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 2014  maggio 16 Venerdì calendario

VI RACCONTO HEMINGWAY EN TRAVESTI

«Avevo 22 anni quando scoprii che di nascosto mio padre si travestiva da donna. Ero andato a trovarlo a Bozeman, nel Montana, dove tornava a trascorrere i weekend con la terza moglie e gli ultimi tre dei suoi sette figli: durante la settimana faceva il medico in un’altra città e dormiva in una roulotte parcheggiata dietro l’ospedale. Entrando in quel caravan ero incappato in un rossetto e avevo chiesto a mio fratello se era di sua madre: “No, è di papà”, aveva risposto lui con aria indifferente. “Di papà?” “Certo. Non lo sai? Quando è lontano da casa si depila le gambe e indossa la parrucca”. Non una parola di più. Tornato a Los Angeles, ne avevo parlato a mia madre, che si era scomposta ancora meno: “Ah, quella cosa lì... Sì, la faceva anche quando era sposato con me”». John Hemingway, figlio di Gregory Hemingway, che ha sua volta era il figlio minore del celeberrimo Ernest, l’autore di Addio alle armi, continua così il suo racconto: «Due anni dopo
venni a sapere che, stufo di travestirsi di nascosto, nella solitudine di quella roulotte, mio padre aveva preso a entrare nei bar da cowboy del Montana nei panni di Gloria, suo alterego femminile: lo venni a sapere dal rapporto della polizia che lo aveva arrestato».
John parla un italiano perfetto: per fuggire a migliaia di chilometri di distanza dalle asperità di famiglia, ha vissuto a lungo in Italia, da giovane. E ricorda vicende sconcertanti con voce pacata, quasi impassibile, come chi ha molto sofferto, molto elaborato, e infine è riuscito a prendere una qualche distanza anche psicologicamente: «Mia madre era schizofrenica: i miei fratelli e io siamo cresciuti sballottati da una casa all’altra mentre lei inseguiva le sue “voci”, fino a essere affidati a un prozio. Mio padre soffriva di sindrome maniaco-depressiva, alternava fasi di eccitamento a periodi di depressione profonda – e giù sbronze, risse, stati di abbrutimento, arresti – e dopo anni di travestitismo, durante il suo quarto matrimonio, si è fatto operare: ha cambiato sesso». John fa una lunga pausa. «Una vita, la sua, scandita dall’amore e odio verso suo padre: Ernest Hemingway l’eroe, il Nobel, il mito ingombrante. Che un giorno lo aveva scoperto mentre, ancora dodicenne, si provava un paio di calze di nylon. E non aveva detto nulla, solo un’occhiata devastata, interdetta, per commentare due settimane dopo: “Greg, proveniamo da una strana tribù, tu ed io”». E si intitola proprio Strange tribe, Strana tribù, il libro che John Hemingway ha scritto sull’intricato rapporto tra il nonno Ernest e il padre Gregory: John si è chiesto mille volte che legame ci fosse tra l’inossidabile machismo dello scrittore – epico cacciatore, pescatore, guerriero, amante – e il travestitismo del suo fragile e impossibile papà, da lui molto amato nonostante i mille scogli. Per giungere alla conclusione che i due avessero innumerevoli punti di contatto. Anzi, di più, che fossero due facce della stessa medaglia. Tra loro c’era infatti un legame unico, privilegiato: a dimostrarlo, le lettere di Gregory a Ernest che qui vengono pubblicate per la prima volta. In una scrive: «Questa faccenda degli abiti è una cosa che non sono mai riuscito a controllare e di cui mi vergogno terribilmente». E, a legarli, il disperato tentativo di Gregory di essere all’altezza dell’irraggiungibile leggenda paterna. Uno sforzo vano: «Diceva che non poteva fare a meno di travestirsi da donna perché era l’unica cosa che allentava uno stress insopportabile».
Ne esce un libro straziante, più doloroso che scandalistico, edito in Usa dalla Lyons Press (pp. 220, dollari 24,95) e tradotto in spagnolo, bulgaro, ceco, cinese. Ma non in italiano, chissà perché. E il 25 maggio John Hemingway sarà al Festival internazionale della Storia, a Gorizia, quest’anno dedicato al centenario della prima guerra mondiale: la mattina accompagnerà il pubblico sui luoghi di Addio alle Armi, il pomeriggio racconterà la sua stravagante famiglia. Nonno in testa.
