Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 18/5/2014, 18 maggio 2014
L’ALTERNATIVA TEDESCA IN ODORE DI POPULISMO
FRANCOFORTE.
In mezzo alla Hauptwache, la piazza centrale di Francoforte, sotto un sole cocente del tutto fuori stagione, il candidato Hans-Olaf Henkel è paonazzo. Sarà perché è intabarrato in un improbabile impermeabile nero lungo fin quasi ai piedi, abito gessato nero, camicia bianca e cravatta. O per la scena che si svolge davanti ai suoi occhi. Le schiene di un cordone di polizia in assetto anti-sommossa, anche loro in total black, lo dividono da un centinaio di ragazzi abbigliati in modo variopinto che, con tamburi e fischietti, cori contro «fascisti» e «sessisti», bandiere della pace e «per il comunismo», cartelli «Heil Henkel», sono determinati a non lasciarlo parlare. Gettano coriandoli, lanciano vernice spray rosa shocking che spruzza appena il pastrano di Henkel e i suoi eleganti occhiali senza montatura. In disparte, alcune decine di pensionati venuti per sentire il comizio borbottano che questa non è democrazia. Una signora in casual chic giocherella nervosamente con il sottile filo di perle.
La situazione non è mai fuori controllo, anche quando il tendone malfermo del palco vacilla, ma sembra svolgersi secondo un copione già visto in tante piazze della Germania, ogni volta che si è presentato il "dottor Henkel". Dopo mezz’ora, va al microfono Eberhardt von dem Busch, esponente dell’aristocrazia locale, anche lui candidato: fra le grida degli oppositori si sente a mala pena, un paio di volte, la parola «democrazia». Introduce l’oratore pincipale: sommerso dalla cacofonia della piazza, Henkel ricorda ai protestatari di essere socio di Amnesty International, lamenta la campagna mediatica contro di lui, se la prende con l’euro. L’intervento dura appena cinque minuti. Impossibile farsi sentire in questo frastuono. Henkel se ne va, verso un altro appuntamento elettorale, a piedi, attorniato da un manipolo di poliziotti, che ora, a ogni buon conto, si son infilati i caschi. I cori quasi subito si spengono, i pensionati vanno a casa.
È un caso singolare quello di Hans-Olaf Henkel, numero due nelle liste per le elezioni europee di Alternative für Deutschland, il partito anti-euro, che l’anno scorso, con il 4,7% dei voti, ha sfiorato l’ingresso al Bundestag, provocando qualche grattacapo al cancelliere Angela Merkel. Per decenni manager di punta dell’Ibm in Europa, per sei anni, dal 1995 al 2000, presidente della Bdi, la confindustria tedesca, Henkel fu fautore dell’euro e delle riforme del mercato del lavoro poi realizzate dal governo Schröder. In seguito, autore di best seller e ospite fisso dei talk show televisivi. Un personaggio influente dell’establishment. Cosa ci fa alla testa di un partito che dall’ossessione monotematica contro l’euro e i salvataggi dei Paesi del Sud Europa con i soldi del contribuente tedesco si è trasformato in una forza sempre più populista?
Oggi 74enne, l’ex manager ascoltato dai cancellieri si è sempre più convinto dell’errore del progetto dell’unione monetaria, tanto da pensarne una per il Nord, i Paesi virtuosi arroccati attorno alla Germania, e una, separata, per il Sud. E ha creduto nella novità di AfD, lanciata lo scorso anno da un gruppetto di economisti e giornalisti, guidati dal professore di Amburgo, Bernd Lucke, tanto da tenerla a galla, finanziariamente, con un prestito personale da un milione di euro. E conquistarsi un posto in lista, nominalmente dietro lo stesso Lucke, di fatto come figura di maggior spicco di un partito che conta nei sondaggi su un 6% e forse qualcosa in più, il che dovrebbe assicurare almeno una mezza dozzina di deputati europei, e convoglia non solo la protesta, ma un sentimento diffuso fra i tedeschi, soprattutto dalla mezza età in su, e in classi sociali diverse, a partire dalla piccola borghesia.
Il voto di domenica fornirà una piattaforma per farsi sentire in Europa contro le politiche di Angela Merkel e poi presentarsi alle elezioni regionali in tre Länder dell’Est, dove nel 2013 l’AfD ha superato lo sbarramento del 5% e ha raccolto non solo lo scontento della base dei conservatori democristiani e liberali, ma anche di ex elettori della sinistra della Linke, ed è stata favorita dalla disillusione nelle aree dimenticate dallo sviluppo del resto del Germania. In un’intervista recente, Henkel ha dichiarato di sperare che poi, alle prossime politiche, AfD possa rappresentare la classe media tedesca in alternativa alla signora Merkel. Ha parlato addirittura di un futuro governo di cui Lucke sarebbe ministro delle Finanze. E lui, presumibilmente, cancelliere.
Ma l’AfD non è più solo il partito anti-euro della fondazione. Con 18mila membri, ha raccolto una base più ampia, di varia coloratura populista. Se Henkel e Lucke sono liberali in economia, il manifesto del partito, votato di recente a Erfurt, li ha visti in minoranza, con l’opposizione al Ttip, l’accordo transatlantico di libero scambio Europa-Stati Uniti. Gli slogan stampati nei manifesti dietro le spalle di Henkel all’Hauptwache non sono più solo contro i «diktat di Bruxelles«, ma per «il coraggio della Germania» e contro l’immigrazione, seguendo il modello del referendum svizzero. Un’anima incarnata dalla berlinese Beatrix von Storch, duchessa di Oldenburg, numero 4 delle liste AfD, neofita della politica come altri candidati e attivisti del partito, leader della "Zivile Koalition" e della "Iniziativa per la protezione della famiglia", nemica dichiarata dei matrimoni gay, delle quote rosa, e dei musulmani. Toni più vicini a un Tea Party tedesco, come ha scritto la "Frankfurter Allgemeine Zeitung", o alla destra ultraconservatrice americana, secondo Mats Persson, del think-tank Open Europe, che al messaggio degli altri partiti anti-euro europei, con i quali del resto AfD ha già detto di non volersi alleare. L’esasperazione contro le politiche europee e sociali dei governi Merkel sta trovando altri bersagli. E la grande coalizione con i socialdemocratici, in cui il consenso per l’euro è a larghissima maggioranza, favorisce la crescita, per la prima volta dal dopoguerra, di una formazione a destra dei democristiani. I cui connotati spiazzano il linguaggio dell’economia di Henkel e Lucke e non sono affatto rassicuranti.
Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 18/5/2014