarebbe convenienza economica, Finmare – ovvero Tirrenia – per fare la stessa cosa con i traghetti. Tra le altre cose, alle Poste arriva un flusso importante di denaro (1,6 miliardi all’anno) anche per un “contratto” con la Cassa depositi e prestiti per vendere i prodotti del risparmio postale. E le Ferrovie godono di flussi d’investimento nell’Alta velocità, ad esempio, garantiti dallo Stato. Fin qui non sembrerebbe esserci nulla di male. Il punto, però, è che qualcuno comincia a spulciare in mezzo a questo fiume di denaro che finora è stato dato quasi per “ naturale”, per scontato. Prima di tutto per la denuncia di alcuni soggetti privati che si sentono colpiti da una forma di concorrenza sleale: è successo ad esempio ad alcune società di trasporto merci che hanno presentato un esposto alla Ue per dei benefici che avrebbero ingiustamente avvantaggiato le Fs. “Aiuti di Stato” è l’accusa che la Commissione Ue ha fatto propria istruendo una pratica e invitando lo Stato italiano a discolparsi e a presentare le sue controdeduzioni. Ma la questione dei trasferimenti dello Stato alle grandi società per azioni a controllo pubblico comincia a interessare anche gli analisti di Borsa e gli accademici. Per le Poste, infatti (ma più in là dovrebbe capitare anche alle Ferrovie, anch’esse interessate a breve a una possibile privatizzazione, secondo i piani annunciati dal governo), è già deciso un iter di massima che dovrebbe portare la società guidata da Francesco Caio ad aprirsi ad azionisti privati entro novembre. Come global coordinator è già al lavoro un pool di banche tra cui Mediobanca, Bank of America e Citi. Quando la questione del valore da attribuire alle Poste entrerà nel vivo, bisognerà sciogliere il nodo gordiano dei soldi che lo Stato dà alla società. È corretto l’ammontare che viene erogato per garantire il cosiddetto “servizio universale”? È equo il compenso che le Poste prendono per vendere i prodotti del risparmio gestito? Domande che un domani, mutatis mutandis, si dovranno rivolgere ai flussi (ancora più imponenti: per il 2014 lo Stato ha stanziato 4 miliardi) che dal Tesoro passano alle Ferrovie. Per le Poste una partita imvenuto portante - che tra l’altro passa quasi inosservata essendosi le attenzioni finora concentrate soprattutto sul rimborso del servizio universale di corrispondenza - è quella delle commissioni per la vendita dei prodotti del risparmio postale. “Non molto tempo fa – dice Ugo Arrigo, docente alla Bicocca di Milano e autore di due recentissimi studi su Poste e Fs insieme a Giacomo Di Foggia – sono state pubblicate dal ministero dell’Economia nuove tabelle, ridotte, sulle remunerazioni delle banche per la vendita in asta di titoli di Stato. Basterebbe applicare una spending review simile alla vendita dei buoni postali per veder probabilmente scendere, e non di poco, l’importo che lo Stato, attraverso la Cassa depositi e prestiti, eroga alle Poste”. Ancora più clamoroso è il caso del rimborso erogato per l’onere del “servizio universale”. Qualcosa che costa ogni anno tra i 500 e i 600 milioni di euro. Portare lettere o pacchi anche nei paesini più sperduti, è l’ovvia versione delle Poste, è antieconomico e dunque se lo Stato vuole che si faccia deve rimborsare questa spesa. Ma – è questo il punto – quale spesa? Arrigo parla di “asimmetria delle informazioni”, nel senso che le informazioni sui costi le fornisce proprio l’ente che deve ricevere i soldi. È vero che, in teoria, ci sarebbe il controllo del Ministero dell’Economia e della Corte dei conti, su queste “convenzioni” o “contratti di programma”, ma è anche vero che in verità non ci sono tecnici dello Stato in grado di entrare nei dettagli dei costi presentati. E neppure si danno incarichi a tecnici