Umberto Gentiloni, La Stampa 18/5/2014, 18 maggio 2014
QUEGLI ERRORI PAGATI A UN PREZZO TROPPO CARO
La battaglia finale si conclude tra l’11 e il 18 maggio 1944 dopo oltre quattro mesi di combattimenti dal cielo e da terra. La linea difensiva dei tedeschi cede, Cassino cade in mano alleata: un varco decisivo che condurrà alle porte di Roma qualche settimana dopo. Un epilogo attesto da troppo tempo e pagato a caro prezzo. Gli americani sfondano il lato destro della linea Gustav; al centro gli inglesi aggirano la collina di Cassino e cominciano a imboccare la via Casilina, mentre il 17 maggio i polacchi conquistano le alture che circondano l’abbazia. La notte seguente ha inizio la ritirata delle truppe tedesche che piegano a Nord in cerca di nuove postazioni da difendere. L’operazione Diadem ha l’obiettivo di conquistare la capitale di un paese dell’Asse per dare un segnale al mondo: Roma è la strada che porta a Berlino, la sconfitta di Mussolini un sentiero obbligato per la vittoria. Ed è così che la campagna d’Italia sembra riprendere vigore dopo le incertezze e gli errori dei mesi precedenti. La mattina del 18 maggio le truppe inglesi che entrano a Cassino parlano di città torturata, sulla cima del monte alle 10 e 20 i soldati del generale Anders issano la bandiera polacca, poco dopo anche l’Union Jack sventola sulle macerie del monastero distrutto. Il bilancio è doloroso, macerie e numeri impietosi, incerti anche 70 anni dopo. Un quotidiano londinese come il “Sun” scrive di 55 mila caduti tra gli Alleati e di circa 20 mila tra i tedeschi; altri hanno ipotizzato cifre molto più alte. Il dizionario di Oxford della Seconda guerra mondiale si ferma a 180 mila; la Bbc, dieci anni fa in occasione del Sessantesimo anniversario, ha proposto un calcolo di oltre 250 mila uomini tra caduti e feriti sui due versanti. Una storia difficile e per molti versi imbarazzante: il volto più crudele della Seconda guerra mondiale. Per la popolazione di Cassino è la fine di un incubo: 1800 i caduti civili, 200 i feriti e 150 dispersi. Un prezzo troppo alto, una condotta inadeguata, un tragico errore come riconosciuto a seguito di inchieste statunitensi nel 1969 e britanniche dieci anni dopo (rendendo noti i risultati di un’indagine del lontano 1949). Forse un’intercettazione radio del comando tedesco tradotta male («L’abate è nel monastero» diventa «Il battaglione è tra le mura dell’abbazia») rafforza le ragioni dei bombardamenti più massicci. Ipotesi e retroscena di un mosaico che appassiona studiosi e protagonisti da alcuni decenni.
Il tempo non ha cancellato quelle giornate, basta una breve visita attraverso i cimiteri militari della zona: mille i polacchi che riposano sulle pendici della celebre quota 593; 20 mila i tedeschi, oltre 4 mila i soldati del Commonwealth, quasi mille gli italiani, 3 mila i francesi, marocchini, algerini e tunisini; gli americani caduti tra lo sbarco in Sicilia e la conquista di Roma sono circa 8 mila. La distanza dagli eventi deve spingerci verso una memoria consapevole: ricordare per conoscere il passato, fare i conti con pagine fondamentali di una storia che ci appartiene. Gli anniversari sono anche questo, un modo per ritrovarsi e rinnovare i lasciti e le radici comuni dell’Europa del lungo dopoguerra. Di questi tempi non è poco.
Umberto Gentiloni, La Stampa 18/5/2014