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 2014  maggio 18 Domenica calendario

MA DALLE CRISI NASCONO SPESSO LE GRANDI COSE


In attesa delle elezioni del Parlamento europeo del 25 maggio è forse possibile tratteggiare fin d’ora un quadro in bilico tra qualche certezza e diverse incertezze. Accanto ai partiti che si potrebbero definire tradizionali, diciamo pure costituzionali, l’Europa dovrà fare il conto con un’eccedente presenza di nuovi movimenti, partiti o semipartiti che siano: etnicopopulisti, estremisti, folcloristici, al limite anche nichilisti. L’antieuropeismo purtroppo, favorito dalle varie crisi che l’Europa ha subito nell’ultimo quinquennio, è riuscito a scavarsi un solco alquanto vischioso e contagioso: il blocco ideologico antieuropeo, assente in Germania ma fortissimo in Francia, alquanto presente in Italia, vibrante e nervoso in Spagna, è ormai mosso da pulsioni disgreganti e sovente autodistruttive che potrebbero incidere, più del solito, sul giudizio popolare e quindi sull’insieme dell’esito elettorale.
Occhio ai sondaggi. Non pochi osservatori annunciano che i movimenti «anti» potrebbero perfino occupare lo spazio d’un quarto dei seggi. Molti ritengono probabile, se non possibile, che il Fronte Nazionale di madame Le Pen possa ottenere in Francia un quoziente sensibilmente elevato: quoziente che con ogni probabilità la signora del «no» saprà strappare, con i suoi comizi eccitati, alle folle che la seguono e la sostengono come una leader da provvidenza estrema nonché estremista. Lo stesso si potrebbe dire per l’irrequieto Partito della Libertà in Olanda e il grintoso Partito Indipendente nel Regno Unito.
Ma è ancora una volta che la stabile Germania farà caso e notizia a sé stante. Il suo canto è il contrario di quello di una sirena omerica: lancia fuori del coro note sobrie e positive. Ecco infatti, la signora Angela Merkel, eccola muoversi alata e sicura da una capitale all’altra in un continente molto vecchio, molto stanco, anche molto rassegnato e forse perciò quasi soddisfatto di subire il nuovo scettro tedesco al femminile. Merkel insomma è una sorta di gigante buono, con la cassa in mano, da cui tutti aspettano salute, benessere, incoraggiamento, salvezza. La si ascolta, la si subisce, la si stima in parte sul serio e in parte per calcolo di cinghia e di necessità; se ne accettano i consigli e soprattutto i sussidi che essa distribuisce qua e là, esempio i poveri greci, con un tenue sorriso materno. I consigli e interventi che Angela sa imporre o proporre ai colleghi del vecchio continente non suscitano rimproveri né ripudi.
Frattanto in Germania l’elettorato, al solito disciplinato e tradizionalista, non delude né ostacola le manovre anticrisi attuate dai due maggiori partiti tradizionali, il socialdemocratico e i conservatori cristiano-democratici: parliamo della Grosse Koalition magistralmente amministrata dal pugno flessibile, ma pugno pur sempre, di Frau Merkel. Non a caso, un grosso premio di riconoscimento e di stima le viene oggi elargito da tanti europei nonché da molti tedeschi anche avversari. Più enigmatico invece potrà riuscire l’esito elettorale in Italia, dove l’ambiguità caratteristica del Movimento 5 stelle di Grillo sarà per metà antieuropeo e per l’altra metà astutamente filoeuropeo. Sicuramente però, a prescindere dalle sparate antieuropee di Berlusconi, il grosso dei due grandi partiti italiani di centrodestra e centrosinistra terrà ferma la posizione di voto a favore del consolidamento del processo unitario continentale.
La situazione europea viene ironicamente rappresentata dalla copertina dell’Economist, dove sullo sfondo di un quadro che ricorda un ambiente infernale alla Bosch, spicca una Marie Le Pen a cavalcioni di un gallo, mentre nei piani successivi vediamo via via un Hollande inchiodato alla gogna, una Merkel legata ma integra a testa in giù da una pertica rudimentale, poi ancora un Cameron strettamente legato a un palo. In ultimo, sullo sfondo, popolato da diavoli e angeli in rissa, spicca un enigmatico Grillo drappeggiato disordinatamente da un’azzurra bandiera con stelle dorate: non si capisce bene se stia per togliersela o per tenersela stretta addosso. L’Economist getta al tempo stesso attraverso il commento qualche squarcio di luce sul presente e sul futuro del continente. Vi si sostiene che le economie europee nell’insieme stanno migliorando dopo anni di recessione e di crisi dell’euro; si sottolinea altresì che nei sondaggi dell’ultima settimana la fiducia nell’Europa unita si sarebbe rafforzata.
