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 2014  maggio 18 Domenica calendario

“SÌ, IL POTERE TI RENDE SOLO E IO SONO SOLA”

[Intervista del 1986 a Margaret Thatcher] –

Signora Thatcher, c’è molta differenza tra governare una famiglia e governare uno Stato?
Bè, in un certo senso no. Penso che in qualche modo il principio sia lo stesso. Sia che si tratti di una famiglia, sia che si tratti di uno Stato, bisogna vivere secondo i propri mezzi e non fare il passo più lungo della gamba. Quando si allevano dei figli non bisogna abituarli a trovare tutto pronto, bisogna insegnar loro a essere autosufficienti e a prendere le loro decisioni, con lo Stato è lo stesso. Non si può fare tutto al posto del popolo, né il popolo non lo desidererebbe in una società libera. In una società libera gli individui devono assumersi la responsabilità delle proprie azioni e contare su loro stessi, non devono pretendere che il governo faccia troppo per loro. Quindi alcune somiglianze ci sono.
Qualcuno l’ha definita: “Sola donna tra tanti uomini e solo uomo tra tanti ministri”. Crede che sia un complimento oppure la sua condizione di donna non le crea nessun problema?
Questa osservazione deve essere stata fatta da un uomo, perché gli uomini credono che sia un complimento dire a una donna che pensa come un uomo. Non sono sicura che noi donne la pensiamo allo stesso modo. Io giudico le persone per il loro carattere, non perché sono uomini o donne. Mi interessa vedere se una persona è sufficientemente forte, sufficientemente decisa, se è disposta ad affrontare i problemi e non a sfuggirli. Tutto questo è molto più importante dell’appartenenza a un sesso o all’altro.
Tra due grandi donne che hanno governato, il primo ministro indiano Indira Gandhi e il premier israeliano Golda Meir, a chi vanno le sue preferenze?
Le ho conosciute tutte e due ed entrambi mi erano simpatiche e le ammiravo. Tutte e due avevano compiti molto diversi dall’essere il primo ministro inglese donna. Sono state entrambe delle pioniere dell’indipendenza del loro Paese. Indira Gandhi era figlia di Jawaharlal Nehru che a sua volta era stato l’erede spirituale di Gandhi, Golda Meir il suo paese l’ha visto nascere. Credo che una cosa sia essere una pioniera dell’indipendenza del proprio paese, e una cosa assumere il governo di uno Stato che ha antiche tradizioni di legalità e di democrazia. Loro affrontavano problemi enormi, sotto alcuni aspetti simili perché guidavano paesi che costruivano la democrazia . La signora Meir ha dovuto affrontare delle situazioni belliche e io dal canto mio ho avuto le Falkland. Tra le due ho conosciuto meglio Indira Gandhi, di lei sento particolarmente la mancanza perché con lei potevo parlare di cose che con nessuna altra donna ho mai potuto parlare.
Da che cosa è nata la sua vocazione per la politica?
È una domanda che mi fanno spesso e a cui trovo molto difficile dare una risposta. Il fatto è che ho un interesse innato per la politica. È un argomento di cui si è sempre discusso a casa mia, fin da quando ero piccola. I nostri genitori ci incoraggiavano a leggere argomenti politici, ad andare alle conferenze, a partecipare a iniziative. Per questo io sono sempre stata affascinata dalla politica. Ci incoraggiavano anche a leggere e a parlare di storia perché, naturalmente, una nazione è il risultato delle proprie istituzioni politiche e della propria storia. Quindi sono stata molto incoraggiata dalla mia famiglia fin da piccola. Direi che io ho sviluppato per la politica lo stesso fascino che altre persone provano, ad esempio, nei confronti della musica, della letteratura, del teatro. Quindi non ho potuto fare a meno di fare politica.
Lei ha detto: “Vorrei che ogni inglese fosse un capitalista”. Vuole spiegare perché?