terzi, all’esterno della pubblica amministrazione. Fa da corollario a tutto questo la genericità con cui questi testi sono scritti, meri elenchi che a volte non contengono neppure numeri, tanto da apparire all’esterno quasi dei rimborsi a piè di lista. Da notare che, nei contratti di servizio con le Poste per il servizio universale, nessuno prende in considerazione i benefici diversi derivanti dal tenere aperta una filiale in una località sperduta: è vero che da una parte c’è un costo, ma dall’altra gli abitanti non sono anche clienti del Bancoposta? E quindi c’è anche un vantaggio. Certo, a spiegare la relativa facilità con cui si sono stilati questi “contratti”, c’è la considerazione che in fondo il passaggio di denaro è avvenuto finora tra lo Stato e sue controllate. Ma c’è di più: i contratti sia di Poste che di Fs sono scaduti da tempo e sono prorogati di fatto in attesa di essere rinnovati. In nessun caso, però, è stata mai fatta una gara pubblica. E dire che, secondo le regole europee, non esiste alcuna giustificazione per non farla. Sarà arduo conholding vincere del contrario la Commissione Ue che ha aperto una procedura d’infrazione su richiesta di un gruppo di trasportatori merci del Sud. E anche per Finmare la Commissione europea ha aperto una procedura per aiuti di Stato. Il caso Deutsche Post spiega ancora meglio le contraddizioni italiane. «In Germania – dice Arrigo – lo Stato mette all’asta le aree che via via si rendono disponibili e non le affida con un contratto a Deutsche Post, nonostante una quota di azioni di quest’ultima sia ancora in mano pubblica». Per le ferrovie il confronto con ciò che accade all’estero è ancora più illuminante. «In Gran Bretagna – spiega Arrigo – due terzi delle linee ferroviarie pagano per avere il servizio. E il gettito così ottenuto, circa 450 milioni, serve a coprire anche le spese per le linee non remunerative. Che però risultano tali non a priori, ma soltanto dopo aver esperito una gara». Come se non bastasse, in alcuni casi esiste in Italia un palese conflitto d’interesse tra la direzione generale del ministero dell’Economia che eroga i “rimborsi” e chi li ottiene. Per le Ferrovie, ad esempio, il direttore generale del Mef siede nel consiglio d’amministrazione della ferroviaria, mentre il dirigente preposto ai pagamenti dei contratti siede nel cda di Rfi: non certo la migliore posizione per decidere se le spese siano giustificate. Last but not least, sia Poste che Fs (in particolare quest’ultima), di fronte all’accusa di aver ricevuto aiuti di Stato mascherati, si difendono con la Commissione Ue evidenziando il fatto di essere stati “sottocompensati”, ovvero di aver accettato in realtà rimborsi più bassi del dovuto. Purtroppo però, questa, che sembra un’ottima giustificazione contro l’accusa di aver ricevuto aiuti di Stato, si rivela un boomerang sotto altri due punti di vista. In primo luogo Eurostat potrebbe domandarsi se società per azioni che accettano di essere pagate meno del dovuto dallo Stato siano davvero tali o debbano invece essere ricomprese nell’alveo della pubblica amministrazione In secondo luogo, ora che si parla di privatizzazione, quali privati sottoscriveranno, un domani, azioni di società che accettano sistematicamente delle minusvalenze per i servizi resi? Qui sopra, i trasferimenti dello Stato per lo svolgimento di servizi pubblici. La ricostruzione di questi dati, assai difficile, è stata fatta dalla commissione guidata da Francesco Giavazzi nel 2012. Qui sopra, i principali comparti dove si concentrano i trasferimenti dello Stato (6 miliardi l’anno) per rimborsare il “servizio pubblico universale”: Ferrovie (1), Poste Italiane (2) e Traghetti (3).

Adriano Bonafede, Affari&Finanza – la Repubblica 19/5/2014