Tirate le somme, la maggioranza degli osservatori nota la profonda contraddizione che lacera il cuore dell’Europa: da un lato vedono la spinta verso una maggiore integrazione economica, ma, dall’altro lato, scorgono il rigetto dell’integrazione da parte di tanti cittadini e movimenti europei inclini allo scetticismo. I movimenti populisti, che potremmo anche definire contromovimenti, mettono difatti e soprattutto in rilievo i punti deboli e vulnerabili dei processi integrativi. Annunciano che la disoccupazione in Europa colpisce ormai 26 milioni di persone, mentre il debito pubblico appare ovunque sempre più insostenibile. Accompagnano il quadro indicando la fragilità delle banche, criticando il credito bancario avaro o nullo, ammonendo che una parte dell’Europa è già sulla sogli di una spinosa deflazione. Non pochi sostengono che l’Europa è in procinto di attraversare un decennio oscuro simile a quello attraversato dal Giappone negli Anni Novanta.
Al centro del disagio divampa poi il dibattito sulla moneta unica. Qui emergono argomenti pro e contro la centralizzazione dei poteri della Banca centrale; tuttavia, mentre la maggioranza degli elettori dell’eurozona vorrebbero mantenere l’euro, nello stesso tempo molti Stati europei si oppongono oggi ad un accrescimento intrusivo nelle questioni nazionali dei poteri della Banca centrale, della Commissione di Bruxelles e del Parlamento di Strasburgo. Basterà ricordare che il testo di una Costituzione europea, nonché del Trattato di Lisbona che avrebbe dovuto sostituirlo, sono stati entrambi rigettati in tre referendum. Nel frattempo si sono perfino rovesciati i percorsi dell’euroscetticismo. Oggi per esempio è in Francia, il più importante Stato fondatore dell Ue, che si manifestano più che altrove il disagio e il risentimento nei confronti del processo d’integrazione. Il noto euroscetticismo britannico appare attualmente quasi in secondo piano rispetto all’ostile nervosismo antieuropeo di Parigi. Al seguito del disagio francese sintomi di forte malessere si notano per le interferenze di Bruxelles in Italia, in Spagna, in Polonia, in Portogallo e in Grecia. L’ostilità verso Bruxelles avrà probabilmente il suo peso nel voto e, soprattutto, nelle astensioni che questa volta potrebbero segnare in pericoloso tasso d’aumento.
Tuttavia, molti ostinati e anche illuminati federalisti ritengono che non tutti i mali vengono per nuocere. Dicono che dalle crisi nascono spesso le grandi cose, le grandi idee, le costruzioni in parte anche utopiche come il progetto, finora realizzato solo per un quarto, degli Stati Uniti d’Europa. Il dado europeo, forse, sarà definitivamente tratto quando una maggioranza di popoli del vecchio continente sarà convinta che ai furori della globalizzazione si potrà resistere appieno soltanto il giorno in cui dalle urne, alle quali ci avviamo, emergerà un vero e unico Stato europeo.
Rassegniamoci per ora di votarlo almeno con l’immaginazione. L’Unione Europea c’è difatti più sulla carta che nella realtà. Non è certo molto, tuttavia è molto più di quanto potevamo fare al tempo della Guerra fredda. Solo dalle cose, come dicono i tedeschi, nascono altre cose. Questo voto europeo, difatti, è già di per sé una cosa importante, un impegno, una promessa che l’elettore fa a se stesso e al futuro delle generazioni che verranno dopo. Forse, una volta tanto, gli scettici inglesi andrebbero ascoltati con attenzione quando sostengono che l’Unione Europea, se desidera sopravvivere, deve concedere non solo a Bruxelles ma anche ai singoli popoli europei un certo potere d’ingerenza e quindi di presenza nel meccanismo dell’unificazione. Adesso che ci viene offerta dalle urne una buona occasione, cerchiamo di non sprecarla. Sforziamoci di votare convinti, tenendo ben ferma in mente la Cosa per la quale si celebra domenica prossima una votazione d’impegno contro gli scettici e contro gli astensionisti.

Enzo Bettiza, La Stampa 18/5/2014