Benedetta Marietti, il Venerdì 16/5/2014, 16 maggio 2014
ALTRE CELEBRITÀ, ALTRE STANZE
Mi ricordo bene al Chelsea Hotel / tu eri famosa, il tuo cuore era una leggenda / tu mi dicevi ancora che preferivi uomini belli / ma per me avresti fatto un’eccezione».
Così cantava Leonard Cohen in Chelsea Hotel #2, la canzone dedicata a Janis Joplin con cui aveva passato una fuggevole notte d’amore in una camera del mitico albergo newyorchese in mattoni rossi affacciato sulla 23a strada Ovest. Stilare un elenco degli artisti che negli ultimi 125 anni hanno abitato al Chelsea Hotel sarebbe troppo lungo. Basta ricordare che Arthur Miller ha scritto l’autobiografico Dopo la caduta (sul suo matrimonio con Marilyn Monroe) nello stesso piano in cui Andy Warhol avrebbe girato Chelsea Girls. E che Mark Twain intratteneva i suoi ospiti nella stessa camera in cui Richard Bernstein avrebbe realizzato i suoi ritratti di star del cinema per Interview. Questi e altri aneddoti, molti dei quali inediti, sulla vita del Chelsea Hotel – dalle origini ai giorni nostri – vengono raccontati in modo brillante e esaustivo dalla scrittrice americana Sherill Tippins in Chelsea Hotel. Viaggio nel palazzo dei sogni (in uscita in questi giorni per EDT, trad. di Anna Lovisolo, pp. 536, euro 23), sorta di biografia del leggendario albergo, per oltre un secolo straordinario crocevia artistico e quartier generale della bohème culturale nel cuore della città più capitalista al mondo. «Come tanti newyorchesi, alla fine degli anni 70 non vedevo l’ora di andare alle feste del Chelsea, camminare in quei corridoi pieni di fascino, passare del tempo nella lobby», ci racconta Sherill Tippins. «Poi l’albergo mi è sembrato decaduto, ma con mio grande stupore, sette anni fa, il direttore del Trinity College of Music di Londra mi ha confessato di continuare ad alloggiare lì. Così mi sono chiesta perché proprio quell’albergo si sia trasformato nella più grande e duratura comunità artistica al mondo. E ho scoperto una storia alternativa dell’America». È in quel palazzo di dodici piani, dai balconi in ferro battuto e bow-windows in stile gotico vittoriano, che in una notte di fine estate del 1953 si presentano Jack Kerouac e Gore Vidal, chiedono una camera e firmano alla reception il registro dell’albergo con i loro veri nomi, garantendo al portiere che un giorno quel registro sarebbe stato famoso. Con quella stessa scusa («un giorno saranno famose»), nell’estate del 1969 una Patti Smith ventiduenne convince il proprietario, Stanley Bard, ad affittare una stanza – la numero 107 – a lei e a Robert Mapplethorpe, malato e febbricitante, in cambio di alcune opere di Robert. Ed è lì, in quelle camere dagli arredi che propendevano «al guatemalteco, forse, o alla periferia del Queens», secondo la definizione di Arthur Miller, che Borroughs compone Il pasto nudo e Kerouac On the Road. «L’estremo spirito di tolleranza e la mancanza totale di giudizio che si respiravano in quelle stanze hanno permesso a tanti artisti di essere se stessi e di creare liberamente. Thomas Wolfe beveva e faceva lo spaccone; Virgil Thompson organizzava un circolo artistico con persone di diverso orientamento sessuale, politico e culturale; Bob Dylan era in contatto con quel caravanserraglio di artisti circensi, camionisti, muse e sognatori che popolano l’album Blonde on Blonde; Patti Smith si è forgiata un’identità chiacchierando con Allen Ginsberg, William Burroughs e Janis Joplin. Solo sapendo che può impegnarsi, fallire e nonostante tutto avere un posto sicuro dove stare, un artista è in grado di creare un’opera d’arte che abbia l’ambizione di cambiare il mondo. È questo il motivo per cui è nato il Chelsea Hotel e ha avuto successo per tante generazioni». Non è infatti un caso che l’albergo sia sorto alla fine del XIX secolo dall’idea di un architetto francese, Philip Hubert, che ispirandosi alle utopie del filosofo Charles Fourier ha immaginato un luogo protetto dalle pressioni economiche e sociali della New York dell’epoca, in cui fosse possibile dedicarsi alla vita artistica. Spiega Tippins: «Hubert costruì una residenza con spazi privati e comuni: una vasta lobby, corridoi ampi, una mensa/sala da pranzo e un roof garden che facilitava interazione sociale e scambi di idee. Organizzò i residenti in un’associazione cooperativa che servisse a dividersi le spese. Costruì su ogni piano appartamenti di dimensioni e prezzi diversi e selezionò i primi residenti (in parte proprietari, in parte affittuari) in modo che rappresentassero tutti gli strati della società. Nasce così nel 1885 il Chelsea Association Building». Dopo varie crisi economiche e ristrutturazioni, il Chelsea viene acquistato nel 1939 dalla famiglia Bard, generosi albergatori ungheresi, che ne fanno una residenza per artisti. «I Bard continuarono a incoraggiare gli scambi di idee per attirare scrittori e musicisti, la cui privacy era assicurata dai muri insonorizzati e dalla lunga tradizione di tolleranza». Ma nella vita del Chelsea Hotel non è tutto rose e fiori. Il 12 ottobre 1978 nella stanza 100 viene ritrovato il corpo di una ragazza di vent’anni «con indosso soltanto un reggiseno nero e un paio di mutandine, la testa sotto il lavandino e una ferita da taglio nella parte bassa dell’addome». È quello di Nancy Spungen, compagna di Sid Vicious, cantante e bassista dei Sex Pistols. Dylan Thomas morì al Chelsea in preda al delirio alcolico, Valerie Solanas meditò in quelle stanze l’aggressione a Andy Warhol. E da lì passarono Edie Sedgwick, Janis Joplin, Jimi Hendrix, tutti morti per overdose. «Droga, sesso, ipereccitazione, isolamento: niente era proibito al Chelsea sulla scia del “deragliamento dei sensi” di Rimbaud. Ma ovviamente questi strumenti, a volte funzionali per la creazione, erano estremamente pericolosi». Nel 2011 una delle principali società immobiliari di NY, il Chetrit Group, ha acquistato l’edificio per quasi 80 milioni di dollari, per poi rivenderlo a Ed Scheetz, proprietario di una catena di alberghi a cinque stelle. Ora il Chelsea è in ristrutturazione, circondato da impalcature, chiuso ai clienti. Solo 80 residenti di lungo corso continuano ad abitarci. Quale futuro possibile per il leggendario albergo? Se diventerà un hotel di lusso come potrà continuare ad attirare artisti? Tippins non ha dubbi: «Grazie alle sue particolari strutture e tradizioni, il Chelsea Hotel è sempre riuscito a adattarsi ai cambiamenti della società. Sono sicura che ce la farà anche questa volta».
Benedetta Marietti, il Venerdì 16/5/2014