Perché essere capitalisti significa avere degli interessi nel paese in cui si vive, sia che si possegga della terra, sia che si possegga la casa in cui si abita, oppure che si abbiano dei risparmi, ciò che importa è che si abbia dell’indipendenza. L’interesse per il paese in cui si vive è più profondo. Uno Stato i cui abitanti possiedono tutti un po’ di indipendenza, è sicuramente più forte. Quindi io dico spesso che quello che cerco di ottenere è il capitalismo popolare. In altre parole, ciascuno di noi deve avere l’opportunità di acquisire della terra, di mettere via del denaro, insomma, di possedere qualcosa alle spalle, perché questo gli permette di essere indipendente.
Lei è stata la prima donna primo ministro nella storia della Gran Bretagna. C’è un segreto per arrivare a questo posto?
Esiste un segreto per arrivare? Non credo che per arrivare ai massimi livelli della politica sia diverso da qualunque altra professione, come nello sport, nella musica, nelle arti. Si deve lavorare con grande volontà. Si deve cercare di essere padroni della materia, si deve sempre cercare di migliorare. Chi fa politica deve tentare di capire la gente battendosi per far vincere le proprie idee. Non conosco nessuno che ce l’abbia fatta in politica senza fatica. Questa è la ricetta di cui non si può fare a meno. E poi ci vuole sempre un po’ di fortuna. Ho conosciuto delle persone estremamente capaci il cui momento però non è mai arrivato. Ho lavorato, ho approfittato di ogni occasione anche quando non sapevo dove mi avrebbe portato. Non mi sarei mai aspettata di arrivare a essere il primo ministro del mio paese, ma così è stato. È un lavoro che amo e che spero di continuare a fare.
Le piace la definizione di “Lady di ferro”?
È tanto tempo che non mi chiamano più così in Gran Bretagna. Poco dopo la mia nomina a capo del partito, ho tenuto un discorso molto duro sulla difesa della libertà e la necessità, per chi la ama e chi in essa crede, di difenderla. Parte della libertà di ognuno deriva dal saper valutare, con freddezza e accuratezza, ogni potenziale aggressore. Dopo quel discorso fui soprannominata ‘Lady di ferro’. Se si è alla guida di un paese come la Gran Bretagna, un paese che è forte, un paese che ha dato un grande contributo alla politica mondiale, un paese di cui ci si può sempre fidare, bisogna per forza avere un po’ di ferro dentro di sé. Quindi devo dire che la definizione non mi dispiace.
Quali sono stati i giorni più difficili nella sua vicenda politica?
Ogni volta che ci si trova di fronte a una difficoltà sembra che sia la peggiore. Direi che i giorni, che ricordo come i più angoscianti, sono stati quelli delle Falkland perché molti nostri soldati erano in guerra e io sapevo che a loro e alle loro famiglie erano imposti gravi sacrifici. E questi sono problemi totalmente diversi da qualunque altro problema politico. Anche quando ci fu lo sciopero dei minatori che durò un anno. Nessuno sapeva quanto sarebbe andato avanti, vi furono azioni intimidatorie. Anche in quel periodo provai molta ansia. Lei capisce, credo, quello che voglio dire? Quando c’è la guerra, la violenza, quando accadono crimini, le preoccupazioni sono ben più profonde di qualsiasi altro momento.
A proposito dello sciopero dei minatori, lei affrontò duramente – riporto una sua definizione – “il potere dei sindacati”, varando una legge che rendeva illegale lo sciopero.
Lo sciopero veniva deciso da pochi e imposto alla maggioranza. La legge non è contro lo sciopero è stata fatta per renderlo più democratico: è illegale solo se non viene deciso dalla maggioranza dei lavoratori con il voto segreto, inoltre la legge responsabilizza civilmente i capi dei sindacati che saranno ritenuti responsabili di eventuali danni causati dagli scioperi che non seguono le regole: se un lavoratore decide di non aderire ha diritto di entrare nel posto di lavoro, per questo motivo sono intervenuta duramente contro i picchetti fuori dalle miniere. È stata dura, il governo non ha ceduto di un millimetro, e alla fine la civiltà ha prevalso.
I giorni più difficili nella sua storia umana?