Da un lato il gigante, dall’altro la pecora nera: cosa non aveva funzionato in Greg? Cosa scatenava quegli stati maniacali in cui, in un’esaltazione a mille giri, tacchi alti e parrucca, provocava la gente per strada fino a farsi arrestare, per poi piombare in depressioni plumbee, vivere da eremita, con gli stessi abiti per settimane, tra piatti sporchi, spazzatura, odori e malori? «Oggi si ritiene che il disturbo bipolare abbia una componente genetica», spiega John. «Negli Anni 40-50 se ne parlava troppo poco perché in nonno Ernest si identificassero i picchi maniacali, ma certo le sue depressioni erano tombali. E, come più volte Gregory, anche lui si sottopose a elettroshock. Fino a suicidarsi, nel ‘61, dopo vari tentativi falliti. Come si erano tolti la vita suo padre Clarence e sua sorella Ursula; e in seguito il fratello Leicester. Come morirà d’overdose la bellissima nipote Margaux. Quella che i giornalisti chiamano “la maledizione degli Hemingway” ha più a che vedere con l’ereditarietà che con il vudù».
E il travestitismo di Gregory, il desiderio – divenuto ossessione – di cambiare sesso? «Neanche dopo l’operazione mio padre ha mai mostrato attrazione per gli uomini. Lui non era gay: per tutta la vita ha amato e sedotto le donne. Come suo padre. E in realtà anche suo padre, nonno Ernest, nascondeva un’inaspettata attrazione per lo scambio di genere. Il diario di Mary Welsh, la sua ultima moglie, racconta di giochi erotici in cui lei è il maschio e lui la femmina. E su quel diario lo scrittore appunta: “A lei piace che io sia la sua ragazza; e a me piace esserlo”. Non solo: nel suo romanzo Il giardino dell’Eden il protagonista, giovane scrittore americano, sperimenta scambi di ruolo sessuale con la moglie Catherine. Credo che, diventando donna, mio padre abbia portato alle estreme conseguenze i sogni erotici e le fantasie letterarie di nonno Ernest».
John aggiunge: «Entrambi hanno avuto madri che li hanno cresciuti come fossero bambine. La bisnonna Grace, che si era sempre sentita schiacciata dalla figura di suo fratello, allevò il piccolo Ernest come fosse “la gemella” della sorellina Marceline, di un anno più grande: andavano in classe insieme, si scambiavano i vestiti, le bambole... E nonna Pauline, seconda moglie di Ernest, rimase molto delusa quando nacque Gregory, perché il marito infedele, che già cominciava ad allontanarsi da lei, desiderava ardentemente una bambina: da sempre priva d’istinto materno, non fece mistero della sua delusione e affidò Greg a una governante alcolizzata. Ernest e Gregory lottarono tutta la vita con le proprie contraddizioni, cercando un equilibrio tra la parte femminile e maschile della loro personalità».
Come tutti d’altronde... «In loro però lo sforzo assume forme estreme. Hanno le stesse passioni supermascoline: la boxe, la caccia, la pesca, i safari in Africa. La stesso bisogno di annegare nell’alcol. La stessa ossessione per le donne: quattro mogli a testa, mille amori e l’incapacità di vivere senza una donna accanto. Che in Gregory sembra una sfida a suo padre: basta dire che la sua terza moglie, Valerie, era stata la segretaria di Ernest, conosciuta al funerale dello scrittore. E che, dopo aver divorziato dalla quarta moglie, la risposò. Battendo così il padre con le quinte nozze». Un matrimonio tragico... «Ida conobbe Greg in un bagno per signore, mentre era travestito da donna. Ma lui era un rampollo Hemingway e lei aveva un sesto senso per i soldi... Lo sposò nel ‘92, lo lasciò nel ‘95, quando Greg divenne donna a tutti gli effetti. Ma ci ripensò subito dopo, vedendosi tagliata fuori dall’eredità di famiglia. Di nuovo moglie, sopportò gli ultimi difficili anni di vita di Greg. Come Mary Welsh aveva sopportato gli ultimi anni ardui con Ernest, tra alcol, tradimenti, liti furibonde. Entrambe sapevano che un giorno sarebbero rimaste sole con il patrimonio Hemingway. Fatto di diritti d’autore, ma anche di royalty sui mille prodotti venduti col marchio dello scrittore, dai mobili alla carta da parati, dal rum alle salse». Ernest si sparò un colpo in bocca. Gregory morì di cuore in prigione, dove era finito per atti osceni nei panni di Gloria. John conclude: «Mary aveva lasciato le chiavi dell’armadietto dei fucili dove Ernest le avrebbe trovate facilmente. Ida non pagò la cauzione per far uscire mio padre da quel buco di cella».
Antonella Barina