Mario Deaglio, La Stampa 18/5/2014, 18 maggio 2014
GUALINO, L’IMPRENDITORE NON INTERPRETA IL MONDO MA LO TRASFORMA
Chi segue le vicende dell’imprenditoria italiana di oggi ne ricava l’impressione di un ceto in trincea schiacciato da una crisi angosciosa e angosciante. Gli imprenditori spesso rivendicano prima di proporre e paiono meno attenti di 10-20 anni fa alla scena internazionale, alla società, alla cultura. Non è sempre stato così. Durante il primo «miracolo economico» italiano, gli imprenditori parteciparono attivamente al dibattito politico e culturale. Giovanni Agnelli discuteva con Luigi Einaudi sull’orario di lavoro, Camillo Olivetti dialogava con Filippo Turati e si faceva eleggere al consiglio comunale di Ivrea nella lista socialista. Durante il secondo, Gaetano Marzotto istituì il premio letterario che porta il suo nome. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Tra le persone che maggiormente rappresentano questo profilo alto dell’imprenditoria va ricordato Riccardo Gualino, di cui il 6 giugno ricorre il cinquantesimo anniversario della morte. Gualino nacque nel 1879 in una famiglia molto numerosa di Biella. Suo padre aveva un laboratorio tra l’artigiano e l’industriale in cui lavorava oro e argento, ma Riccardo, ancora giovanissimo, decise di correre da solo. La sua traiettoria industriale inizia, ai primi del Novecento, nel mondo del legname, di cui l’industria delle costruzioni faceva un uso molto esteso. Le grandi foreste erano però lontanissime dai luoghi di utilizzazione di tronchi. Fu così che Gualino, si mosse subito in un ambito globale, non ancora trentenne, in un’Italia che dava ai giovani molto più spazio di quella di oggi e in un’economia che viveva il suo primo «miracolo».
Gualino riuscì a trovare finanziamenti adeguati e acquistò foreste nell’Europa orientale. Per trasportare il legname su lunghi percorsi, però, ci vogliono le navi ed eccolo fondare la Snia, Società di Navigazione Italo Americana (che poi riconvertirà dai trasporti alla chimica, facendone il principale produttore italiano di rayon e altre fibre artificiali); per fare le navi ci vogliono i cantieri navali, e Gualino ne acquista uno in Texas. Nell’industria delle costruzioni il ruolo del cemento armato si sta accentuando: Gualino fa il suo ingresso nell’Unione Italiana Cementi. E per finanziare il tutto sono necessarie le banche, così dal 1905 Gualino entra con varie «scalate» nel mondo piemontese del credito.
Questa giovane star del capitalismo italiano viaggiava continuamente per intrecciare affari, quasi come i manager di oggi, in un tempo in cui gli imprenditori italiani avevano generalmente orizzonti molto più casalinghi. Nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, il suo è un «impero industriale» multinazionale di prima grandezza che si estende attraverso vari settori (tra gli altri, il cuoio, il tessile, il cioccolato), è fortemente presente in Paesi molto diversi tra loro e in continuo cambiamento, tanto che riesce difficile tener dietro ai suoi interessi. Lo ha fatto alcuni anni fa, in un bel libro, Claudio Bermond, dell’Università di Torino (Riccardo Gualino finanziere e imprenditore, Centro Studi Piemontesi, 2005).
Questo «impero» naturalmente soffrì per il drastico ridimensionamento degli scambi internazionali, conseguenza della guerra, che per Gualino implicò di fatto la perdita dei suoi interessi nell’Europa orientale. Il che non gli impedì di cogliere nuovi successi industriali e finanziari nel dopoguerra, svolgendo, tra l’altro, un ruolo cruciale di sostegno ad Agnelli contro il tentativo di scalata dei Perrone alla Fiat, di cui nel 1920 divenne vicepresidente
La sua parabola ebbe come punti di svolta negativi la crisi mondiale del ’29 e la rivalutazione della lira (la famosa «quota 90»), contro la quale Gualino scrisse una vibrante lettera a Mussolini, riportata da Bermond («ritornerà la miseria nelle vallate […] dalle quali era discesa la manodopera, […] gli industriali si trovano oggi con case svalutate e debiti rivalutati»). Mussolini gli rispose, senza nominarlo, in un duro discorso del 1930, nel quale condannò i «Cagliostro dell’economia […] acrobati dell’industria e della finanza […] disinvoltamente enciclopedici […] con bilanci allegri e dividendi inventati». Nel 1931, poi, lo fece arrestare quando sembrava prossimo il tracollo del suo impero, fortemente indebitato con la Banca d’Italia.
Gualino fu condannato al confino nell’isola di Lipari e qui espresse la sua infaticabile voglia di attività diventando un vulcano dello scrivere: dalla sua penna, in poco più di un anno, uscirono l’autobiografia, un romanzo sulla crisi economica del ’29 e un racconto sulla conquista coloniale dell’Africa. Mussolini lo fece rilasciare nel 1932 mentre il suo impero veniva smembrato per far fronte ai debiti, con l’interdizione a ricoprire cariche societarie. Sembrava la fine, ma non era così. Aggirò il divieto a fare l’imprenditore e conservò il controllo della Rumianca, che divenne uno dei poli della chimica italiana e, attraverso società estere, fondò nel 1934 la Lux Film. Giustamente convinto delle grandi potenzialità del cinema, ne fece una delle principali case cinematografiche che produsse centinaia di film con molti registi dei tempi d’oro del cinema italiano.
L’imprenditoria si saldava così con l’altro grande interesse della vita di Gualino, quello per l’arte. Gualino vedeva nell’esperienza artistica qualcosa di «creativo», così come era «creativa» la sua attività imprenditoriale; sicuramente, però, ne considerava anche il lato economico, nel senso che il suo mecenatismo ha generalmente rinvigorito l’attività artistica e portato a una valorizzazione degli artisti che ha sostenuto. Il suo sostegno si rivolse alla pittura (in particolare al gruppo dei Sei di Torino e a Felice Casorati che gli fece un noto ritratto) e alla danza. Fu grazie a sua moglie, Cesarina Gurgo Salice, che ebbe inizio la scuola di danza di Bella Hutter di fama internazionale. Non si fermò qui: nel 1932 acquistò, restaurò e rilanciò il Teatro di Torino, una finestra sulla cultura internazionale, divenuto poi il primo auditorium della Rai.
Non trascurò l’architettura: villa Gualino, sulla collina torinese, e il villaggio Gualino, in prossimità dell’imbocco dell’autostrada per Milano, ne sono esempi eloquenti, con funzioni sociali in parte opposte. L’interesse per l’arte e la sua notevole ricchezza ebbero come sbocco naturale la formazione di una grande collezione; una parte si trova alla Galleria Sabauda, un’altra a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia. Coerentemente con il suo eclettismo, spazia da Botticelli a Modigliani a oreficerie, mobili e oggetti antichi.
Riccardo Gualino si avvicina alla figura d’imprenditore delineata da Schumpeter nella Teoria dello sviluppo economico del 1911: l’imprenditore schumpeteriano non accetta la situazione esistente ma agisce per modificarla. Con tutti i loro chiaroscuri, questi imprenditori sono il sale del capitalismo.
mario.deaglio@unito.it
Mario Deaglio, La Stampa 18/5/2014