Ci si trova costantemente di fronte a momenti difficili. Ogni volta che se ne incontra uno è sempre difficile superarlo, ma si pensa: ‘Ho superato tante prove che riuscirò a superare anche questa’. Quando si affrontano le elezioni, ad esempio, da esse dipende il futuro del proprio paese. Nel caso della Gran Bretagna, tutta la sua politica dipende, in un certo senso, dal leader del partito. La responsabilità è molto pesante. Quando si aspetta che arrivino i risultati, la notte dopo il voto come accadde nel 1979 e nel 1983 e poi ancora quando ci saranno le prossime elezioni, la tensione è altissima. Io sono sempre stata molto fortunata. La mia famiglia è meravigliosa, mio marito e i miei figli sono meravigliosi. Anche se siamo spesso molto lontani, i miei figli e io ci sentiamo molto vicini, ci telefoniamo sempre. Carol è stata con me durante le scorse elezioni per tutto il tempo e mio figlio Mark mi viene a trovare appena sente una notizia che sa che mi può causare delle preoccupazioni. Li sento molto vicini in ogni momento. Sapere di avere una famiglia alle spalle aiuta a superare i giorni più difficili.
La sua carica ha creato qualche problema ai suoi figli?
Sì, dei problemi immensi, perché a causa della mia notorietà inevitabilmente tutto quello che loro fanno è sottoposto al pubblico giudizio, e questo a loro non fa bene. Quando io ero giovane mio padre non era famoso e quindi io potevo commettere i miei errori, tutto rimaneva nell’ambito familiare e così dovrebbe essere per tutti i giovani, invece per i miei figli non lo è. Io lo metto in conto per me stessa, ma non va bene quando riguarda la mia famiglia, soprattutto quando i figli diventano il bersaglio di certi commenti.
Qual è la critica che l’ha offesa di più?
Nel mio lavoro ci si abitua alle critiche, ci si abitua per forza, ci sono tante persone che cercano di ferirti, ma io mi rallegro sempre moltissimo se qualcuno è particolarmente offensivo perché penso: ‘Se mi attaccano personalmente vuol dire che non hanno nessun appiglio per farlo politicamente’. Questo è ciò che mi ha sempre insegnato mio padre: ‘Non bisogna mai preoccuparsi quando una persona ci attacca personalmente, significa che i loro argomenti non hanno nessun peso e loro lo sanno’.
Il complimento che le ha fatto più piacere?
Penso che sia noto che, da quando sono primo ministro in Gran Bretagna, siamo riusciti ad affrontare alcuni problemi fondamentali e a far cambiare atteggiamenti retrogradi nel paese. Siamo riusciti a modernizzare le industrie, a modificare le relazioni industriali, a dare il via al capitalismo popolare, a portare la libertà dove non c’era e molti altri cambiamenti ancora. Il complimento che mi fa più piacere è quando qualcuno si rende conto che noi abbiamo affrontato tutto questo e che gli altri, invece, avevano evitato di farlo.
Lei è al secondo mandato, qual è il suo obiettivo?
Ho assunto la carica di primo ministro con un intento fondamentale per lo Stato: cambiare la Gran Bretagna da società dipendente a società autosufficiente. È un cambio totale di mentalità quello di passare dall’attesa al ‘fai da te’. Manca circa un anno alla fine del mandato: siamo sulla buona strada, abbiamo trasformato una Gran Bretagna abbastanza disfattista in una nazione che ha grandi prospettive per il futuro e che gode del rispetto del mondo.
Signora Thatcher, il potere non crea anche solitudine?
Sì, il potere crea solitudine. Credo che sia sempre stato così. E questo è uno dei motivi per cui trovavo facile comunicare con Indira Gandhi e Gol-da Meir, perché loro conoscevano appieno la solitudine delle decisioni difficili. Non ci sono molte persone con cui se ne possa parlare. Poi ci si appoggia alla famiglia, agli amici, loro ci aiutano a superare certi momenti. Sì, la solitudine è tanta perché si è in tanti a prendere una decisione facile, e si rimane soli quando si deve prendere quella difficile.

Enzo Biagi, Il Fatto Quotidiano 18/5/2014