Stefano Salis, domenicale – Il Sole 24 Ore 18/5/2014, 18 maggio 2014
FABRIANO, UNA RISMA DA OTTO SECOLI
Un maestro cartaio – anzi, il termine tecnico giusto sarebbe «lavorente» – immerge il telaio di legno in una tinozza con un impasto di acqua e fibra di cotone. Lo estrae, lo scuote con movimenti sapienti, secolari, e ottiene un "foglio" compatto. È il primo passo: si è compiuta una specie di piccola magia. Poi, quel foglio, viene adagiato su un panno di feltro di lana, insieme a tanti altri fogli, ciascuno separato dagli altri dal feltro: contiene ancora un 85-90% di acqua. Il cartaio raggruppa i fogli e i feltri e li mette sotto una pressa a torchio, schiaccia ed espelle altra acqua. Adesso lo tocchiamo: ma è ancora umido, siamo al 15% di materia liquida presente. Infine, ecco l’asciugatura elettrica, in un apposito macchinario; un altro passaggio per i fogli, appesi ad asciugare su uno stenditoio e, per ultimo, l’impressione, sul foglio ormai asciutto, di un simbolo. Spicca il logo con un cartiglio che reca un numero fatidico: 750. Siamo nel giardino dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, il magnifico Hôtel de Galliffet (posto del quale, l’attuale direttrice, la studiosa e giornalista Marina Valensise, sta raccontando, ogni tanto, sul «Foglio» le storie, e si accinge a raccoglierle in un volume di prossima pubblicazione) e la serata è propizia: grande folla, prodotti italiani per festeggiare, si inaugura la mostra che celebra i 750 anni della carta di Fabriano, forse il primo esempio certo di «made in Italy», e uno di quelli ancora più noti e apprezzati. Il pubblico, vicino al mastro cartaio, non può trattenere la meraviglia quando vede, finalmente, come "nasce" la carta. Sì, perché, se ci pensate, questa materia, così fondamentale per la nostra civiltà (vi consiglio di andare a rileggere, ogni tanto, i molti aneddoti che racconta Ian Sansom ne L’odore della carta, Tea), la diamo per scontata ma non sappiamo come è fatta, da dove viene, perché ci fa compagnia da così tanto tempo e proprio per questo, forse, non abbiamo ancora capito davvero perché durerà ancora a lungo, alla faccia dei guru del digitale. Intendiamoci: quei fogli di carta che il mastro cartaio "sforna" (ancora fino a oggi, poi la mostra continuerà, con altri atelier, ma senza questa performance) davanti ai nostri occhi felici non sono la carta di tutti i giorni. Una carta fatta quasi solamente di cotone è pregiatissima: adatta in pratica solo a usi artistici – e molti artisti sparsi per il mondo acquistano carte pregiate di Fabriano per le loro opere – o per scopi molto più seri; per esempio, è la carta base per i documenti d’identità e le banconote. Ma, tutto sommato, è un modo per ricordarci quanto la carta sia presente nella nostra vita. E non pensate solo alla carta da stampa (quella vile per i giornali o uso mano per i libri), da disegno (chi non è andato a scuola, almeno in Italia, con gli album della Fabriano?), o da scrittura (quaderni, notes). Pensate alla carta come documento, o appunto alla carta moneta (sapete che Fabriano è la culla dove viene prodotta la carta degli euro, e di molte altre banconote, con tecniche sofisticatissime che, però, non disdegnano l’intervento della sapienza e della manualità degli esperti di incisione e filigrane?). Ecco: la mostra sui 750 anni della carta di Fabriano ripercorre, in maniera rapida, ma sufficientemente esaustiva – in un allestimento che è pronto ad essere allargato a piacere in altre sedi espositive (la sede dell’Istituto di Parigi, proprio in quanto troppo bella e preziosa, pone dei precisi vincoli; mentre attendiamo che la mostra sbarchi in Italia in uno spazio degno) –, una storia che è davvero l’emblema del "saper fare" italiano. E va reso merito al Gruppo Fedrigoni – che detiene la proprietà delle storiche cartiere Miliani di Fabriano dal 2002 – di avere insistito per celebrare tale storia. Soprattutto con i materiali della Fondazione Fedrigoni/Istocarta che ha prestato i materiali storici; e basti pensare che l’archivio industriale (che compie 50 anni) è vincolato dalla Soprintendenza e i materiali sono usciti fuori da Fabriano oggi per la prima volta. E molto merito va a Chiara Medioli, curatrice della mostra e di un piccolo, bellissimo libro che la precede e accompagna, Cotone, conigli e invisibili segni d’acqua (Corraini, e ti pareva?), per avere reso così "immediata" la storia di questa specificità tutta italiana. E già: si parte da un documento d’archivio che, come sempre, serve a fissare la data: un notaio di Matelica, siamo nel 1264, fa richiesta di carta bambagina a un produttore di Fabriano. Dunque, ecco i 750 anni del titolo, ma possiamo azzardare facilmente che ce ne sono almeno qualche decina in più per retrodatare la produzione: non si richiede un prodotto con tanta sicurezza per la sua qualità, se prima non lo si è perfezionato! Fabriano è dunque da otto secoli leader del settore. Ma si arriva ben presto alle invenzioni tecnologiche che consentono alla carta marchigiana di sfondare. L’utilizzo e la triturazione del cotone, una speciale colla animale (tratta dalla pelle conciata dei conigli, quelli del titolo del libro di Chiara Medioli) che rende la carta sicura (prima, con le colle vegetali, si deteriorava, tanto che Federico II riteneva nulli i documenti scritti su carta...) e l’"invenzione", ancora una volta magica, della filigrana, quel segno che viene immesso nell’anima del foglio di carta che lo rende precisamente attribuibile ed esteticamente pregiato. In mostra ci sono le forme di legno e ottone con i vergelli (per la carta vergata), che fanno capire il meccanismo con il quale i disegni vengono incisi nella carta, come c’è la riproduzione, in miniatura, di un’altra innovazione fabrianese, la pila a magli multipli, una poderosa macchina che, grazie alla forza dell’acqua, lavora la materia prima rendendola una pasta da usare per farne carta. Certo, però, non è una mostra solo meccanica. La bellezza della carta resiste di per sé (non lo dimentichiamo!), ma, quando ci si può aggiungere l’emozione di quello c’è scritto sopra, beh allora... Così, solo qualche esempio, in mostra (non sono tutti originali) ecco una lettera di Michelangelo che licenzia un garzone, ecco Garibaldi, o uno spartito su carta filigranata dell’arciduca d’Asburgo firmato Beethoven, o un disegno di Fellini, o un originale di Munari, e – giusto per capire l’internazionalità della bontà della carta fabrianese – lavori di Roy Lichtenstein, Francis Bacon, Georgia O’Keeffe e così via...
Ingegnosità, cura del particolare, spirito di sacrificio e arguzia, sapienza artigianale e grandi investimenti industriali, una tradizione da custodire e tramandare e una spinta costante all’innovazione. La storia della carta di Fabriano è davvero il paradigma di che ciò che ha reso l’Italia vincente nei secoli passati. È un patrimonio che ci interroga ancora oggi (quando il costo della carta aumenta sempre e molte cartiere artigianali stanno purtroppo scomparendo) e che merita di essere conosciuto. Per questo motivo la mostra parigina non è solo una mostra per bibliofili; è una mostra per italiani orgogliosi, capaci di realizzare un prodotto d’eccellenza (e Fabriano ha aperto in concomitanza con l’esposizione un negozio di carta pregiata in rue du Bac) che ci contraddistingue. È la grande bellezza, leggera, di un foglio di carta di cotone appena realizzato che ci ricorda quanto siamo stati capaci di insegnare al resto del mondo.
Stefano Salis, Il Sole 24 Ore 18/5/2014